Diritto di famiglia, come riformare la riforma di 50 anni fa

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Una manifestazione contro la legge sul divorzio (1970) – Foto Siciliani

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Diritto di famiglia, una svolta lunga mezzo secolo che attende ancora di essere conclusa. Ripensare cinquant’anni dopo alla riforma del 1975 che segnò alcuni punti fermi nell’adeguamento della legislazione familiare ai paradigmi costituzionali e al rinnovamento dei costumi – come l’uguaglianza dei coniugi davanti alla legge, il patrimonio di famiglia condiviso secondo la comunione dei beni, la scomparsa della dote, la parità di tutti i figli, con quelli nati fuori dal matrimonio che acquistano gli stessi diritti dei cosiddetti figli legittimi e l’ammissione del tradimento del marito come legittima causa di separazione – significa interrogare il presente e immaginare il futuro.

Tante le questioni sul tappeto. Che senso ha oggi, per esempio, l’assegno divorzile, pensato in una logica di solidarietà coniugale di lunga durata, quando i matrimoni durano sempre meno? E come attuare i principi dell’affido condiviso, concretizzando nella pratica quella pari responsabilità genitoriale che la legge prescrive ma non attua? Oppure, come regolare le conclusioni sempre più rapide delle cause di separazione, con un bilanciamento corretto tra valutazione adeguata dei problemi e necessità di fare in fretta? Tentare di capire cosa rimane di quella coraggiosa ma già allora controversa legge quadro, vuol dire riflettere sulle condizioni della famiglia dei nostri giorni e sforzarci di guardare avanti. Perché, oggi come allora, la legge insegue le trasformazioni incessanti della realtà familiare e, oggi come allora, deve porre la massima cura per mettere da parte creazioni giuridiche che non intercettano bisogni concreti.

Già cinquant’anni fa, per arrivare alla riforma, gli scossoni sociali e politici furono terribili. Furono necessari nove anni di dibattito, con le spaccature provocate dalla lunga vicenda della legge sul divorzio e quella ancora più lunga del referendum per l’abrogazione della legge medesima, ma alla fine si arrivò all’approvazione con una larghissima maggioranza (unica astensione quella del Msi). Tante le discontinuità rispetto al precedente codice civile del 1942, dove si diceva ancora che “il marito è il capo della famiglia, la moglie è obbligata ad accompagnarlo ovunque egli creda opportuno fissare la sua residenza”. Con la riforma del 1975 si stabiliva invece che “con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti ed assumono i medesimi doveri”. Un cambio sostanziale, anche se dalla parità lessicale a quella sostanziale il passo non è stato così immediato e la riforma di mezzo secolo fa ha avuto bisogno negli anni di tanti correttivi, su aspetti specifici, per realizzare i suoi obiettivi. Nell’81, solo per citare le riforme più importanti, arrivò la cancellazione del diritto d’onore, nell’84 la nuova legge su adozioni e affido, nel 2006 quella sull’affido condiviso, nel 2012-13 la definitiva cancellazione della figura del “figlio illegittimo”, nel 2015 la legge sulla continuità affettiva e poi quella sul divorzio breve, nel 2016 le unioni civili. Senza considerare la riforma Cartabia, tuttora in corso, che pur senza entrare direttamente nelle dinamiche fisiologiche familiari, tocca fa vicino tanti aspetti patologici della vita di genitori e figli.

Tante riforme parziali, alcune importantissime altre meno efficaci, che però hanno inciso solo marginalmente sulla struttura della riforma e adesso, allo scadere di un anniversario così importante, si impone una riflessione più ampia. Su quali, tra i tanti aspetti della riforma di cinquant’anni fa, sarebbe necessario intervenire per adeguare le norme ai cambiamenti sociali?

Ne parliamo con Giulia Sapi, avvocato, responsabile della commissione famiglia e minori dell’Ordine degli avvocati di Milano, presidente Aiaf Lombardia (Associazione italiana avvocati per la famiglia e per i minori) inaugurando un dibattito che vivrà poi, in vista delle scadenze dei prossimi mesi, con alcuni importanti appuntamenti, tra rievocazioni e convegni.

«Intanto possiamo dire che la riforma incise davvero profondamente nel quadro legislativo del nostro Paese. Nel ’75 – ricorda l’avvocato Sapi – era in vigore anche ancora il codice fascista del ’42, che prevedeva tra l’altro la figura predominante pater familias. Affermare la perfetta parità dei coniugi e cancellare la differenza tra figli nati all’interno del matrimonio e figli illegittimi fu un significativo salto culturale. Teniamo presente che la modifica definitiva della filiazione, con la parità totale tra i figli, verrà completata solo nel 20122013, dopo altri 37 anni, per dire come alcuni capisaldi di una mentalità giuridica non più fondata sulla realtà delle relazioni siano a volte difficili da superare».

Sapi, tra gli altri coraggiosi passi avanti della riforma, sottolinea anche la possibilità della separazione non più soltanto per “colpa” di uno dei due coniugi. Insomma, minimizzare il portato di quella svolta non sarebbe giusto, perché le novità furono importanti, ma non si può neppure nascondere l’urgenza di guardare al futuro, avanzando proposte capaci di sviluppare quel percorso di adeguamento ai cambiamenti della società. «Uno degli aspetti più anacronistici – riprende l’esperta – riguarda certamente il regime patrimoniale della comunione dei beni, pensata all’epoca per tutelare il coniuge più debole, quindi la moglie, che nella maggior parte dei casi si dedicava alla casa e ai figli. In quel modello c’era una logica e un senso di giustizia.

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Ma oggi? E la dimostrazione è che sono pochissime ormai le coppie che scelgono la comunione dei beni». Visto che oltre la metà dei matrimoni naufraga già nei primi anni, il regime di comunione dei beni, osserva Sapi, andrebbe rivisto, con l’urgenza di pensare qualche nuova strada per evitare che il matrimonio, dal punto di vista patrimoniale, non diventi irrilevante. «Dobbiamo arrivare a un modello che tenga conto degli sforzi e degli investimenti fatti durante il matrimonio. Oggi l’unica forma di tutela che abbiamo è l’assegno divorzile – prosegue la responsabile della commissione famiglia e minori dell’Ordine milanese – ma è coerente con i matrimoni di breve durata, magari quando i coniugi sono ancora giovani? Che senso ha oggi applicare quello strumento che era stato pensato in un’ottica di solidarietà post-coniugale per matrimoni di lunga durata o comunque la ricostituzione di nuove famiglie era l’eccezione?».

Le proposte a questo riguardo, solo negli ultimi anni, sono state tante. Si è parlato di adottare il modello tedesco, più moderno e funzionale, oppure di arrivare a una “liquidazione” una tantum, uno a favore dell’altro/a, dove la parte debole non è più necessariamente la donna. «Oggi questa strada è possibile solo con un accordo delle parti, che il tribunale deve avallare ». Non è in discussione il mantenimento dei figli a cui ogni genitore è chiamato a provvedere in proporzione alle proprie disponibilità. Come non è in discussione il problema dell’affido condiviso – stabilito dalla legge del 2006 – ma le modalità con cui realizzarlo. Per tanto tempo si è parlato di “genitore collocatario”, dizione che non esiste nella legge, poi di “genitore prevalente”, altra libera interpretazione. Oggi l’atteggiamento dei giudici sta pian piano cambiando, per arrivare se non a una perfetta parità dei tempi, almeno a tempi equivalenti sotto il profilo dell’accudimento e dell’impegno educativo verso i figli.

Con la stessa logica si potrebbe arrivare a rivedere – come chiede una legge d’iniziativa popolare sostenuta da un nuovo Comitato di associazioni di genitori separati – l’assegnazione della casa, o perlomeno del suo diritto di godimento. Oggi, in nove casi su dieci, è assegnata alla mamma, mentre si vorrebbe venga attribuita al figlio, ribaltando la logica secondo cui sono i bambini e non i genitori a doversi spostare.

«Potrebbero essere sufficienti valutazioni da fare caso per caso – riprende Giulia Sapi – senza la necessità di intervenire sulla legge del 2006, considerando che il problema della casa si pone quando ci sono figli piccoli, mentre con un adolescente o con un figlio maggiorenne la valutazione dovrebbe essere diversa, ma per fare ciò è necessario che i giudici abbandonino gli automatismi». L’ultimo aspetto su cui l’esperta ci tiene a richiamare l’attenzione riguarda la rapidità dei processi di separazione, oggi arrivata a ritmi che, in troppe occasioni, costringono gli avvocati a lavorare in affanno. «Velocità e efficienza – fa notare – sono nemici della qualità. Ma è anche vero che, quando c’è un conflitto familiare e ci sono figli minori, c’è la necessità di decisioni rapide e dobbiamo mettere in sicurezza il nucleo familiare. Prima della riforma Cartabia c’era un rito diverso per genitori sposati e non sposati. Adesso si cerca di arrivare a un processo il più possibile “istruito” in modo tale che il giudice possa disporre di tutte la documentazione necessaria per prendere le decisioni migliori. Ma anche su questo aspetto andrebbe fatta una riflessione».





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