i ricordi di Reggio e la morte di Gianni

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In une bellissima intervista di Pino Nano per Calabria.Live, il reggino Santo Versace, sposato con Francesca De Stefano, racconta la sua vita a Reggio Calabria, il legame con la sua terra ed il rapporto con il fratello Gianni. Tra l’altro, domani c’è un appuntamento importante per Versace in quanto riceverà dalle mani del rettore Nicola Leone la Laurea Honoris Causa in Ingegneria Gestionale all’Università della Calabria di Cosenza. “Mia madre, nata a Reggio Calabria nel 1920 voleva fare il medico, ma

nel 1930, dopo aver conseguito la licenza elementare, mio nonno le disse: “Cara Francesca, basta andare a scuola, perché nella scuola ci sono gli uomini e non è un luogo per bene. Adesso vai a imparare un mestiere”. E lei si scelse quello di sarta, andando a bottega dalla “parigina”, che era una sarta che aveva lavorato a Parigi. Prima della Seconda guerra mondiale aprì il suo primo negozio. Gianni nacque nel 1946, io sono del ’44, Donatella del ’55, Tinuccia, morta a dieci anni, del ’43. Vivevamo in via Muratori a Reggio Calabria dove c’era il laboratorio della mamma. Sembra un destino segnato: se mio nonno avesse mandato mia madre a scuola forse Gianni non sarebbe diventato un genio della moda. Tutta colpa, anzi tutto merito del nonno! Gianni ha da sempre respirato quest’aria, mentre io respiravo quella di mio padre, commerciante e atleta di valore: ciclista e corridore con diverse vittorie all’attivo ma anche calciatore nella Reggina in serie C”, racconta Santo a Pino Nano.

Santo e Gianni Versace

Santo Versace e Gianni Versace, due fratelli siamesi, due ragazzi calabresi impastati di genio e di amor proprio, educati al sacrificio e al rispetto verso gli altri, inseparabili, irrequieti, innamorati della vita, appassionati da tutto ciò che gli si muoveva attorno, manager di successo per il mondo, e fortissimamente ancorati alla loro Reggio e alla loro terra di origine. Dove c’era uno c’era l’altro, e se l’altro non c’era se ne coglieva lo stesso il profumo e la presenza. Senza Santo Versace Gianni Versace si sentiva sempre più solo. Il loro è stato un
lungo viaggio nel tempo, che inizia a Reggio Calabria e che li porta insieme a Milano, e poi da Milano alla conquista del mondo intero. “Mi sorprendo a pensare a come sarei, a come saremmo tutti, se Gianni fosse ancora con noi. Alle imprese straordinarie che lo aspettavano, ai progetti che avremmo potuto mandare avanti ancora insieme se la calibro 40 di un serial killer non lo avesse ucciso. A Miami, il 15 luglio 1997, è morta anche una parte di me“, rimarca Santo.

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Santo Versace ha vissuto tante vite

Quella di Santo Versace è la storia di un uomo, che di vite ne ha vissute
mille, che ha maneggiato il potere, la ricchezza, la fama, ma che non ha
avuto paura di rischiare, di credere nei sogni e nelle passioni, un uomo
di un fascino incredibile che è stato capace di pensare in grande e attraversare le mille avversità della vita di famiglia senza mai farsi spezzare. Un industriale moderno che dava corpo reale alle visioni geniali del fratello più piccolo, e soprattutto un uomo così forte e caratteriale che non è mai fuggito dal suo ruolo principale, e che era quello di fratello maggiore. Santo ha saputo affiancare Gianni per tutta la vita e tradurre la sua arte in quell’azienda multinazionale che i tre
fratelli insieme, Donatella insieme a loro, hanno poi trasformato in mito.

Il ricordo di Donatella

Nostra madre – ricorda la stessa Donatella Versace – era una donna che veniva da una famiglia povera. Aveva sposato un uomo ricco ma si è data talmente da fare che, grazie alla sua sartoria, è diventata più ricca e più importante di lui. Ogni matrimonio da Roma in giù era suo. Faceva l’abito alla sposa, e a tutte le altre invitate. Così, di matrimonio in matrimonio, ha iniziato ad aprire boutique, a girare per comprare i tessuti, è diventata anche amica di Karl Lagerfeld. Ricordo però che tutte le mamme dei miei amici li accompagnavano a scuola, e lei non c’era mai. Mi mancava. E anche se era una donna calabrese dell’inizio del Novecento, mi diceva sempre: non pensare al matrimonio. Perché se credi che un marito ti possa risolvere la vita, hai sbagliato tutto. Ma questo mi ha reso una donna caparbia, e ha reso forti tutti noi”.

“Gianni era entrato nella vita di Diana”

“Gianni – racconta Santo Versace – era entrato nella vita di Diana e viceversa qualche anno prima, nel momento in cui si era separata dal principe Carlo e aveva potuto iniziare a vestirsi senza tenere conto del ruolo ufficiale che prevedeva di indossare solo stilisti britannici. Anna Harvey, allora vicedirettrice dell’edizione UK di Vogue, fece da tramite con noi e, da quel momento, in via Gesù a Milano avevamo un manichino con le sue misure, spedivamo i capi a Kensington Palace,
la sua residenza. Spesso la première Franca Biagini si recava, insieme con altre due sarte, a Londra per gli ultimi ritocchi. Qualche volta ci andò direttamente Gianni. C’era un rapporto di stima e sostegno reciproco. Per lui vestire la donna piu fotografata del pianeta voleva dire avere conquistato una sorta di Sacro Graal della fama. Per lei significava celebrare la bellezza delle creazioni di Gianni ma anche segnalare al mondo la liberta ritrovata“.

Santo si occupa degli affari di famiglia sin dal 1958

Santo Versace, nasce a Reggio Calabria il 16 Dicembre 1944, ma viene registrato all’ufficio anagrafe solo il 2 gennaio 1945. Allora poteva anche accadere. Ed è a Reggio Calabria che incomincia a occuparsi degli affari di famiglia già dal 1958, coltivando nel frattempo anche una passione sfrenata per lo sport. È stato un indimenticabile e amatissimo campione di basket nella Viola Reggio Calabria, allora in serie B. Ma da ragazzo Santo ha anche fatto politica. Esordisce nel Partito Socialista Italiano, diventa vicesegretario provinciale del partito, e nel 1968 si laurea in Economia e Commercio all’Università di Messina. Trova il suo primo impiego alla filiale di Reggio Calabria del Credito Italiano, per poi aprire uno studio di commercialista a Reggio Calabria.

“A Reggio avevo uno studio di commercialista”

“I miei primi 32 anni sono stato a Reggio, dove avevo aperto uno studio da commercialista. Era una vita fantastica, ancora con la famiglia. Però l’esperienza più significativa è stata senz’altro creare un’azienda dal nulla a livello mondiale e poi difenderla, dopo la morte di Gianni. La Versace fu Fondata nel 1972 all’inizio dell’attività di Gianni come stilista , a Marzo 1978 avviene il lancio della linea donna col marchio Gianni Versace , a Settembre 1978 della linea uomo col Marchio Gianni Versace , già usavano da un paio d’anni il Marchio Gianni Versace per cravatte, foulards e borse“, evidenzia Santo Versace.

“La Gianni Versace – ricorda Santo Versace – costituita all’inizio del lavoro di Gianni nel 1972 come società, fu fatta per gestire il lavoro di Gianni, e per salvaguardare il marchio facendo tutte le opportune registrazioni del caso. Sin dall’inizio, pensai solo e sempre a tutelare Gianni e il suo lavoro”. La Maison l’abbiamo guidata io e Gianni fino al 15 luglio 1997″.

Azionista della Viola

Ma, poiché al cuore non si comanda, nel 1998 diventa azionista della Viola Basket di Reggio Calabria, società sportiva della sua città: è l’occasione è ideale per ritrovare il meglio della sua infanzia reggina tra amici e tifosi che lo considerano uno straordinario benefattore e mecenate dello sport. Di questa sua predisposizione e disponibilità eternamente goliardica Reggio Calabria gli è sempre stata grata e riconoscente. Dal giugno 1998 all’ottobre 1999 diventa “Presidente della Camera Nazionale della Moda Italiana”, e poi presidente di Operation Smile Italia Onlus. Alle elezioni politiche del 2008 viene eletto alla Camera dei deputati nelle liste del Popolo della Libertà nella circoscrizione Calabria.

Santo pubblica un libro dedicato alla sua famiglia

Fratelli, Una famiglia tutta Italiana è il titolo del libro che Santo Versace ha pubblicato qualche anno fa con la Rizzoli, e che ha dedicato alla
storia della sua famiglia. È un libro bellissimo, a tratti shoccante, a tratti invece avvolgente e dolcissimo, ma così pieno di ricordi personali da
sembrarne un vero e proprio diario segreto, intimo, riservato, ricco di
amore immenso per il fratello Gianni, per la sorella Donatella, e soprattutto per suo padre e sua madre.

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– Versace, perché un industriale come lei eternamente in giro per il mondo ad un certo punto si ferma e decide di raccontare in pubblico la sua storia?

“Perché avevo bisogno di chiudere un’epoca, una volta per tutte, soprattutto la tragedia di Miami”.

– Si sarebbe mai aspettato una tragedia simile?

“Come fai ad aspettarti una fine così violenta! A quel tempo io avevo la gestione di tutto, tutto quello che non appariva lo gestivo io. Gianni gestiva dall’inizio della collezione alla sfilata e la comunicazione. Il resto poi era tutto compito mio. Quel giorno lui non doveva andare a Miami. Eravamo a Parigi, Elton John lo invitò in Costa Azzurra. Gianni aveva voglia di andare in America, non era previsto Miami, doveva tornare. A Miami avevamo una casa bellissima. Non era previsto Miami e non era prevista la sua fine. Lui mi diceva sempre “io sono più giovane di te, io sono immortale, quando non ci sarai più mi occuperò dei tuoi figli”.

– Come reagì dopo alla morte di suo fratello?

“Io mi trovavo a Roma, all’Hassler. A un certo punto, arrivò l’allora presidente della Camera della Moda, piangendo, disse che Gianni Versace era morto. Io risposi come le ho già detto: ‘Gianni è immortale’. Da lì partimmo per Ciampino e quando arrivammo a Miami volemmo vedere il corpo di Gianni. In quel momento ho preso coscienza del fatto che lui non c’era più veramente. Fui io a decidere per la cremazione. Dall’agosto 1997 all’ottobre 2021, tutti i fine settimana liberi andavo nella nostra casa sul Lago di Como e piangevo”.

– Immagino che il ritorno a Miami per riconoscere suo fratello
sia stata una cosa terribile?

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“Arrivato a Miami mi sono finalmente reso conto che Gianni se ne era
andato davvero. Una volta sbarcati a Miami, sono voluto andare a vedere Gianni, era notte, l’ospedale era chiuso ma abbiamo fatto il ‘diavolo a quattro’. Ci hanno aperto e abbiamo visto Gianni ed era finita, ho preso coscienza che non c’era più… Da quell’evento ci ho messo tantissimi anni a superarlo. Questo libro mi libera completamente anche dalla tragedia di Miami. Per quattro anni, quando non lavoravo, andavo ogni fine settimana al Lago di Como e dormivo nel suo letto, era come se cercassi di recuperarlo, di riprenderlo”.

– Dopo la morte di suo fratello lei è diventato paladino di una vera e propria battaglia giudiziaria che desse finalmente giustizia a tutti voi…

“È vero, dopo la morte di Gianni ho rincorso la verità ad ogni costo”.

– E come è finita?

“Che alla fine noi abbiamo dimostrato in ogni angolo del mondo. che quello che era stato raccontato o scritto era tutto falso. Qualunque situazione che era stata scritta su Gianni, abbiamo dimostrato tranquillamente che era totalmente falsa. Quell’uomo aveva già ucciso quattro persone lungo l’America, era un serial killer”.

– Impressionante…

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“Subito dopo la sua morte, l’FBI ci disse subito che quell’uomo cercava
un personaggio celebre per restare nella storia. Aveva pensato prima Tom Cruise, A Madonna, A Sylvester Stallone… Insomma, un mitomane”.

– Posso chiederle che rapporti avevate tra di voi?

“L’ho scritto a chiare lettere nel mio libro. I rapporti tra fratelli non seguono regole precise. Piuttosto, seguono le onde della vita. Ci si unisce e ci si disunisce, ci si allontana e ci si riavvicina. Si naviga a vista. Calma piatta o mareggiate. Qualcuno che casca fuoribordo e qualcuno che lo riacciuffa. Si arriva in porto navigando en souplesse o si è costretti a scappare, inseguiti dagli squali. Se devo dire qual è stato e qual è tuttora l’aspetto più straordinario della mia vita, più
ancora dei risultati ottenuti, mi ha entusiasmato la navigazione”.

– In che senso lo dice?

“Nel senso che ho seguito il vento. Ho seguito il vento della nostra famiglia”.

– Confesso che è bello quello che mi dice…

“Vede, nella mia vita ho imparato a vivere dai miei genitori, ho incoraggiato i progetti di Gianni e poi di Donatella, e ho protetto fino in fondo il nostro patrimonio”.

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– È vero che lei aveva un rapporto straordinario con suo padre?

“Le racconto un dettaglio della sua vita. Mio padre Antonino Versace non amava lo sfarzo e probabilmente non capiva nemmeno perché a un certo punto, Gianni, Donatella e io stesso avessimo scelto di vivere immersi in tanta ricchezza. Forse, addirittura, tutto quel lusso lo imbarazzava. Era uomo di poche parole ma di grande e profonda perspicacia, conosceva l’animo umano. In particolare, capiva perfettamente la dinamica affettiva tra i suoi figli. Proprio in occasione
di un Natale a Moltrasio, sul lago di Como, dove l’anno prima avevamo
comprato Villa Fontanelle, durante una conversazione, Gianni e Donatella i rivolsero a lui per domandargli un parere su qualcosa: “Che ne pensi tu, papa?” e lui rispose: “Chiedete a Santo, è lui vostro padre”.

– Bellissimo, non crede?

“Fu quasi una benedizione del mio ruolo all’interno del nostro terzetto Era un uomo che viveva dentro un’armonia straordinaria, bilanciava il tempo dedicato alla professione, alla famiglia e ai suoi interessi culturali. Era un forte lettore e conosceva i classici a memoria. Recitava l’Odissea e l’Orlando Furioso con gusto, mi ha trasmesso l’amore per i libri, quel bisogno di avere sempre un mondo interiore ricco o, qualunque mestiere tu faccia. Ricordo ancora i romanzi importanti che mi ha consigliato di leggere, abitudine che io ho poi trasmesso a Gianni. Lui stesso in un’intervista ricordò che ero stato io a mettergli in mano una copia della Metamorfosi di Franz Kafka, un libro che l’aveva sconvolto e illuminato”.

– Ma lei aveva o ha ancora un amico particolare a Reggio Calabria che oggi le piace ricordare?

“È Pasquale Amato, lo chiamavamo Nuccio, era un diminutivo affettuoso, ed è un amico di lunga data. Suo padre aveva una pasticceria in Corso Garibaldi e tutte le domeniche nostro padre portava Gianni e me a comprare le paste. Nuccio è stato anche mio compagno d’università. Benché frequentassimo facoltà differenti, abbiamo condiviso la militanza nella stessa associazione studentesca”.

– E sua mamma?

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“Mia madre Franca era una bravissima sarta. In realtà lei sognava di fare il medico ma erano altri tempi. Non era solo bella ma era anche, decisamente, la più elegante rispetto alle altre ragazze della città. Mio padre per conoscerla ricorse a uno stratagemma: chiese alla sorella Maria di andare a farsi fare un abito da lei. La conquistò, credo, grazie alla sua forza tranquilla. Credo che avessero molte cose in comune. Si sposarono nel 1943. Si erano conosciuti come ci si conosceva a quei tempi, guardandosi prima da lontano, prendendo informazioni da terzi, cercando di capire chi era e com’era l’altro. Una lunga “danza di corteggiamento”. Da ragazza era andata a imparare il mestiere dalla “Parigina”, una sarta di Reggio che si faceva chiamare cosi perchè aveva studiato a Parigi. Nel 1940, dopo un lungo apprendistato, mamma apri finalmente il suo atelier, con il suo nome: Franca Olandese. Con noi figli, scendeva sempre in campo per difenderci, perchè ci conosceva come nessun altro”.

– Quale è oggi il modo più bello per ricordare suo fratello Gianni?

“Gianni era Gianni Versace, un sognatore, un eterno bambino. Io ero invece ipercinetico, smanioso di costruire, di affermarmi, di partecipare il prima possibile allo stesso tavolo dei “grandi” Lui era un uomo davvero venerato come un imperatore. Ogni angolo del mondo lo ha pianto perché lui ha rivoluzionato il modo di pensare la moda. Mi creda, lui era un artista a tutto tondo, e non solo uno stilista. Ha disegnato abiti per il teatro, per l’opera, era questa la sua autentica passione. E poi c’era la casa. La “home collection”, perché chi compra Versace ne deve restare avvolto. Ci si deve svegliare, deve viverne lo stile, lo deve respirare, ne deve acquisire il modo di pensare. Questo ci ripeteva Gianni continuamente. Mi diceva sempre anche sorridendo: “’Non preoccuparti io continuerò a disegnare stracci”. Ma lui è sempre stato oltre, avanti. D’altronde è così che il suo talento ha trovato la luce: Era troppo luminoso per non venire fuori”.

– I successi dei Versace non hanno ormai confini, ma ci sono degli eventi speciali che legano indissolubilmente la sua vita quella di suo fratello?

“La prima cosa che mi viene in mente è la prima retrospettiva su Gianni, è del 1989, “L’abito per pensare “, ma a questa sono seguite poi tante altre rassegne diverse. Penso alla retrospettiva del Metropolitan Museum di New York, è un omaggio ed un riconoscimento al grande stilista scomparso. Ma penso soprattutto a tutte le Mostre fatte dal 1989 a prima della tragedia, sono state tutte incredibili e bellissime, e New York è stata una celebrazione quasi sacra del Genio scomparso”. Da evidenziare il grande impegno di Santo Versace con la Fondazione da lui fondata, insieme alla moglie, che si occupa di aiutare e sostenere, tramite vari progetti, le persone più fragili.



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