Coma_Cose: «È più difficile scrivere canzoni pop che un album psichedelico»

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Li abbiamo incontrati sui Navigli, quartiere storico di Milano sud in cui il duo è nato e si è formato musicalmente. È una zona dove dieci anni fa si ritrovavano gli hipster nativi e di adozione per spulciare i negozi vintage, i mercati d’antiquariato e ballare nei bar con i magazzini sotto terra. Oggi è tutto cambiato a causa dell’iperturismo e del costo folle delle case, e anche i Coma_Cose se ne sono andati.

«Siamo venuti qui per chiudere un cerchio», ci raccontano Fausto e California, che ci hanno parlato di come non snobbino alcun tipo di pubblico perché «non esistono pubblici di serie A e di serie B», di quanto sarebbe più facile fare un album psichedelico invece che scrivere hit e della necessità di crearsi i propri spazi dopo anni di simbiosi. In Vita fusa mixano pezzi radiofonici con momenti intimisti e cantautoriali perché è così che sono i due, a loro volta pubblico che a volte ha voglia di profondità, a volte di «sbragare».

Partiamo da Sanremo. Quest’anno vi siete piazzati decimi con Cuoricini, un risultato di mezzo. È un pezzo che ha dentro un lato cantautoriale, ma anche tantissima ironia. Secondo voi si è capito l’intento della canzone?
California: Per noi arrivare al decimo posto è stato un traguardo pazzesco, forse il piazzamento migliore dei tre Sanremo (ridono). Ma della classifica ci importa fino a un certo punto, non so come dire. Essendo partiti come dei partecipanti totalmente sconosciuti al grande pubblico, non ci siamo mai piazzati benissimo, ma le canzoni sono sempre andate bene. Cuoricini poi, tra le canzoni in gara che erano tutte un po’ ballad, forse era unica nel suo genere, magari insieme ai pezzi di Serena Brancale e di Gaia. Ci stanno arrivando tanti feedback positivi dal pubblico e quindi va bene così.

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Fausto: Rispondere è difficile, perché è come sminuire chi prende Cuoricini in modo più leggero. La canzone poi rimbalza nelle vite delle persone, nelle teste, nei pensieri, nel vissuto, ed è giusto che prenda la forma che vuole. Siamo contenti di riuscire a fare canzoni così, che è la cosa più difficile del mondo. Fare un album psichedelico in confronto è facilissimo, nonostante questa cosa verrà sempre presa in modo diverso dai detrattori di un certo tipo di suono. Noi siamo tranquilli con la nostra produzione musicale, quando serve fare cose più approfondite, le facciamo a nostro modo. Cimentarsi nella canzone pop, nella hit, è un esercizio di stile difficilissimo che ci diverte, ci appassiona e lo facciamo sempre cercando di tenere il piede in due scarpe: da una parte l’efficacia musicale, la sperimentazione nei testi dall’altra. Se devo dire qualcosa che non è stato forse molto capito è la parte musicale della canzone, perché ha un sound a mio parere ricercato, fa coesistere un certo tipo di elettronica fatta con macchine vintage, il Moog, la chitarra distorta, e poi hai questo linguaggio mega radiofonico, leggero. Sono orgoglioso proprio a livello musicale. Non voglio entrare in quel terreno ispido di dividere il pubblico di serie A dal pubblico di serie B, come se ci fosse un pubblico pensante che può cogliere certi linguaggi, e un pubblico invece un pochino più generalista. Il pubblico è pubblico, noi stessi lo siamo, e a noi piacciono sia le canzoni impegnate che le canzoni sbragate.

Come vi ha definito Matteo Bordone, siete i Bautozzi, un misto tra i Baustelle e Umberto Tozzi.
Fausto: Non è male, me lo prendo volentieri.

Nel titolo Vita fusa ci puoi leggere tante cose: una vita tenera come le fusa di un gatto, una vita che scivola via un po’ liquida, ma anche una vita che ti manda in burn-out. Vi è capitato di sentirvi al limite delle vostre energie in questi anni di carriera?
California: Sì, è capitato più volte. È bellissimo condividere un progetto assieme, però siamo entrambi persone con una propria visione delle cose, mosse da un impulso a voler fare qualcosa di proprio, e quindi ti viene a mancare il tuo lato personale. E poi oggi è talmente tutto veloce che si fatica a stare al passo coi tempi, in tutti gli ambiti, non solo quello musicale. Soprattutto se hai vissuto il mondo prima che si sconvolgesse come è successo negli ultimi anni. Il tempo è il lusso più grande, oggi come non mai. Noi in realtà se abbiamo bisogno di tempo per fare una canzone, in un modo o nell’altro ce lo prendiamo, però è difficile perché le pressioni sono tante e questa frenesia provoca ansia a tutti, noi compresi.

Fausto: Anche a livello personale non è facile essere sempre sintonizzati. Due persone hanno i loro alti e bassi e quando gli alti sono comuni magari si mette la quinta e si scrive una canzone, un disco.
Quando gli alti e i bassi non sono allineati ci si aiuta, e quando sono tutti e due bassi bisogna lasciare scorrere il tempo.

Foto: Cosimo Buccolieri

Vita fusa è un lavoro vario, che spazia tra numerosi generi, ma i singoli sono molto pop. Chi sono oggi i Coma_Cose? State puntando a un pubblico molto giovane, anche guardando la copertina dell’album?
Caliornia: Abbiamo sempre cercato di spiazzare l’ascoltatore, pescando da vari generi. Con noi non esiste la comfort zone, non puoi aspettarti un genere solo. Ci piace la musica pop, ci piace spaziare. Da bambino ascolti il pop, da adolescente diventi alternativo. Noi oggi siamo entrambe le cose. Ci siamo liberati dai preconcetti che ci autoimponiamo. È giusto che scelga il pubblico cosa ascoltare così come l’artista cosa produrre. Il pubblico di bimbi è arrivato già con Post concerto, probabilmente perché i bimbi venivano con i genitori.

Fausto: Non c’è un vero e proprio intento, anche a noi da piccoli piacevano artisti un po’ pazzi che i bambini apprezzano, mentre gli adulti li vedono come pazzi e basta. Mio nipote ad esempio, che ha 8 anni, è stato il primo a cui ho fatto sentire il brano di Sanremo e la prima cosa da cui è stato attratto è stato la parola “fucili” e non “cuoricini”. La musica alla fine è di chi l’ascolta.

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Qual è il vostro pezzo preferito del disco, visto che sono tutti così intimi e parlano tanto di voi?
California: Honolulu è la canzone che sento di più perché comunque entrambi siamo scappati da una provincia bella tosta ed è un augurio a tirarsi fuori, al cambiamento, alla voglia di rompere le aspettative, a scegliere cosa fare. È una canzone molto coraggiosa, a me dà un sacco di speranza. Entrambi abbiano avuto delle storie di vita molto particolari. La tossicodipendenza ha accompagnato tutti noi, non personalmente, ma per un amico o un parente. L’abbiamo voluta dedicare ai nostri amici, a persone in comune, è un insieme di storie, non è dedicata a una persona in particolare.

Fausto: La mia preferita è Due gatti a Milano, perché è la prima di una serie di canzoni che ho scritto. Mi piace tantissimo la metafora dei gatti, usati per descrivere il nostro rapporto di coppia, il senso di mancanza, tutto quello che è poi la sensazione di vivere in una casa, ma anche di sentirti fuori dal mondo. È una canzone super sintetica, e io vorrei fare canzoni con sempre meno parole, anche solo due.

Riconoscete una radice cantautoriale nel vostro percorso? Possiamo definire Vita fusa un disco d’amore?
California: Sicuramente sì, Coma_Cose è un progetto autoriale dal giorno zero. Quello che abbiamo fatto è innovare quello di cui scriviamo. Saremmo disonesti a cantare di dinamiche che non viviamo più. Ci siamo guardati un po’ da fuori con questo disco e ci siamo concentrati sulla parola, che è quello che ci muove da sempre. Tutte le nostre canzoni se le metti su un pianoforte o una chitarra, funzionano lo stesso perché è sempre cantautorato. Quello che abbiamo cercato di fare è stato metterci a nudo. Le canzoni parlano della nostra storia, abbiamo quasi fatto un percorso di analisi tra di noi, è stato terapeutico fare questo disco.

Fausto: Ci abbiamo messo della tenerezza. È venuta in modo naturale. Nella copertina del disco precedente, ad esempio, ci urlavamo in faccia, c’era la rabbia. Questo disco segna una rinascita, dentro ci sono tanti colori e c’è sicuramente la volontà di raccontare un rapporto di coppia. Siamo diventati cantanti, ma non cerchiamo la gloria. Cerchiamo persone che sposino il nostro percorso. Abbiamo capito che nella musica, come nella vita, non si arriva mai a un dunque, è tutto un percorso. Nostro, ma anche di chi si rispecchia nelle nostre canzoni.

Secondo voi potrebbero esistere i Coma_Cose senza Milano, visto il vostro modo di scrivere e di cantare così legato alla città, alla storia del quartiere in cui siamo (che è profondamente cambiato oltretutto)? Potreste esistere in un altro luogo o siete troppo legati a questo vissuto?
California: Noi ci siamo conosciuti qua, abitavamo 100 metri più avanti, e Milano fa parte della nostra storia. Siamo due provinciali che si sono trasferiti qua in cerca di vita, di fortuna, all’inizio raccontavamo la città in maniera fotografica. Invece con le canzoni successive siamo tornati un po’ alla malinconia che ci accompagna sempre, abbiamo raccontato il nostro passato, ma sempre con gli occhi di chi ha cambiato posto. Quindi non credo che i Coma_Cose sarebbero potuti esistere senza Milano. Il luogo dove vivi influenza tanto chi sei e cosa fai, probabilmente sarebbe venuta fuori una cosa totalmente diversa se fossimo stati da un’altra parte.

Fausto: Nella nostra prima produzione, quella da cui è partito tutto, era un racconto che mancava, molto terra terra, molto vissuto da dentro. Tanta gente si è rivista e quindi va da sé che doveva essere anche il racconto di un luogo aggregativo, un luogo attraverso cui sono passate tantissime vite e tantissimi vissuti diversi. Era la città giusta per far nascere questo tipo di esperienza, di linguaggio. Oggi siamo sui Navigli anche per celebrare un percorso, però negli anni abbiamo fatto tante deviazioni e abbiamo portato un linguaggio sonoro che non parla per forza di Milano ed è abbastanza condivisibile da tutti in tutta l’Italia.

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Foto: Cosimo Buccolieri

Ultimamente c’è stata la separazione musicale di Colapesce e Dimartino, l’avvio dei progetti solisti dei Måneskin. Molti artisti stanno sperimentando anche strade personali al di fuori del nucleo originario. Voi potreste esistere singolarmente?
Fausto: I Coma_Cose sono una creatura intatta che continuerà ad esistere. Semplicemente dopo tutti questi anni sentiamo l’esigenza di dedicarci a passioni, hobby, interessi paralleli, perché magari uno da fuori pensa che ci sia il tempo per farlo già adesso e invece no. La simbiosi è entusiasmante, però a volte ti toglielqualcosa. Rigenerarsi per poi tornare insieme è necessario.

California: Con la musica siamo già soddisfatti e contenti, quindi non è una carriera solista che cerchiamo o una scissione. Tutte le volte che finiamo un tour siamo già sulla canzone dopo, sul disco dopo. Da questo nasce la voglia di riprendersi degli spazi personali. Il Fusa del titolo gioca proprio su questo concetto, nel prendersi un attimo di tempo per elaborare tutto quello che sta succedendo.

Negli ultimi anni vi siete esibiti anche a Miami e Los Angeles. Raccontatemi com’è stata l’esperienza americana. Come sono state accolte le canzoni da un pubblico che non conosce la lingua né il vostro vissuto così legato a Milano?
California: Avevamo dei dubbii, perché nelle nostre canzoni nasce sempre prima il testo della musica. Però devo dire che in realtà, anche per cultura in America, cosa che magari qui si è un po’ persa, la gente va nei locali a vedere che cosa stanno suonando anche senza conoscere l’artista. Siamo stati portati lì dall’Istituto italiano di cultura e c’erano tanti italiani all’estero, ma anche tanti appassionati di cultura italiana, gente di passaggio. Abbiamo suonato a Miami in un club vicino alla spiaggia, una sorta di arena medio-piccola. Ed è stato particolare perché noi siamo abituati ai nostri concerti con i fan che cantano tutto, lì l’espressione sul viso delle persone era diversa. Invece a Los Angeles abbiamo suonato al Whiskey A Go Go, per noi già solo l’idea di poter entrare lì dentro e fare un concerto era allucinante, già solo se guardi le pareti, i camerini, i quadri, gli scorci che ci sono fuori è tutto pazzesco. È molto rock and roll quel locale, anche a livello tecnico è stato impegnativo. Io poi non ero mai stata in America, quindi per me è stata un’esperienza  folgorante.

Fausto: È stato bello già solo vedere gli stage, sono come nei film, non è che si inventino qualcosa. Uno pensa che gli americani si spettacolarizzino per raccontarsi, invece loro sono proprio così, sono spettacolarizzati nel dna. Quello è un tempio sacro per la musica, ci sono passati tutti, i Doors in primis.
Già quando sei fuori e vedi la scritta “Coma_Cose” con le letterine da teatro che fanno subito Los Angeles, è bello, bellissimo.





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