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La sanità territoriale continua a essere al centro del dibattito politico per trovare la quadra che permetta di mantenere l’universalità e l’equità di accesso alla salute da parte dei cittadini italiani. Tra i nodi da sciogliere, quello della tenuta della rete della Medicina Generale è uno dei più critici: sono sempre di meno e c’è il rischio che si arrivi a un punto di non ritorno per l’eccessivo numero di pazienti che ciascun MMG si trova a dover gestire. Tra le soluzioni proposte c’è chi parla di passaggio dalla convenzione alla dipendenza. Può essere la strada giusta? Ed è sostenibile dal punto di vista socio-economico? O si possono trovare soluzioni migliori? Ecco la “ricetta” che abbiamo raccolto dal presidente FNOMCEO, Filippo Anelli.
La fondazione GIMBE ha lanciato un allarme relativo alla tenuta della medicina generale. Ha parlato di “rischio di estinzione” del medico di famiglia, tra l’attuale carenza di 5.200 unità e i previsti 7.300 pensionamenti da qui a due anni. Il rischio di estinzione è concreto?
«Perdere i medici di famiglia sarebbe una iattura per il Sistema sanitario nazionale, perché rappresentano l’equità di accesso alle cure da parte dei cittadini, che scelgono personalmente il proprio medico. Il rischio di estinzione esiste: nel nostro Paese sarebbe necessario un MMG ogni mille abitanti, il che corrisponderebbe a circa 50mila medici di famiglia. Oggi siamo a 37 mila unità, con un trend in discesa. La preoccupazione è reale e l’idea di rendere il MMG un dipendente del SSN si inserisce in questa eventualità perché, senza la libera scelta da parte dei cittadini e la conseguente continuità di cura, si correrebbe davvero il rischio di scomparsa della figura del medico di famiglia».
Tra le criticità che vive la medicina generale c’è anche una certa ritrosia dei giovani medici a scegliere questa specializzazione. Si parla del 15% delle borse di studio non assegnate a livello nazionale e di regioni in cui ne sono state coperte solo sei su dieci. È così poco attrattiva questa professione agli occhi dei nuovi camici bianchi?
«Ci sono due aspetti: il lavoro e la formazione. Le borse per formarsi in Medicina Generale sono poco attrattive perché hanno un valore che è la metà di quelle per le specializzazioni. Un giovane che deve scegliere come formarsi preferisce prendere 1.600 euro al mese con la specializzazione per quattro-cinque anni, piuttosto che 800 euro per tre anni. Oltre al fatto che il contratto per la specializzazione prevede anche una serie di tutele ad esempio per la maternità.
Le borse per formarsi in Medicina Generale sono poco attrattive perché hanno un valore che è la metà di quelle per le specializzazioni
Quanto al lavoro in sé, devo dire che la Medicina Generale è sempre stata molto attrattiva per i giovani soprattutto per la possibilità di instaurare un rapporto vero ed empatico con gli assistiti, che normalmente vengono seguiti lungo tutta la loro vita. È un lavoro che affascina per l’autonomia di questa professione e per l’empatia che esso esprime. Oggi però i carichi di lavoro sono aumentati moltissimo, soprattutto a livello burocratico. Il che porta a dover sacrificare la relazione con i pazienti: una cosa non proprio attraente per un medico che voglia svolgere il proprio lavoro con passione. Basti pensare che oggi in media ogni MMG ha in carico 1.300 cittadini, con punte di 1.800 e oltre in alcune realtà del Nord. Si capisce quindi lo snaturamento della figura del medico, che deve rendere un numero troppo elevato di prestazioni. Aggiungiamo poi che la professione è imbrigliata, ad esempio a causa della ridotta l’autonomia prescrittiva dovuta ai piani terapeutici.
Ancora, viene sacrificata molto anche la possibilità che il MMG avrebbe di fare ricerca. Un’attività praticamente scomparsa, che invece andrebbe incentivata. Ne ho parlato recentemente con il presidente dell’Istituto superiore di Sanità (ISS), Rocco Bellantone, perché la quantità di dati che raccoglie il MMG permetterebbe di fare ricerche epidemiologiche e di genere estremamente interessanti. La reazione di Bellantone è stata di grande apertura. Si tratta di mettere in moto un sistema di lavoro».
Eppure non si può pensare a un mancato cambio generazionale del medico di famiglia, soprattutto alla luce delle dinamiche demografiche e delle conseguenze che esse portano con sé in termini di cronicità. Quale “ricetta” ritiene più utile per non rimanere scoperti?
«Vedo diverse soluzioni che prevedono alcune un impegno economico minimo, altre più importante. In primis, dovremmo chiamare il medico di famiglia “Specialista in Medicina Generale”, un aspetto formale che però darebbe maggiore prestigio alla categoria. Nel tempo la differenziazione dei titoli ha portato a ritenere che gli specialisti organo-specifici fossero superiori agli specialisti olistici (i MMG), ma credo sia giusto che il titolo sia uguale perché deriva da un’analoga formazione post lauream. Come dicevo prima andrebbe conseguentemente allineato il valore delle borse di studio. Si tratta di una misura che avrebbe un costo stimato di 25-30 milioni di euro all’anno. Un costo che credo sia accessibilissimo per il Sistema che consentirebbe di dare un immediato impulso a nuovi ingressi nella Medicina Generale.
Allo stato attuale viene sacrificata molto anche la possibilità che il MMG avrebbe di fare ricerca
Ancora, bisognerebbe togliere i legacci di carattere prescrittivo, i piani terapeutici delle malattie croniche, così da restituire autonomia e valore professionale al MMG. Del resto lo abbiamo visto durante la pandemia: con l’abolizione dei piani terapeutici la sanità è migliorata.
A ciò si deve aggiungere l’obbligo di avere un supporto amministrativo di almeno un collaboratore di studio. In questo senso, la Regione Puglia fa da apripista: ha sottoscritto un accordo che prevede che il MMG deve avere un collaboratore che lo supporta negli aspetti burocratici per almeno 10 ore alla settimana, economicamente coperte dalla Regione. È un primo cambio di rotta».
Recentemente è tornata in auge l’ipotesi di trasformare la convenzione dei medici di medicina generale in un rapporto di dipendenza dal SSN. Quale potrebbe essere a suo avviso una SWOT analysis di questa eventualità? Sarebbero di più i punti di forza e le opportunità o i pericoli e le debolezze di un cambiamento di questo tipo?
«Se il cambio avvenisse a costi invariati, la sostenibilità economica della trasformazione porterebbe a un dimezzamento immediato del numero attuale di MMG. A meno che il Governo non voglia investire risorse in questo senso. Naturalmente dimezzare il numero di MMG non farebbe che precipitare le performance della sanità territoriale.
A questo proposito è bene ricordare che nell’OCSE l’Italia è tra i Paesi con il più basso rapporto per quota del PIL investita in sanità, ma tra le nazioni che hanno performance migliori. Come testimonia la longevità della popolazione. Il che significa che il nostro SSN, che parte dalla sanità territoriale fatta in gran parte dai MMG, è molto efficiente.
L’Italia è tra i Paesi OCSE con il più basso rapporto per quota del PIL investita in sanità, ma tra le nazioni che hanno performance migliori
I medici di famiglia non vedono di buon occhio l’eventuale dipendenza dal SSN, perché verrebbe meno la tipicità del suo lavoro che è in larga parte contraddistinto dall’essere a disposizione dei cittadini, in qualche modo a prescindere dal numero di ore di lavoro. La mia preoccupazione in caso di passaggio dalla convenzione alla dipendenza è che si riduca l’efficienza e l’equità di accesso alla salute. A oggi, non ci sono studi scientifici che indichino che questa sia la strada giusta per una migliore assistenza sanitaria alla popolazione».
Gli ultimi anni hanno fatto comprendere che la chiave di volta per continuare a garantire una sanità pubblica con caratteristiche di universalità ed equità è agire sulla sanità territoriale. Perché è qui che si può lavorare per evitare molta parte delle complicanze e delle acuzie che richiedono interventi diagnostici e terapeutici molto onerosi dal punto di vista economico e sociale. Quale deve essere (e può essere) a suo avviso il nuovo ruolo del medico di medicina generale?
«Stiamo andando verso una medicina sempre più personalizzata. Con il progetto Genoma si potrà avere una conoscenza precisa dei fattori che possono influenzare la propria salute. In questo senso il MMG dovrà affrontare sempre più il tema delle scienze “omiche”. Piuttosto che perdersi nelle chiacchiere del passaggio da convenzione a dipendenza, mi concentrerei su un progetto di sviluppo della Medicina Generale verso la medicina personalizzata. È questa la sfida del futuro. E ha un grande strumento a disposizione per poter essere affrontata con successo: l’intelligenza artificiale».
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