Dalla fabbrica al prodotto #347

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Oggi il mercato impone sfide significative alle imprese italiane, che sono chiamate a rispondere con una nuova cultura d’impresa, capace di passare da un focus sul prodotto ad un modello che integri servizi, sostenibilità e innovazione. Un approccio sistemico che apra nuove opportunità e aiuti a valorizzare anche l’artigianalità, un valore da continuare a tutelare all’interno del grande sistema industriale. Nel primo capitolo di questo nuovo dialogo tra tradizione e futuro abbiamo raccolto il racconto di 5 protagonisti del settore: tra strategie di comunicazione, attenzione al cliente e soluzioni circolari, è emerso come il vero valore oggi stia nel saper ripensare il business per abbracciare un mercato in continuo cambiamento.

A introdurre questa analisi è Francesco Zurlo, professore ordinario di Industrial Design, Preside della Scuola del Design del Politecnico di Milano e membro del comitato scientifico dell’Osservatorio sul Design Thinking for Business del Politecnico e dell’ADI Index.

La visione imprenditoriale delle aziende italiane oggi presenta dei limiti?

Le aziende italiane hanno una forte cultura del prodotto, ma spesso manca una visione sistemica. Per competere sui mercati internazionali è necessario andare oltre il prodotto, considerando aspetti come distribuzione, comunicazione e servizi al cliente. Bisogna passare dal prodotto al “sistema-prodotto”. Alcune imprese italiane hanno raggiunto risultati eccellenti, adottando strategie integrate e collaborazioni strategiche, ma molte altre faticano a raggiungere questa maturità organizzativa.

Quali sono gli effetti delle fusioni e acquisizioni sui marchi di design italiani?

Le fusioni possono compromettere la capacità di esplorazione e innovazione, pilastri storici del successo italiano. La riduzione dei rischi porta molte aziende a concentrarsi sull’ottimizzazione dei prodotti esistenti (exploitation), sacrificando la ricerca di nuove opportunità (exploration). Oggi, specialmente nelle fusioni, la dimensione di esplorazione si è contratta molto, perché esplorare è un rischio e comporta una prototipazione lunga e costosa. Si spinge maggiormente sull’exploitation sfruttando le icone e i pezzi classici di successo e rivisitandoli con nuove finiture, nuovi materiali e innovazioni nascoste. Questo potrebbe ridurre la capacità del Made in Italy di essere un trendsetter globale. L’ambidestrezza, cioè l’equilibrio tra sfruttamento delle competenze e innovazione è cruciale per preservare la leadership del design italiano.

Qual è il ruolo della sostenibilità e del benessere umano nelle strategie aziendali?

La sostenibilità è sempre più centrale e offre l’input per ridefinire i modelli di business aziendali, con normative come la responsabilità estesa del produttore (EPR) che impongono alle aziende di gestire il ciclo di vita dei prodotti. Ciò richiede un cambiamento culturale, passando da un’industria orientata al prodotto ad una orientata al servizio. Noi stiamo portando avanti due progetti di ricerca, finanziati dal PNRR e da Horizon che esplorano modelli circolari in cui le aziende riciclano e rinnovano prodotti per ridurre l’impatto ambientale. Un salto quantico dall’orientamento al prodotto all’orientamento al servizio in un’ottica ambientale e ecologica. In R-EVOLVE finanziato da Horizon, R sta per riadattare, rimanifatturare, riusare. Le aziende devono cambiare prospettiva e ripensare la logistica e il servizio, come hanno fatto per esempio Ikea, o Vitra con Vitra Circle. Pensiamo alle soluzioni contract “pay-per-use”, come il noleggio di arredi per hotel: garantiscono durabilità e sostenibilità.

Tecnologie open source, innovazione digitale, AI: servono nuove figure professionali che sappiano padroneggiare questi strumenti?

L’era digitale ha un ruolo importante nel ridefinire le competenze di ogni professionista: le nuove sfide richiedono la capacità di leggere fenomeni complessi con un upskilling, che va al di là della tradizionale formazione verticalizzata. I designer, per esempio, si stanno evolvendo verso una maggiore integrazione tra creatività, tecnologia e visione sistemica, per essere in grado di collaborare con esperti di altri settori, come logistica o sostenibilità. Il concetto di Personas usato da designer e nel marketing per identificare l’utente a cui rivolgersi non funziona più perché sono saltati i parametri che una volta ci consentivano di catalogare e di orientare le strategie di un’azienda. L’intelligenza artificiale ricopre un ruolo importante identificando velocemente i modelli comportamentali, ovvero l’insieme delle caratteristiche che identificano i clienti. È efficace anche nell’analisi di dati e progettazione, ma non può sostituire la creatività umana, fondamentale per innovare realmente.

Pensando alla manualità, esiste ancora un futuro per l’artigianato in Italia?

La carenza di artigiani di seconda generazione è un rischio concreto. Gli istituti tecnici e professionali, pur avendo successo in termini di placement, faticano ad attrarre giovani. Serve una migliore comunicazione per valorizzare la bellezza e la libertà dell’artigianato. Progetti mediatici o culturali potrebbero contribuire a costruire una reputazione positiva: raccontare la bellezza di trasformare la materia, far riscoprire la libertà dell’artigiano e la sua dimensione creativa sarebbe un incentivo per le nuove generazioni a intraprendere questo percorso.

A seguire gli interventi di:
• THOMAS CESARE MARIA GIANOLI, Direttore commerciale Italia ARBI Arredobagno
• MATTIA FIORINDO, Responsabile marketing FIMA
• FABIO GENTILE, Amministratore delegato Gaia arredo bagno
• PIETRO SOLBIATI, Consigliere delegato di Koh-I-Noor
• CARLO BRANZAGLIA, membro del Consiglio Direttivo ADI, Presidente ADI Emilia-Romagna

LEGGI L’ARTICOLO COMPLETO SUL NUMERO #347 DE IL BAGNO OGGI E DOMANI





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