così Giulia conquista l’alta moda

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Aveva otto anni quando la mamma le regala la sua prima vera macchina da cucire, oggi lavora per uno dei brand internazionali più importanti dell’haute-couture

Dalla Sicilia a Parigi per un mestiere “su misura”: la passione per la sartoria e la moda ha guidato la siciliana Giulia Perrone, 27 anni, verso il sogno dell’haute couture parigina.

«A otto anni chiesi a mia madre di regalarmi una vera macchina da cucire per il mio compleanno – racconta- così con qualche pezzo di stoffa e le velette dei confetti dei matrimoni cucivo i vestiti per le mie bambole». Oggi è una delle sarte della Maison Dior, curatrice sartoriale di preziosi capi di alta moda che ogni anno sfilano alla Paris Fashion Week.

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A pochi passi dagli Champs- Élysées, in avenue Montaigne Giulia esce dal palazzo in cui lavora camminando in una delle vie più sfarzose e alla moda della capitale francese: «In questa strada è nata la Maison Dior, lavorare qui è un sogno che si avvera, – racconta – da un anno e mezzo a questa parte ogni mattina passo davanti alla torre Eiffel per andare a lavoro e mi fermo a pensare quante volte ho desiderato di poter essere qui e a quanta strada ho percorso in questi anni».

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La giovane artigiana si riferisce al suo percorso professionale, basato principalmente sull’acquisizione di competenze pratiche e la voglia di apprendere le tecniche artigianali della sartoria, lontano dai mondi patinati delle scuole di lusso troppo spesso appannaggio di pochi.

All’età di 13 anni frequenta un corso di sartoria presso un atelier del suo paese d’origine, Misilmeri: «Grazie alla mia prima insegnante, Rosalia Di Bella, ho imparato a dare forma ed espressione alla mia passione. Durante gli anni del liceo è stato molto impegnativo far combaciare tutto, ma la passione per la sartoria mi ha sempre ripagato di ogni sforzo».

Dalla Sicilia a 19 anni si sposta a Napoli per due anni, dove studia presso la scuola di Alta Sartoria del noto brand di lusso Kiton, grazie ad un progetto finanziato dalla comunità europea. In seguito, dopo un periodo di lavoro a Milano e Novara nel 2023 si trasferisce nella Svizzera francese in cerca di ispirazione.

«In Svizzera ho cercato di imparare il francese e provare a candidarmi per delle posizioni lavorative, ma non riuscivo a trovare lavoro in Francia non vivendo sul territorio – racconta – così con i risparmi che avevo ho deciso di provarci. Ho affittato un monolocale a Parigi e ho cominciato a pianificare il mio trasferimento, appena arrivata ho ricevuto una chiamata per un colloquio proprio per Dior. Avevo fatto la scelta giusta al momento giusto».

Un lavoro di grande attenzione e meticolosità, ma soprattutto di simmetrie iniziato con l’apprendimento della moda uomo e specializzandosi in capi spalla, ovvero giacche e cappotti: «La sartoria è matematica, anche un po’ di architettura della moda se vogliamo – spiega Giulia – è un lavoro di gruppo, partendo dal disegno e dai modelli, poi i sarti fanno un lavoro di valutazione sulla realizzazione. È un mestiere troppo poco considerato e ad oggi sempre meno diffuso anche se il fatto a mano, specialmente nell’alta moda è una questione di pregio. Dove non vengono impiegate le macchine, ci sono invece mani che cuciono e creano con cura e minuziosità».

Giulia vive da sola in una città con più di 2 milioni di abitanti, già in passato appena maggiorenne ha sperimentato cosa significhi vivere lontano da casa, ancora oggi questo rimane un aspetto costante: «Mi manca la Sicilia – dice – ogni volta che ritorno a casa ripartire è difficile, ma se sono qui è per la mia grande passione e anche perché molte persone mi hanno sostenuto e incoraggiato. In primis i miei genitori, la mia famiglia e il mio fidanzato».

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Bellezza, arte e anche storia si intrecciano tra le mura di un laboratorio sartoriale, ma anche delle passerelle dell’haute couture che si svolgono a gennaio e a luglio dove Giulia assiste nel backstage i momenti che precedono l’evento.

«Sono stata anni a guardare video delle sartorie di Dior, incantata nel vedere artigiane come me impegnate nella realizzazione di capolavori, la prima volta che sono entrata in questa sartoria ho provato una grande emozione».

Lo stesso racconta delle sfilate, eventi dove si concentrano momenti di grande adrenalina dovuti alle scadenze. «Per una sfilata si può arrivare a lavorare anche fino all’ultimo secondo, anche fino alle cinque del mattino per riuscire a portare a termine ogni prototipo. Poi guardi le collezioni sfilare e pensi che quel pezzo lo hai cucito proprio tu, con le tue mani, questo ti da una sensazione bellissima di grande soddisfazione».

Lavorare in questo settore l’ha resa più consapevole del lavoro di realizzazione dietro ai capi d’abbigliamento, soprattutto di lusso. Tra le cifre vertiginose delle grandi firme e il fast fashion a pochi euro ha maturato una politica di consumo sostenibile e di riconoscimento della qualità.

«I capi firmati sono anche molto costosi, però la sartoria mi ha insegnato anche a riconoscere la qualità, oltre a dare valore a tutto il lavoro dietro la realizzazione – spiega – per questo amo comprare su piattaforme molto in uso oggi dove spesso trovo capi vintage di grande qualità di seconda mano.

I miei maglioni sono tutti di cashmere, a volte ho anche modificato vecchi cappotti di mia madre in 100% lana, preferisco un capo che mi duri nel tempo rispetto a capi che si deteriorano facilmente e di materiali scadenti, su cui posso contare per una stagione al massimo».

La sua è una passione nata per caso o per predestinazione, «mia nonna era sarta da uomo, come lo ero anche io all’inizio. Anche se ero troppo piccola per vederla cucire, in famiglia si dice che ho preso da lei, con certe passioni ci si nasce».

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La macchina da cucire regalatale per gli otto anni oggi è ancora nella sua cameretta in Sicilia, da quel regalo è passato molto tempo e dai vestiti per le bambole Giulia ha cominciato a cucirci anche i primi lavori per le cugine o per qualche amica mentre adesso cuce modelli di tendenza mondiale per uno dei brand europei più famosi al mondo. «La macchina da cucire di quando ero bambina è ancora lì, a ricordarmi che bisogna sempre crederci e giocare d’azzardo con i propri sogni».





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