Sono un discreto fan di Bong Joon-ho: come tanti ho fatto la ola quando con Parasite si รจ messo in tasca quattro tra gli Oscar piรน pesanti, compreso quello per il miglior film, ma in generale apprezzo quasi tutta la sua filmografia sia quando entra direttamente nel merito delle grane che affliggono la Corea del Sud, sia quando sceglie di prenderla piรน alla larga come nel caso dello scoppiettante Snowpiercer. Nondimeno, tra i molti strike il nostro ha infilato anche qualche palla se non proprio persa, perlomeno cosรฌ cosรฌ, come nel caso di Okja.
Detto ciรฒ, ero piuttosto gasato all’idea di spararmi Mickey 17, il nuovo film scritto e diretto dal cineasta a partire dal romanzo Mickey7, di Edward Ashton. L’idea del ritorno alla fantascienza distopica mi intrigava parecchio, cosรฌ come la presenza di Robert Pattinson nei panni del protagonista eponimo che, per fuggire ai creditori, decide di aderire al programma spaziale guidato dal politico con manie di grandezza Kenneth Marshall (Mark Ruffalo), una via di mezzo tra Donald Trump e i “tech bro” della Silicon Valley, Elon Musk su tutti. La missione punta al pianeta ghiacciato Nilfheim sul quale i cosmonauti sperano di stabile una colonia dalla quale eventualmente ricavare una societร piรน decente della loro, anche se รจ chiaro come il sole che il film, nonostante sia ambientato nel 2054, vuole fare le pulci al 2025 e dintorni; tra l’altro le premesse non sono eccezionali vista la presenza del suddetto magnate tutt’altro che in bolla ma, soprattutto, per la particolare professione affidata a Mickey, ossia quella di “tizio sacrificabile”.
In pratica, attraverso a una tecnologia in grado di ristampare a nastro il corpo di un soggetto mantenendone (apparentemente) inalterate memoria e personalitร , il protagonista viene utilizzato come cavia per effettuare tutta una serie di test in modo da valutare l’abitabilitร del pianeta, anche se ovviamente gli scienziati preposti non si lasciano certo scappare l’occasione di infilarne altri decisamente meno prosaici, diciamo cosรฌ, spesso con esiti tragicamente comici o comicamente tragici.
La faccenda รจ spigolosa sotto una tonnellata di punti di vista: etici, scientifici, psicologici, politici eccetera, e non a caso si รจ deciso di gestire il progetto nello spazio: lontano dagli occhi, lontano dal cuore. Ovviamente le cose finiranno per incasinarsi quando la diciassettesima iterazione di Mickey, anzichรฉ morire temporaneamente come da programma, oltre a sopravvivere entrerร in contatto con una specie autoctona di Nilfheim composta da insettoidi giganti tutt’altro che propensi a farsi mettere i piedi in testa.
L’ascensore sociale รจ rotto
Mickey 17 poggia su un registro a metร tra il grottesco e il satirico per certi versi simile a quello di Snowpiercer, condividendo col precedente lavoro di Bong Joon-ho anche parte dell’estetica, delle architetture e l’iconografia sci-fi un po’ scalcinata (tra rumori e acciacchi, la “sofisticatissima” macchina deputata alla duplicazione ricorda in tutto per tutto una vecchia stampante). A fare la differenza, tuttavia, รจ la presenza di una componente favolistica assente nel treno piรน classista de mondo, componente che qui contribuisce ad addolcire i toni del racconto sostituendo la violentissima rivoluzione condotta dal Curtis Everett di Chris Evans con un movimento di ribellione non certo privo di legnate e cadaveri, OK, ma meno disperato e un filo piรน ottimista.
Il regista sudcoreano prosegue nella sua poetica fortemente politica raccontando l’ennesimo conflitto sociale dove le classi piรน pasciute fanno di tutto per ghettizzare e schiacciare quelle meno fortunate; tuttavia, rispetto al piรน sofisticato e realistico Parasite qui l’aggancio alla fantascienza distopica gli permette di spingere l’acceleratore sull’iperbole, sull’umorismo nero e – di nuovo – sul grottesco, confezionando una parabola che denuncia l’indifferenza verso la crisi climatica, il razzismo, la polarizzazione esacerbata dai social media e le derive piรน problematiche del neocapitalismo.
Gli spunti purtroppo non mancano, del resto, e a seconda dei casi Bong Joon-ho attinge dalle dinamiche sia dei paesi occidentali sia da quelli orientali: la critica nei confronti degli Stati Uniti รจ esplicita – viene addirittura mimata la “Trump dance” – mentre i guai economici del protagonista, legati al commercio dei macaron, rimandano alla crisi delle pasticcerie sudcoreane e taiwanesi di qualche anno fa evocata anche in Parasite, ma questo รจ solo un esempio.Dall’altro lato della barricata tematica il film solleva alcune speculazioni filosofiche in odore di transumanesimo legate alla duplicazione degli esseri umani e al concetto stesso di esistenza: siamo definiti dalla nostra memoria oppure dal corpo fisico? Massimi sistemi che la sceneggiatura si limita a sfiorare per evitare di appesantire un film evidentemente non interessato ad addentrarsi troppo nella fantascienza drammatica in stile Scissione, ritagliandosi giusto qualche spunto ma forzando sostanzialmente la propria “mitologia” per lubrificare gli sviluppi narrativi. Un po’ un peccato, se lo chiedete a me, visto che si perde sostanzialmente l’occasione di approfondire la faccenda dei doppi che incarnano le diverse sfumature psicologiche di un’individuo, o quella degli autoctoni dotati di mente alveare e anche per questo meno versati all’egoismo di noialtri esseri umani.
Che fissa!
La scelta di buttarla in caciara, comunque, spesso paga anche grazie al cast: Mark Ruffalo regala al suo Kenneth Marshall qualche tratto del Duncan Wedderburn di Povere creature!, mentre Toni Collette per cinismo espresso fa il paio con Meryl Streep in Don’t Look Up, film che ha molto in comune con Mickey 17 sia nel bene sia nel male. Brava anche Naomi Ackie ma a funzionare รจ soprattutto un Robert Pattinson “dolcemente debosciato” in stile Philip J. Fry, il protagonista di Futurama (altra produzione parecchio prossima a questa di Bong Joon-ho; di nuovo, sia nel bene sia nel male), anche se l’attore pare abbia voluto ispirarsi al Jim Carrey di Scemo & piรน scemo.
Ma se persino nelle declinazioni piรน iperboliche e sparate i personaggi restano la cosa migliore di Mickey 17, รจ anche vero che il film trasuda didascalie, mentre la critica sociale viene spesso tracciata col pennarellone come nella suddetta pellicola di Adam McKay; inoltre, come giร accennato molti spunti potenzialmente interessanti rimangono in superficie o vengono delegati a una struttura narrativa complessivamente banale e ritmicamente imperfetta, soprattutto verso il finale tirato a sua volta un po’ troppo per le lunghe.
Per certi versi sembra davvero di essere davanti a una puntata di Futurama, ma eccessivamente prolissa e non delle migliori; intendiamoci, amo la serie di Groening ma trovo funzioni anche in via dell’animazione, della capacitร di sintesi e di un cinismo di fondo tipicamente fine Novanta, mentre qui abbiamo uno scioglimento all’acqua di rose. Poi, per caritร , i brutti film sono ben altri, ma da Bong Joon-ho mi aspettavo di piรน.
Mickey 17 รจ disponibile al cinema.
Ero partito carichissimo con questo Mickey 17 ma purtroppo, forse anche in via delle aspettative “post-Parasite”, sono rimasto un filo deluso. Bong Joon-ho confeziona una favola distopica visivamente impeccabile (per quanto molte soluzioni artistiche debbano molto a Snowpiercer) piena di personaggi e spunti interessanti, spesso riuscita nelle singole sequenze ma dallo svolgimento complessivo non eccezionale. Idea di fondo e attacco sono buoni, chรฉ stiamo pur sempre parlando della storia di un tizio pagato per crepare a ripetizione in un pianeta sconosciuto e circondato da persone disperate, a loro volta trascinate nello spazio da un pazzo narcisista; tuttavia col procedere del film il cinismo e i toni grotteschi vengono addomesticati a favore di soluzioni un po’ troppo facili e concilianti.
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