Come si fa campagna elettorale in un posto come la Groenlandia

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A Nuuk, la capitale della Groenlandia, i manifesti elettorali sono comparsi solo in questi giorni, a ridosso delle elezioni di martedì 11 marzo. Le ragioni sono sia pratiche (il vento gelato e la neve li rovinerebbero) sia legate a come funziona la campagna elettorale in un posto come la Groenlandia: estremamente vasto, ma con una popolazione di quasi 57mila abitanti sparpagliata tra Nuuk, dove ne vivono poco meno di 20mila, e città e insediamenti sulle coste che non sono collegati da strade, ma raggiungibili solo in aereo, in elicottero, o in barca.

In questi mesi la più grande isola del mondo, che fa parte del Regno di Danimarca con larghe autonomie, è tornata nelle mire espansionistiche del presidente Donald Trump, che nel discorso al Congresso di martedì ha ripetuto che gli Stati Uniti ne otterranno il controllo «in un modo o nell’altro». Anche per questa ragione, quelle di martedì sono probabilmente le elezioni più importanti della sua storia. Senz’altro sono le più osservate. I media di tutto il mondo se ne stanno occupando con un’attenzione insolita: vale anche per quelli danesi, che prima le raccontavano soltanto distrattamente.

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Nella principale via dei negozi di Nuuk, che poi è anche l’unica, in questi giorni si aggirano troupe televisive e inviati dei media internazionali. Venerdì c’erano 14 gradi sotto zero, ma i giornalisti si riconoscono anche al chiuso, perché posano l’attrezzatura sui tavoli del caffè del Katuaq, il centro culturale aperto nel 1997, che in pratica è la loro base insieme all’hotel Hans Egede, uno dei quattro-cinque della città, e il più costoso.

Un giornalista in posa per un collegamento televisivo, il 6 marzo a Nuuk (il Post)

I manifesti elettorali dei partiti punteggiano le strade del centro, ma si diradano quando ci si allontana dai dintorni del Nuuk Center, l’edificio che è sia il centro commerciale sia la sede del governo. Risaltano, sui pali della luce o alle fermate dell’autobus (tre linee), perché sono colorati in un paesaggio reso ancor più bianco dal nevischio.

Sul retro del supermercato Brugseni il candidato del partito socialdemocratico Siumut (Avanti), Poul Olsen, distribuisce caramelle e palloncini come gadget elettorali. Una cassa Bluetooth riproduce in loop un inno di partito. Olsen spiega che Siumut fa una nuova canzone per ogni elezione: questa è quella di quest’anno, che ha anche un video musicale con riprese di un drone sui fiordi e militanti che cantano in coro. A parte picchetti come quello di Olsen, la maggior parte degli eventi è al chiuso.

Il Nuuk Center, che ospita sia un centro commerciale sia, nella torre, la sede del governo

Il Nuuk Center, che ospita sia un centro commerciale sia, nella torre, la sede del governo (il Post)

Tutta questa attenzione è nuova per Nuuk, anche se la campagna elettorale è cominciata cinque settimane fa e si sta concentrando qui solo per il finale. Prima i candidati hanno girato il resto della Groenlandia, che ha un unico collegio elettorale nazionale. I 31 seggi del parlamento (Inatsisartut) sono distribuiti su base proporzionale. Quindi non basta vincere nella capitale per vincere le elezioni – anche se i risultati di Nuuk le decidono, nel senso che arrivano per ultimi, perché altrove lo scrutinio è più veloce: ci sono meno voti da contare.

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I leader sono andati almeno nei centri principali, ma negli insediamenti più piccoli il compito è stato delegato a esponenti locali, quando ce ne sono. Fare campagna è dispendioso in termini di soldi e di tempo: spostarsi è estremamente costoso (ci sono fondi appositi per i partiti) e si rischia di restare bloccati più giorni in un posto per via delle condizioni meteo proibitive, che possono cambiare all’improvviso. Rimane tagliata fuori soprattutto la costa est, più povera ed esposta alle tempeste, dove peraltro si parla un dialetto diverso del groenlandese, il Tunumiisut (quello occidentale, lo standard, è il Kalaallisut: tra loro si capiscono fino a un certo punto).

Un manifesto elettorale nei pressi del Nuuk Center, 6 marzo

Un manifesto elettorale in centro a Nuuk, 6 marzo (il Post)

L’isolamento contribuisce a una specie di sdoppiamento. A Nuuk il dibattito pubblico si è concentrato sul ridefinire il rapporto con la Danimarca in senso post-coloniale: storicamente è stato il governo di Copenaghen il destinatario delle istanze politiche e delle richieste. Nei centri della costa orientale dove i politici non si sono visti, invece, l’eventuale risentimento passa prima da Nuuk, percepita come distante non solo nel chilometraggio: alcuni la chiamano «la piccola Danimarca» e pensano che i suoi leader si siano dimenticati di loro.

La conformazione geografica, e le difficoltà negli spostamenti, rendono Internet fondamentale nella campagna elettorale. In Groenlandia Facebook va ancora fortissimo, a differenza dei paesi come l’Italia in cui è meno usato in favore di altri social, come Instagram e TikTok. «Penso sia uno dei posti con la maggiore copertura di Facebook: e tutti conoscono tutti, quindi diventa personale», spiega Ulrik Pram Gad del Danish Institute for International Studies. Molti dibattiti avvengono in gruppi chiusi sul social, quindi secondo Gad è difficile farsi un’idea di cosa si parli.

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«È facile parlare a un gruppo specifico di persone, perché se fai un post efficace in pratica raggiunge l’intera popolazione», racconta Mads Malik, giornalista per la radio-tv pubblica groenlandese KNR. Quest’immediatezza virtuale, che annulla le distanze del paese, porta con sé potenziali problemi. Una delle ultime leggi del parlamento prima delle elezioni ha vietato i finanziamenti dall’estero ai partiti. Per i social come Facebook il discorso è più sfumato, e a fine febbraio un report dei servizi segreti danesi ha avvertito che la disinformazione online sta aumentando.

Con un’affluenza stimata di 20-25mila persone (su 40mila elettori), uno spostamento di poche migliaia di voti può fare la differenza, specie in un contesto dove i media tradizionali sono più lenti dei social. Spesso le notizie arrivano prima lì, o sui media danesi, mentre quelli locali arrivano in ritardo. In Groenlandia c’è di fatto un solo giornale, Sermitsiaq, e recentemente la redazione dell’emittente TV KNR ha scioperato contro il licenziamento di alcuni giornalisti: una scelta dei dirigenti poco comprensibile in un momento di così grossa sollecitazione.

Poul Olsen di Siumut, il 7 marzo a Nuuk

Poul Olsen di Siumut, il 7 marzo a Nuuk (il Post)

L’indipendenza è sempre stato uno dei temi principali delle campagne elettorali della Groenlandia. È stato così fin dalla prima nel 1979, quando il paese ottenne dalla Danimarca proprie istituzioni di governo e poi nel 2009 ulteriori autonomie e la definizione di come funzionerà il processo: andrà negoziato un accordo, da sottoporre a un referendum. La questione va avanti da anni ma a inizio 2025 il primo ministro groenlandese, Múte Bourup Egede, ha detto che avrebbe accelerato i tempi (poi ha frenato). Le dichiarazioni di Trump hanno fatto il resto.

Maria Ackrén, che insegna Scienze Sociali dell’Ilisimatusarfik, l’università di Nuuk, spiega che tutti i principali partiti sono favorevoli all’indipendenza. Persino l’ultimo partito unionista, cioè contrario, Atassut (Solidarietà) di centrodestra oggi parla di maggiori autonomie. Il governo uscente è espresso da Siumut e Inuit Ataqatigiit (Comunità Inuit), il partito ambientalista di sinistra che vinse le elezioni del 2021. Il dibattito sull’indipendenza li ha portati a interrogarsi sulla possibilità di aprire nuove miniere, che il governo aveva bloccato, per sfruttare le risorse minerarie dell’isola – ingenti ma difficili da estrarre – come modo per sostituire i circa 580 milioni di euro di sussidi versati ogni anno dalla Danimarca.

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Nuuk, 7 marzo

Nuuk, 7 marzo (il Post)

Le diverse idee su come e soprattutto quando debba avvenire l’indipendenza – che debba avvenire, come detto, sono quasi tutti d’accordo – hanno causato uno dei principali casi della campagna elettorale.

Inuit Ataqatigiit parla della prossima legislatura (da qui al 2029) come orizzonte temporale per attendere la fine del lavoro biennale, iniziato in autunno, della commissione incaricata dal parlamento groenlandese di definire le condizioni dell’indipendenza. I suoi alleati di Siumut sono spaccati tra una corrente che è d’accordo e una più radicale, ma hanno perso due dei loro esponenti più importanti: il deputato Kuno Fencker e Aki-Matilda Høegh-Dam, di cui si è parlato anche all’estero perché si è battuta (con successo) per poter usare la lingua groenlandese al parlamento danese, dove il paese ha due seggi su 179.

Manifesti del partito nazionalista Naleraq a una fermata del bus di Nuuk, il 6 marzo

Manifesti del partito nazionalista Naleraq a una fermata del bus di Nuuk, il 6 marzo (il Post)

Sono passati entrambi a Naleraq, un partito nazionalista che è il principale dell’opposizione e chiede la secessione, cioè di dichiarare immediatamente e unilateralmente l’indipendenza: un approccio in netta discontinuità con quello che Ackrén definisce «slow motion», cioè cauto, degli altri, inclusi i centristi liberali dei Demokraatit (Democratici), che sono il quinto e ultimo dei partiti maggiori.

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Tra l’altro Naleraq ha candidato la più famosa influencer groenlandese, Qupanuk Olsen, che ha in tutto 1,5 milioni di follower su varie piattaforme (un numero enorme rispetto alla media dei politici locali). Olsen ha detto che considera positivo l’«interesse» di Trump, perché «velocizza cento volte la nostra indipendenza»: è una linea condivisa nel partito, per esempio da Fencker, che è stato molto criticato per un recente viaggio a Washington e per aver contribuito a organizzare la sceneggiata della visita a Nuuk di Donald Trump Jr., a inizio gennaio.

– Leggi anche: Alle prossime elezioni la Groenlandia non vuole interferenze dall’estero





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