L’agricoltura senza chimica e la disinformazione alla TV pubblica | Butac

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Oggi parliamo di una puntata della trasmissione di Rai 3 Indovina chi viene a cena. Trasmissione guardata con rispetto da quasi 800mila spettatori, e che va in onda su un canale della televisione pubblica italiana.

Questo il testo con cui viene pubblicizzata la puntata a cui facciamo riferimento:

Una puntata di coraggio e di speranza.
C’è ancora chi crede nell’agricoltura senza chimica, nella protezione delle creature marine, nella salute di tutti e per tutti.
Sono giovani lontani dai social. Esempi per tutti noi, perché denunciano le inerzie dei decisori, e lo fanno lavorando.
Appuntamento questa sera, sabato 8 marzo, ore 21.20 su Rai3, con #indovinachiChiVieneACena.
Ospite in studio, come sempre, il Dott. Franco Berrino.

Noi di BUTAC dal 2022 collaboriamo con Agriscienza, per il quale blog abbiamo firmato sei articoli che, insieme a uno scritto per Federchimica nel 2020, smentiscono più o meno tutto quanto detto nella puntata dell’8 marzo 2025 di Indovina chi viene a Cena. La puntata dura un’ora e 45 minuti e chi appare in video è pagato per il suo tempo, noi no, pertanto non staremo a fare un’analisi integrale di quanto si sente in trasmissione; ci limiteremo a un breve riassunto del perché, fin dal post di partenza, si sta facendo disinformazione.

La chemofobia

Non esiste un’agricoltura “senza chimica” perché tutto è chimica. L’acqua, il suolo, le piante, i fertilizzanti naturali e artificiali, persino il compost, sono costituiti da composti chimici. Gli autori della trasmissione probabilmente intendono fare riferimento alla chimica di sintesi, contrapponendola alla chimica che è possibile trovare in natura, ma anche questa è un’affermazione problematica perché – anche se chi la applica e promuove non ama spiegarlo – anche l’agricoltura biologica usa sostanze chimiche che possono avere un impatto ambientale non trascurabile: un esempio emblematico è il rame usato come funghicida.

Demonizzare la chimica è sbagliato per tante ragioni, una su tutte il fatto che proprio la chimica e l’evoluzione in campo agricolo hanno permesso di aumentare la resa delle coltivazioni e sfamare così molte più persone di prima, con costi più contenuti. Ma è proprio grazie a trasmissioni come Indovina chi viene a cena (e il fratello maggiore Report) che la parola chimica è diventata sinonimo di pericoloso, di sintetizzato dall’uomo, di artificiale. E a proposito di “non chimico”, credo sia giunto il momento di parlare dei…

Grani antichi

Il romanticismo evocato dalla definizione di “grani antichi” piace moltissimo in questo genere di trasmissioni, peccato che il termine sia un’invenzione moderna, che serve a spingere l’idea che i grani cosiddetti antichi siano migliori di quelli moderni. Ma è una bugia, smentita da tempo, o meglio: si tratta di puro marketing che non trova supporto nelle evidenze scientifiche.

Quindi la trasmissione, raccontando dei giovani che lasciano il lavoro per andare a coltivare i “grani antichi” come esempio di “coraggio e speranza”, si sta prestando a disinformazione. I grani cosiddetti antichi, a paragone con i grani moderni, sono meno produttivi, più vulnerabili alle malattie e hanno una resa agricola inferiore, senza che sia provato che siano più salutari. Insistere su queste narrazioni senza spiegare il lato scientificamente documentato fa quasi venire il dubbio ci siano motivazioni commerciali dietro ai servizi.

Molte delle affermazioni che vengono portate a favore dei grani antichi non reggono a un’analisi scientifica rigorosa.

I grani antichi sono più digeribili e hanno meno glutine

È vero che alcuni studi hanno mostrato differenze nel contenuto di glutine tra grani antichi e moderni. I livelli di glutine possono oscillare molto anche all’interno della stessa varietà a seconda delle condizioni di coltivazione, e le variazioni riscontrate tra i grani cosiddetti antichi e quelli moderni sono minime. Inoltre la celiachia e la sensibilità al glutine non celiaca non dipendono dalla varietà del grano, ma dalla presenza di specifiche proteine. Nessun studio finora ha dimostrato che i grani antichi siano significativamente migliori per i celiaci o per chi soffre di sensibilità al glutine.

I grani antichi sono più sani e nutrienti

È vero che alcune varietà dei cosiddetti grani antichi hanno un profilo nutrizionale diverso, con più minerali come ferro e zinco, ma la differenza rispetto ai grani “moderni” è marginale e non sufficiente a determinare un impatto significativo sulla salute. I grani moderni sono stati selezionati per produrre più amido e proteine, garantendo un maggiore apporto calorico ed evitando carenze nutrizionali.

I grani antichi non hanno subito modifiche genetiche

In realtà anche i cosiddetti grani antichi sono il risultato di selezioni genetiche fatte nei secoli dagli agricoltori. Le varietà moderne non sono transgeniche (OGM), ma sono state migliorate con metodi di selezione per aumentare la resa e la resistenza alle malattie.

Berrino è uno scienziato, dovrebbe sapere che per sostenere queste teorie non si va a parlarne in TV, bensì si pubblicano ricerche scientifiche che vengono sottoposte alla revisione dei pari.

L’acqua informata

Sempre nella puntata dell’8 marzo viene raccontato che:

…l’agricoltura con acqua informata rappresenta una soluzione all’avanguardia, capace di migliorare la salute delle piante, la qualità del suolo e la sostenibilità delle coltivazioni.
Questa tecnica si basa sull’utilizzo di acqua trattata con frequenze specifiche, che stimolano i processi biologici delle colture e degli ecosistemi agricoli…

Ma anche qui siamo nel campo della pseudoscienza. L’idea che esista un’acqua che, grazie a vibrazioni e frequenze energetiche, assuma proprietà benefiche per le piante e l’ambiente è pari al credere che J.K.Rowling abbia scritto libri storici e non avventure sui maghi. Non esiste un singolo studio scientifico solido che abbia mai dimostrato che l’acqua possa trattenere o trasmettere informazioni in questo modo, darlo a intendere in TV è un altro assist a uno specifico marketing, quello legato all’agricoltura biodinamica®, altro grande cavallo di battaglia di queste trasmissioni.

L’acqua è una molecola semplice (H₂O), e la sua struttura chimica non cambia in modo permanente se viene sottoposta a vibrazioni o campi elettromagnetici. La teoria secondo cui l’acqua abbia una “memoria” è stata smentita da anni e non ha basi nella chimica o nella fisica. Le piante crescono grazie a fattori concreti e misurabili, come la composizione del suolo, l’apporto di nutrienti e la qualità dell’acqua in termini di minerali e pH. L’idea di acqua informata è strumentale a chi poi vende dispositivi per energizzarla o filtri che dovrebbero migliorarne la struttura.

Perché sarebbe meglio evitare?

Presentare teorie come l’”acqua informata” al pubblico televisivo, come se si trattasse di una seria tecnologia scientifica, induce gli spettatori a credere a quella che non è altro che pura disinformazione pseudoscientifica. Agricoltori che credono a quanto visto in TV potrebbero spendere soldi inutilmente, per dispositivi o trattamenti inefficaci, trascurando invece soluzioni agricole reali e basate sulla scienza. Si tratta di marketing new age per vendere prodotti che non hanno in realtà alcun effetto misurabile.

Indossare i panni dei nobili giornalisti investigativi che vi dicono quello che gli altri nascondono è una strategia ormai collaudata per veicolare disinformazione. Funziona perché parte da un presupposto condivisibile: il pubblico vuole verità, vuole sapere cosa si cela dietro le grandi narrazioni del potere, della scienza ufficiale, dell’industria alimentare. Il giornalismo investigativo, quando ben fatto, è un pilastro della democrazia, uno strumento fondamentale per smascherare inganni e manipolazioni. Peccato che in certi casi venga usato come strumento utile a dare una patina di credibilità a idee pseudoscientifiche.

Il meccanismo

Si tratta di un sistema molto semplice e collaudato: si parte da denunce condivisibili (ad esempio l’inquinamento, le distorsioni dell’industria alimentare, l’abuso di pesticidi), si costruiscono narrazioni che mescolano verità a mezze verità, per finire con il messaggio pseudoscientifico. Così facendo, almeno due generazioni di spettatori si sono convinte che esista l’acqua informata, che l’agricoltura biologica sia sanissima e “priva di chimica”, che la biodinamica sia una pratica autorevole e altre amenità simili.

Questo modo di fare funziona grazie agli stessi esatti meccanismi di alcune teorie del complotto: il pubblico a casa si sente parte di una ristretta cerchia di “illuminati” che scoprono, con la conduttrice, verità che agli altri restano nascoste. Verità che rafforzano i pregiudizi verso la scienza ufficiale, quella in cui crede la massa. In questo modo, purtroppo, trasmissioni che dovrebbero informare finiscono per contribuire alla diffusione di false credenze, arrivando a divenire parte di un preciso schema di marketing pseudoscientifico.

Il danno più grande è che chi segue queste trasmissioni non ha gli strumenti per distinguere tra vera indagine giornalistica e propaganda pseudoscientifica. La televisione pubblica, da queste redazioni, dovrebbe pretendere verifiche, rigore e trasparenza, oltre che un costante confronto con il metodo scientifico. Lo storytelling che viene invece preferito è quello emozionale, che serve a dare credibilità a narrazioni che altrimenti non ne avrebbero, e che purtroppo ci riesce benissimo.

Non credo sia necessario aggiungere altro.

maicolengel at butac punto it

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