Giustizia per l’ucraina le parole della Chiesa

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Il dibattito sulla responsabilità dell’invasione su larga scala dell’Ucraina non è si mai sopito in tre anni di conflitto. Una tesi l’attribuisce all’allargamento della Nato nell’Europa orientale, seppure fermo dal 2004. Peraltro non c’è mai stata una sola azione militare da parte di Paesi dell’Alleanza atlantica in territorio russo, nemmeno il lancio di un proiettile. Secondo questa lettura quindi è banale la distinzione fra aggressore e aggredito, come se non fosse stato pur sempre Vladimir Putin a comandare l’avvio dell’«operazione militare speciale» all’alba del 24 febbraio 2022 che ha prodotto un’immensa tragedia: secondo l’Onu, 12.500 civili ucraini uccisi, 70mila dispersi, 4 milioni di sfollati, 6,5 milioni di profughi, migliaia di minori trasferiti a forza in Russia, distruzioni o danneggiamenti di due milioni di edifici per un costo complessivo della ricostruzione stimato in 750 miliardi di dollari.

No, aggressore e aggredito non sono categorie banali perché corrispondono a due condizioni di vita diverse: l’aggredito è un intero popolo che per un accordo di pace chiede prioritariamente e inderogabilmente garanzie di sicurezza perché in futuro non avvenga una terza invasione (la prima nel 2014 con la perdita della Crimea). Il dibattito è stato poi condizionato dalle minacce atomiche di Mosca esercitate con successo come arma psicologica per generare paura nelle opinioni pubbliche. L’Ucraina andrebbe sacrificata per evitare il rischio di una Terza guerra mondiale, ci si augura disinnescato dalla ripresa delle relazioni fra gli Usa a guida Donald Trump e la Russia. Nelle discussioni sul negoziato vengono chiamate in causa le responsabilità della Casa Bianca e dell’Europa ma mai quelle del Cremlino, nemmeno la richiesta immediata di cessare i quotidiani lanci di missili su edifici civili. Prevale il realismo cinico dell’accettazione dei rapporti di forza che ha come conseguenza la corsa al riarmo per entrare appunto nel «club dei forti». Non è un caso che il folle record in spese militari sia stato raggiunto a livello mondiale dopo l’invasione su larga scala dell’Ucraina, nel 2023 (2.443 miliardi di dollari). La rassegnazione all’irrealismo del diritto internazionale, la fine di quel poco che ne restava, è molto pericolosa.

Anche nei giorni scorsi dalla Chiesa cattolica sono giunte parole di giustizia che fissano punti fermi sulle responsabilità. I Vescovi della Commissione delle Conferenze episcopali dell’Unione europea hanno denunciato i tentativi di «distorcere la realtà sull’aggressione e sull’ingiustificabile invasione su larga scala, una palese violazione del diritto internazionale», «l’uso della forza per alterare i confini nazionali e gli atroci atti commessi contro la popolazione civile sono ingiustificabili» e «richiedono una conseguente ricerca di giustizia e responsabilità». Il dialogo «credibile e sincero deve essere sostenuto da una forte e continua solidarietà transatlantica e globale e deve coinvolgere la vittima dell’aggressione, l’Ucraina». L’Arcivescovo Paul Richard Gallagher, Segretario vaticano per i rapporti con gli Stati e le organizzazioni internazionali, in un’intervista alla rivista dei Gesuiti «America», ha invece evidenziato come sia molto difficile che Kiev recuperi tutti i territori sottratti dalla Russia ma che «dobbiamo essere molto chiari su quali carri armati hanno attraversato il confine di chi. Quando si parla del futuro dell’Ucraina, il suo popolo deve far parte del negoziato. È in gioco il loro futuro, la loro vita».

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La Chiesa greco-cattolica ucraina e la Caritas di sua emanazione sono state messe al bando nel 20% di territori annessi militarmente e illegalmente dal Cremlino, una decina di sacerdoti arrestati. Il capo di questa Chiesa, l’Arcivescovo maggiore di Kiev Sviatoslav Shevchuk, in un incontro pubblico a Toronto ha dichiarato che «una pace giusta non richiede solo supporto materiale ma un impegno incrollabile e inflessibile nel difendere la verità. In tutta questa guerra le bugie si sono moltiplicate sul nostro popolo». La più grave è l’inversione delle responsabilità, l’invasione su larga scala «indotta» dagli aggrediti e non invece prevista anche nel breve saggio scritto da Vladimir Putin nel 2021: afferma che «è venuto il tempo di rimediare agli errori del 1991 (lo scioglimento dell’Urss, ndr) e di riunire il popolo trino russo, ucraino e bielorusso». Un progetto revanscista e neo imperiale che andrà almeno arginato raggiungendo una pace se non giusta, certamente sicura e duratura.

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