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Il dipartimento Finanze ha inserito un altro argomento nella dialettica politica in corso certificando come anche per il 2024 sia proseguita la crescita delle entrate tributarie (+6,3% rispetto al 2023), arrivate in valore assoluto a 676,4 miliardi. La comunicazione si completa con l’analisi di dettaglio che rileva la crescita, in misura quasi paritaria, dell’Irpef pagata dai dipendenti pubblici e privati.
Il dettaglio non si ferma qua, ma evidenzia come aumenti l’Irpef pagata dai professionisti e dagli autonomi e come cresca (+11,3%) anche l’Ires pagata dalla società di capitali. In questo caso in buona parte limitata al settore delle utilities e dei servizi finanziari. Alla crescita delle entrate tributarie partecipa anche la lotta all’evasione che ha fatto registrare un aumento del 2,4%.
L’altra faccia di questo comunicazione evidenzia come non si sia registrata altrettanta vivacità dal lato degli incassi per Iva. Da questo versante, infatti, a incidere negativamente è la stagnazione dei consumi condizionati dalla crescita del costo della vita e dalla spinta a risparmiare indotta dai timori provocati dalle crisi internazionali che alimentano le paure sul futuro.
Il dato dell’Iva complica la comunicazione politica. Non si può non notare, infatti, come non sia univoca la lettura dei dati comunicati dalle Finanze e ciò rende complicata la loro spiegazione da parte degli attori politici che si confrontano. Il Governo, infatti, sostiene come la crescita del gettito sia favorito dalla vivacità dell’economia dimostrata dalla crescita dell’occupazione che inevitabilmente contribuisce all’aumento delle imposte pagate. A mettere in dubbio questa lettura interviene il dato fornito dall’Istat, che ha registrato un aumento della pressione fiscale.
L’Istat, infatti, ha documentato un aumento della pressione che per il 2024 si è assestata al 42,6% facendo registrare una crescita di 1,2 punti percentuali.Questo dato dà voce a chi può sostenere, non senza ragione, che il maggior gettito sarebbe, dunque, la conseguenza solo dell’aumento della pressione fiscale dimostrabile dalla frenata del gettito Iva che attesterebbe un Pil fermo.
Andando più nel dettaglio dell’analisi dei dati disponibili si evince che è senz’altro vero che si è registrato un aumento dell’occupazione al quale si accompagna un aumento del gettito fiscale. Altrettanto vero e corretta è, però, la sottolineatura di chi afferma che l’effetto positivo sul gettito Irpef sia indotto solo dall’aumento nominale dei redditi causato dalla crescente inflazione indotta dall’esplodere della bolletta energetica.
Questo effetto, noto come fiscal drag, produce un aumento delle imposte pagate dai soggetti Irpef provocato dai salti di scaglione impositivi determinato dagli incrementi solo nominali di reddito. Nell’attuale fase congiunturale, dunque, a causa di questo effetto distorsivo si realizzerebbe un effetto negativo che penalizza due volte i contribuenti: maggiori imposte da pagare a cui si accompagna un ulteriore contrazione del reddito (reale) disponibile già ridotto dall’inflazione.
Come sempre accade, dunque, la lettura è duplice e contrapposta egualmente sostenibile ed egualmente non oggettiva. Il risultato del confronto è una lettura di parte dei risultati che alimenta lo scontro sterile e non aiuta il dibattito per trovare soluzioni che possano spingere il Pil.
La stessa riforma fiscale annunciata è al palo. Non si può non sottolineare come non vi sono misure volte alla crescita. Il Concordato preventivo, infatti, per il 2024 e 2025 senza dubbio contribuirà in positivo ad alimentare il gettito. Del pari, però, lo strumento e i suoi effetti andranno valutati a partire dal 2027m allorquando il primo biennio di applicazione sarà terminato e si vedrà cosa succederà ai redditi oggetto di concordato e quali saranno gli effetti sul gettito e sulle risorse disponibili.
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