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Era nata come una piazza ispirata all’unità, al sostegno trasversale alle bandiere blu dell’Unione europea. Invece l’idea di una manifestazione comune nel segno dell’Europa proposta da Michele Serra sulle colonne di Repubblica sembra dividere e non poco associazioni e partiti. Una lacerazione, questa, che si è aperta soprattutto nel centrosinistra, specie dopo l’annuncio dell’ok al piano “ReArm Europe” del valore di 800 miliardi. E così molti non scenderanno in piazza il 15 marzo e, anche tra i presenti, le posizioni saranno tutt’altro che uniformi.
In piazza per l’Europa: chi ci sarà (e chi no) alla manifestazione del 15 marzo
Tra i primi a rispondere “sì” all’appello di Serra a una piazza per l’Ue, la segretaria del Pd Elly Schlein, che aveva sottolineato la necessità di un’«Europa federale» in grado di «avere una voce univoca ed esercitare quel ruolo politico e diplomatico fin qui mancato nella promozione della pace e del multilateralismo». Per questo, aveva ribadito la leader dem, a una manifestazione per l’Ue «noi ci saremo». A mobilitarsi anche gli esponenti del partito, su tutti il presidente dem Stefano Bonaccini, che sul riarmo europeo ha comunque espresso le stesse perplessità di Schlein. Una posizione che di fatto, ammoniscono molti, rischia di isolare il Pd nel gruppo dei socialisti europei, che di dubbi non ne hanno. In ogni caso, oltre ai dem, in piazza per l’Europa scenderà anche Avs con le bandiere per la pace: per Nicola Fratoianni è «giusto reagire contro il tecnocapitalismo», mentre Bonelli auspica «un’Europa che costruisce la pace». Con loro anche +Europa, con il segretario Riccardo Magi che ha sottolineato quanto oggi «rivendicare l’orgoglio di essere europei è l’atto più politico che si possa fare».
Anche il leader di Azione Carlo Calenda – che, al contrario del Pd, è del tutto a favore del piano di riarmo – si è unito alla proposta dopo la manifestazione a Roma a sostegno di Kiev: «Aderiamo con convinzione all’appello lanciato da Michele Serra per una piazza che celebri il significato profondo dell’essere europei», ha detto. Sempre nell’area ex Terzo Polo, la benedizione alla piazza per l’Europa è arrivata pure da Italia Viva.
Il Movimento 5 Stelle, da parte sua, aveva chiuso subito a una possibile partecipazione. Ieri però il presidente Giuseppe Conte, ospite a Che tempo che fa sul Nove, ha prima confermato il suo no perché, ha detto, «noi siamo europeisti veri, e in questo momento Europa vuol dire, ufficialmente, essere a favore del piano von der Leyen e di un riarmo da 800 miliardi». Poi, però, si è rivolto direttamente a Michele Serra con una richiesta: «Michele, ti prego, se potessi definire meglio la piattaforma perché l’Europa delle istituzioni ufficiali sta andando verso il riarmo e io così non posso esserci». «Se lo precisi – ha aggiunto l’ex premier – ci saremo».
A destra sembra invece troppo rischioso aprire in questo momento a una piazza “ostile” a Trump e Putin. E anche Forza Italia, sebbene alcuni azzurri si fossero interrogati sulla possibilità di prenderne parte, alla fine non ci sarà. «L’Europa va sostenuta con riforme concrete, non con eventi simbolici», ha riassunto il ministro degli Esteri Antonio Tajani.
Apertamente critico il segretario della Lega Matteo Salvini: «Mentre qualcuno fa le manifestazioni con le bandierine – ha detto – noi lavoriamo per cambiare questa Europa che oggi schiaccia lavoratori, agricoltori e imprenditori con regole assurde».
Posizioni, queste del leader del Carroccio, del tutto simili a quelle esternate dal gruppo europeo sovranista Identità e democrazia, che ha definito la manifestazione del 15 marzo «l’ennesima parata di chi difende un’Ue che ha fallito sulle crisi migratorie, energetiche e geopolitche».
Ad aderire all’appello di Serra, in ogni caso, sono stati anche numerosi sindaci, rappresentanti di diverse città, a confermare l’importanza che le amministrazioni locali attribuiscono al sostegno dei valori europei. Tra gli altri, è arrivato il sì di Roberto Gualtieri (Roma), Luigi Brugnaro (Venezia), Giuseppe Falcomatà (Reggio Calabria), Matteo Lepore (Bologna), Gaetano Manfredi (Napoli), Beppe Sala (Milano), Stefano Lo Russo (Torino) e Vito Leccese (Bari).
In piazza scenderà anche la Cgil, ma con gli opportuni distinguo: «L’Ue o è per la pace, i diritti e il lavoro o non è. La Cgil rifiuta l’idea di Europa che agisce come se la guerra fosse uno strumento giusto di risoluzione dei conflitti», spiega il segretario del sindacato Maurizio Landini. Mentre l’Arci, che conta un milione e mezzo di iscritti, non ci sarà, nemmeno con le sue storiche bandiere della pace. L’Anpi, da parte sua, non ha declinato l’invito, ma ha lasciato libertà d’adesione ai comitati provinciali (con quelli di Roma e Rieti che hanno già annunciato che non ci saranno). Mentre Libera di Don Ciotti parteciperà, purché si rimettano al centro i cittadini e i loro problemi. Ci saranno anche la Comunità di Sant’Egidio, Acli, Auser. Sulla stessa linea di Libera ci sono Cisl, Uil, Coop, Agesci e Legambiente.
La contro-manifestazione a Piazza Barberini
Ma il 15 marzo a scendere in piazza non saranno solo i manifestanti pro-Europa. Potere al Popolo – assieme ad alcuni movimenti studenteschi – ha organizzato una contro-piazza per lo stesso giorno sempre nella Capitale, a piazza Barberini. Questo lo slogan: «No all’Unione europea che si riarma, no alla difesa comune, la sicurezza è nel ripudio della guerra. L’effetto “Serra” nuoce alla pace».
A motivo del presidio organizzato per sabato, Potere al Popolo scrive sui social: «Gli eventi delle ultime settimane segnano un cambio epocale che scuote le coscienze di tutte e tutti. Di fronte agli stravolgimenti negli equilibri tra le due sponde dell’Atlantico, la classe dirigente europea sceglie di indossare l’elmetto: gettando nuova benzina sul conflitto in Ucraina, sulla pelle delle popolazioni locali. Von Der Leyen, i governi nazionali e (quasi) tutti i leader dei principali partiti colgono l’occasione per accelerare la conversione bellica dell’economia, il dirottamento delle risorse destinate alla spesa sociale in favore della spesa militare, la militarizzazione della società. Un inasprimento delle condizioni di vita dei popoli di tutto il continente, in continuità con le politiche antipopolari portate avanti da decenni attraverso i trattati UE e con la vocazione bellicista dimostrata con l’invio di armi sui fronti di guerra. Il costo dell’economia di guerra – conclude – sarà pagato dai popoli e in particolare dal nostro Sud».
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