Alessandro Michele trasforma un bagno pubblico in passerella: da Valentino, la moda è un “meta-teatro dell’intimità”

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Un bagno pubblico, simbolo di un’intimità condivisa e al tempo stesso negata, si trasforma nella scenografia inattesa della sfilata Valentino Autunno/Inverno 2025-2026. Alessandro Michele, al suo secondo appuntamento con il prêt-à-porter della maison, sceglie un “contro-luogo”, come lo definisce lui, per mettere in scena la sua personale riflessione sul potere trasformativo dell’abito, sul rapporto tra il nostro “io” interiore e l’immagine che proiettiamo all’esterno. Nel quinto arrondissement, lo stilista romano ha ricreato una toilette di servizio, avvolta nella penombra, con i neon che proiettavano luci rosso Valentino e una nebbiolina nell’aria. Sulle prime note della potente voce di Lana Del Ray, ecco spalancarsi le porte dei bagni e le modelle uscire in passerella in un loop spontaneo e vorticoso. È una sfilata potente, a tratti disturbante (e infatti non sono mancate le critiche). Mai prima d’ora si era visto un défilé di moda in un bagno pubblico, ma solo così Michele poteva mettere in scena la sua perfetta rappresentazione di un’intimità che si svela e si nasconde, sia nel rapporto tra l’abito e il corpo, che tra noi stessi e gli altri.

“La moda è un grande teatro”, sottolinea Alessandro Michele incontrando la stampa al termine del défilé. “Al centro c’è la vestizione, il rapporto di intimità che c’è con il vestito“. Un rapporto che, per lo stilista, è quasi magico: “È un gioco magnificamente perverso che produce quel potere che ha ognuno di noi di trasformarsi attraverso il vestito per dare agli altri l’immagine che vogliamo. Per questo”, spiega il direttore creativo, “ho voluto mettere al centro l’io, la vestizione, chi siamo, l’intimità che ritroviamo nel vestirci”. Un’intimità che, paradossalmente, si svela proprio in un luogo pubblico, in un “contro-luogo che neutralizza il dualismo tra interno ed esterno, tra l’intimo e l’esposto”. Perché, spiega, “al bagno siamo tutti uguali, ma i vestiti ci dovrebbero rendere tutti diversi”. Un’idea, quella del bagno come luogo di rivelazione e trasformazione, che lo stilista romano aveva già esplorato nella campagna pubblicitaria per Gucci, “Le Marché des Merveilles”, con immagini scattate proprio in una vasca da bagno: “Io ci passo delle ore, è un luogo che mi piace, pieno di cose che luccicano, di oggetti belli. Sono contento di stare insieme a me nel bagno, nell’intimità che mi restituisce. Ci ho messo così tanto tempo a trovarmi…”, confida.

Il bagno che ha creato qui rievoca una certa atmosfera dei club e un mondo, quello dello Studio 54 e di altri locali che hanno fatto la storia, fatto di “musica acida”, eccessi e libertà, che Michele ha frequentato in gioventù. “Non amavo ciò che succedeva nei club, ci andavo perché da voyeur mi piaceva vedere quel cuore che batteva così forte la notte. Oggi tutto questo non esiste più ma lì ho imparato la moda. È un pezzo di romanticismo della mia vita, perché la musica, come gli odori, ha il potere di trasportare la nostra mente in altri luoghi”.

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Da qui una collezione che, inevitabilmente, è un mix di ispirazioni citazioni, suggestioni e ricordi personali. C’è il Valentino degli anni ’80, quello “delle gran soirée, dei cocktail, degli abiti pazzeschi”, ma anche quello meno conosciuto, “di certe creazioni della fine degli anni ’90, molto belle”. C’è l’omaggio a un’epoca in cui “tutti vivevano questa meravigliosa illusione, in cui vestiva le donne dell’aristocrazia italian”. Ma c’è anche, e soprattutto, l’impronta inconfondibile di Alessandro Michele, il suo stile massimalista, eclettico, capace di fondere passato e presente, sacro e profano. “Valentino ha creato un immaginario assolutamente esatto, apollineo, una bellezza infrangibile. Io invece sono entrato dentro casa e ho sconvolto tutto, sono il dionisiaco. Ho fatto disordine in quell’ordine incredibile”, raconta ancora. E non a caso indossa una t-shirt (vista anche in passerella) con la scritta specchiata “Apollineo Dionisiaco”. E poi ecco gonne, pantaloni, abiti con le ruches e le balze, jeans, giacche profilate, tailleur, giacche doppiopetto, soprabiti kimono, cappottini smilzi, colli di pelliccia. Un guardaroba completo, in cui convivono elementi apparentemente contrastanti: la camicia bianca maschile e la gonna a tubo iper-femminile, i pantaloni con le pinces e i leggings di cashmere con dettagli in pizzo chantilly, gli abiti da sera in raso di seta con finiture a taglio vivo e le pellicce.

Ma è l’idea della nudità, o meglio, di una “finta nudità”, a dominare la collezione. “La mia nudità è fatta di vestiti, in verità, non di corpi”, spiega Michele. “Per me era importante capire quanto il vestito sia lo strumento che ti mette a nudo. Dovremmo saperlo: nessuna intimità può denudarci in maniera definitiva, nessun velo può essere strappato per porci di fronte al nostro vero sé perché l’idea che possa esserci un sé autentico, immune dalle determinazioni della vita, è un inganno”. Una nudità che si esprime attraverso tessuti impalpabili, come il pizzo e la georgette, attraverso trasparenze e drappeggi, ma anche attraverso dettagli come i “tiranti“, che evocano la chirurgia estetica e l’ossessione per la giovinezza: “Sono appesi ad un elastico e ci illudono che attraverso una trazione la vita si fermi e si rimanga giovani. Rappresentano una parte nascosta del nostro io, la parte difficile, quella che non si può dire, che si chiama imbarazzo”. E aggiunge: “Se salta il nodo, salta l’incanto e si torna vecchi. Oggi i giovani fanno molto utilizzo di chirurgia plastica, non esistono più le bocche sottili, non esistono più gli i nasi grandi, non esiste più niente, tutto è stirato. Non è più ammessa la vecchiaia, così come non è ammessa la nudità. Adesso i ragazzi hanno un rapporto interessante anche con la sessualità: per loro il fisico ha un valore relativo, nonostante si stia sempre nudi su Instagram”.

Infine, una riflessione sul potere della moda e sul suo legame con la vita: “Credo che [la moda] sia un mondo molto più complesso dove, anche chi fa il mio lavoro può faticare a domarla. Vedi poi che è legata molto ai cambiamenti sociali, è sempre più camaleontica e più veloce di prima. Ma l’inganno del vestito è quello che svela la nostra intimità: lo fa per forza“.



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