La Toscana punta sempre di più sulla geotermia

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L’energia geotermica è quella generata dal calore naturale presente all’interno del pianeta. È una fonte rinnovabile perché utilizza l’acqua calda e il vapore prodotti naturalmente nel sottosuolo, e inoltre nel processo di produzione dell’elettricità non si brucia nulla. In Europa il posto dove se ne produce di più è la Toscana: è così da decenni, e lo sarà ancora di più nei prossimi.

A febbraio infatti la regione ha approvato il piano presentato da Enel Green Power per rinnovare le concessioni delle risorse geotermiche in otto aree tra le province di Grosseto, Pisa e Siena. Prevede investimenti «tecnologici e minerari» per quasi 3 miliardi di euro nei prossimi vent’anni. Di questi, 400 milioni saranno utilizzati per realizzare interventi di compensazione e di sostenibilità ambientale in tutti i 16 comuni “geotermici” toscani. L’Enel pagherà inoltre circa 30 milioni di euro all’anno di royalties, cioè di percentuali sugli incassi. Nei comuni dove ci sono centrali geotermiche la metà delle abitazioni e fino all’80 per cento delle imprese potrebbero essere collegate a una rete di teleriscaldamento, con un forte risparmio sui costi delle bollette (con “teleriscaldamento” si intende la fornitura centralizzata di acqua calda che arriva da una centrale esterna, in questo caso geotermica).

L’Unione Europea incentiva la geotermia per accelerare la cosiddetta transizione energetica, cioè il passaggio dalle fonti fossili, come il gas e i derivati del petrolio, a quelle rinnovabili. Il piano RePowerEU, approvato dalla Commissione Europea a maggio del 2022 per non essere più dipendenti dai combustibili fossili della Russia e affrontare la crisi climatica, si pone l’obiettivo di triplicare la potenza geotermica installata entro il 2030 e chiede agli Stati che vengano attuate «misure per integrare l’energia geotermica nei sistemi di teleriscaldamento». A metà dicembre del 2024 il Consiglio Europeo ha invitato la Commissione a presentare un piano d’azione europeo sull’energia geotermica, e gli Stati membri a razionalizzare le loro norme per agevolare l’uso dell’energia geotermica e a rilasciare le autorizzazioni più rapidamente.

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Le serre di Floramiata, riscaldate con il calore geotermico (Angelo Mastrandrea/il Post)

Nel 2022 in Europa appena il 3 per cento dell’energia è stato prodotto da fonti geotermiche, ma secondo lo European Geothermal Energy Council – una organizzazione che promuove lo sfruttamento della geotermia – il potenziale è molto più alto: se fosse sfruttata appieno entro il 2040 potrebbe coprire il 75 per cento del fabbisogno di riscaldamento e raffreddamento europei e il 15 per cento della produzione di energia elettrica. La Toscana produce quasi 6 miliardi di chilowattora all’anno, più del 30 per cento dell’energia elettrica consumata in tutta la regione. Delle 142 centrali censite dallo European Geothermal Energy Council, 34 si trovano tra la zona di Larderello, dove il calore del sottosuolo è utilizzato dagli inizi dell’Ottocento, e il monte Amiata. Sono tutte di proprietà dell’Enel, che vi impiega direttamente 700 persone, mentre altre 4mila lavorano nell’indotto, cioè nelle aziende che svolgono attività per gli impianti geotermici.

Gli impianti utilizzano una tecnologia detta a ciclo aperto o «flash». Vuol dire che rilascia nell’atmosfera i residui gassosi estratti dal sottosuolo insieme al vapore acqueo, e reimmette nel sottosuolo solo l’acqua che viene separata negli impianti di raffreddamento. Nel 2015 la giunta regionale, di centrosinistra, approvò un piano per aggiungere 150 megawatt di potenza ai 916 attuali. Il piano prevede anche la creazione di un secondo polo geotermico nella zona dell’Amiata, dove ci sono già 6 centrali attive, e di incrementare il numero di abitazioni e aziende “teleriscaldate”, che attualmente sono circa 13mila in nove comuni. Il presidente della Regione Giani ha detto che l’Enel è disponibile a costruire fino a 8 nuove centrali nei prossimi vent’anni.

Nell’area dell’Amiata sono stati autorizzati inoltre tre nuovi impianti di società diverse. A Piancastagnaio è stato approvato un progetto presentato da una società con sede a Bergamo, e altre due centrali da 10 megawatt ciascuna sono state autorizzate alla compagnia elettrica Sorgenia. La prima è a Poggio Montone, nel comune di Piancastagnaio, e la seconda nella vicina val di Paglia, che fa parte del comune di Abbadia San Salvatore. Si tratta di impianti a ciclo binario, cioè dove i residui gassosi vengono reimmessi nel sottosuolo e non finiscono nell’atmosfera come negli impianti a ciclo aperto.

Anche l’Enel ha un piccolo impianto a ciclo binario, da appena un megawatt, a Bagnore. La compagnia dice però di essersi fermata perché «ci siamo resi conto che nel fluido geotermico dell’Amiata ci sono troppi gas incondensabili ed è molto difficile riportarli sottoterra». Il fluido geotermico è il mezzo che trasporta il calore, e nella gran parte dei casi è costituito da acqua calda con gas e sali disciolti.

Questo tipo di impianti non convince neppure alcuni esperti. Il geologo Andrea Borgia, che fa parte del Comitato tecnico per la geotermia della Regione Toscana, sostiene che la reimmissione dei gas nel sottosuolo potrebbe causare dei terremoti. «Le centrali a ciclo binario inquinano un po’ meno di quelle a ciclo aperto perché non emettono gas nell’atmosfera», dice. «Ma il fatto che queste sostanze vengano estratte e reiniettate nel sottosuolo attraverso pozzi anche molto distanti fra loro provoca da una parte fenomeni di subsidenza, cioè di sprofondamento, e dall’altro di sollevamento del sottosuolo, e questo provoca degli scompensi che possono essere pericolosi, specie in zone sismiche come l’Amiata».

A suo parere, le compagnie geotermiche dovrebbero puntare su un’altra tecnologia più moderna, che definisce «a ciclo chiuso». Vuol dire che nei termodotti, cioè nei tubi collegati col sottosuolo, circola sempre lo stesso fluido geotermico, come in un qualsiasi impianto di riscaldamento. Il calore viene sottratto al sottosuolo attraverso uno scambiatore, senza che ci siano estrazioni né emissioni di gas. Per ora in Europa c’è una sola centrale del genere, in Germania.

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L’impianto Eavor Loop di Geretsried (Chubu Electric Power)

Alcuni amministratori locali e i comitati ambientalisti dell’Amiata invece si dicono preoccupati per i danni al territorio, secondo loro provocati dalla costruzione di un numero eccessivo di impianti. A marzo del 2024 hanno diffuso un manifesto contro la centrale in val di Paglia, in cui scrivono che «se è vero che la risorsa geotermica può essere rivendicata come centrale per la Regione, è altrettanto vero che sempre più interessi si stanno muovendo verso una risorsa che per i nostri territori ha già superato da tempo i margini di sfruttamento».

Un pozzo geotermico a Piancastagnaio (Angelo Mastrandrea/il Post)

Un pozzo geotermico a Piancastagnaio (Angelo Mastrandrea/il Post)

Nel 2010 il quarto governo di Silvio Berlusconi liberalizzò la ricerca di fonti geotermiche. Da allora in tutto l’Amiata sono stati concessi 50 permessi di ricerca, che durano quattro anni e possono essere rinnovati per altri due. Consistono nella possibilità di fare sondaggi per capire se nel sottosuolo ci sono sorgenti ed eventualmente chiedere l’autorizzazione a scavare i pozzi.

«Ottenere un permesso di ricerca è facile, però scavare pozzi che possono arrivare a una profondità di qualche chilometro e costruire una centrale è tutt’altra cosa, perché c’è bisogno di competenze, tecnologie avanzate e investimenti che non tutti si possono permettere», spiega Giampaolo Vecchieschi, responsabile delle autorizzazioni per l’Enel Green Power. «Per ogni perforazione ci vogliono dagli 8 ai 10 milioni di euro, e non c’è nessuna garanzia che in fondo al pozzo ci sia il fluido geotermico». Nella gran parte dei casi le ricerche infatti non portano a nulla, ma danno ai cittadini l’impressione che sia cominciata una corsa all’accaparramento delle risorse geotermiche.

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