Novarese è Il docente di Economia all’Università del Piemonte Orientale: studia da anni l’evoluzione del settore e il mercato globale.È un ecosistema: un solo episodio negativo può danneggiare tutto
Il turismo nelle colline piemontesi sta attraversando una profonda trasformazione, tra nuove esigenze dei viaggiatori, digitalizzazione e sfide economiche. Marco Novarese, docente di Economia all’Università del Piemonte Orientale e fondatore del Master in Turismo dell’ateneo, studia da anni l’evoluzione del settore, analizzando le dinamiche che legano offerta turistica, sviluppo territoriale e mercato globale.
Professore, qual è il dato che più l’ha colpita studiando l’evoluzione del turismo nelle colline piemontesi?
«Negli ultimi anni il turismo ha subito trasformazioni profonde. È un settore tradizionale, ma tra i più influenzati dal digitale, che ha introdotto nuovi strumenti di marketing e gestione. La pandemia, le guerre e i cambiamenti economici hanno inciso profondamente, modificando comportamenti e aspettative dei viaggiatori. In Piemonte c’è una forte spinta verso il turismo, a volte con un eccesso di ottimismo, come se fosse la soluzione per colmare altri vuoti economici».
Si percepisce una crescita uniforme o permangono disparità nel settore?
«La situazione è estremamente variegata. Esistono realtà avanzate dal punto di vista gestionale e tecnologico che convivono con aziende ancora molto indietro. Questo crea differenze marcate: dal piccolo operatore familiare alla struttura che compete a livello internazionale. Il problema è che il turismo è un ecosistema: un singolo episodio negativo può danneggiare l’intera reputazione di un’area».
Il turismo esperienziale è sempre più centrale. Quali sono le opportunità e i rischi di questa tendenza?
«L’esperienza è diventata la parola chiave del turismo. I viaggiatori cercano autenticità, esperienze uniche legate al territorio, come la visita in cantina o la partecipazione alla vendemmia. Tuttavia, c’è un equilibrio delicato: per vendere un’esperienza si rischia di perderne la genuinità. Inoltre, offrire esperienze richiede competenze specifiche: saper produrre un vino eccellente non significa automaticamente saper accogliere e gestire i turisti».
Gli operatori del settore sono consapevoli di queste dinamiche o il turismo viene ancora gestito con un approccio improvvisato?
«Alcuni hanno capito l’importanza della formazione e dell’aggiornamento, altri procedono in modo più istintivo. Il problema principale è che il turismo non viene sempre percepito come un settore strategico. C’è ancora l’idea che sia un’attività secondaria, che non possa sostituire l’industria pesante nel tessuto economico. Questo porta a sottovalutare la necessità di investire su competenze e professionalità».
Quanto il turista guida l’offerta e quanto, invece, è l’offerta a modellare il turista?
«Domanda complessa. Il turismo del vino, per esempio, non è nato in Italia o in Francia, ma negli Stati Uniti e in Germania, dove c’era meno cultura vinicola e quindi più necessità di promuoverla. Questo dimostra che non sempre il turista si crea da solo: spesso è il mercato che sviluppa una domanda. Tuttavia, c’era già prima chi visitava le cantine per assaggiare i vini. La differenza è che oggi esiste una narrazione più strutturata, che trasforma tradizioni consolidate in veri e propri prodotti turistici».
Quali sono, a suo avviso, le principali opportunità e criticità del turismo nelle colline piemontesi?
«Tra i punti di forza c’è la possibilità di coniugare turismo e autenticità: le colline piemontesi, pur essendo sempre più attrattive, non hanno ancora subìto una trasformazione totale in senso turistico, come accaduto in altre zone d’Italia. Il rischio maggiore, invece, è la scarsa propensione all’investimento, soprattutto in formazione e qualità del lavoro. Se il settore non riesce ad attrarre e trattenere persone qualificate, rischia di perdere competitività».
Un aggettivo per definire il “nostro” turismo?
«Autentico. E con ancora ampi margini di innovazione».
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