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Non parteciperei mai a una manifestazione indetta dall’intellettuale progressista Michele Serra, ma lasciano esterrefatte le critiche di larghi ambienti di sinistra alla sua iniziativa europeista… Il corsivo di Cazzola
Nulla di personale, ma solo diverse e radicate convinzioni politiche. Per questi motivi penso che non aderirei mai ad una manifestazione organizzata da Michele Serra. Tanto meno a quella promossa per il 15 marzo anche se trovo “nobile” il suo intento, quello di “una manifestazione di sole bandiere europee, che abbia come unico obiettivo (non importa quanto alla portata: conta la visione, conta il valore) la libertà e l’unità dei popoli europei, avrebbe un significato profondo e rasserenante per chi la fa, e si sentirebbe meno solo e meno impotente di fronte agli eventi”.
Questa iniziativa mi ha ricordato (non me ne voglia Michele Serra) la “Crociata dei poveri”, organizzata da Pietro l’eremita per liberare il “Santo Sepolcro”, alla guida di un popolo inerme, disarmato, con appresso donne e fanciulli, che venne sterminato dai turchi. Il proposito era quello di compiere la missione attraverso la preghiera e la pace, senza dover ricorrere alle armi e alla violenza. Strada facendo il “popolo di Dio” non esitò a compiere saccheggi e a sterminare comunità di ebrei, ma allora si trattava di azioni ritenute doverose e benemerite, come è accaduto anche nei secoli successivi, fino ai nostri giorni.
Certo, oggi siamo in grado di dare un giudizio storico diverso della stagione delle Crociate e vederne gli aspetti proto colonialisti dell’Europa, nonché di riconoscere l’antica pratica di fornire ad interessi politici ed economici una copertura di idealità simulata. Ma se – tutto sommato – l’obiettivo di quei tempi era espugnare Gerusalemme, l’impresa riuscì alle armate guidate da Goffredo di Buglione. Il problema che abbiamo oggi non è quello di auspicare la “Gerusalemme celeste” del Manifesto di Ventotene, ma difendere l’Europa dei 27 Stati che costituiscono l’Unione, nella consapevolezza che il continuare ad existere precede necessariamente il philosophari.
E qui si evidenzia l’equivoco che è alla base della manifestazione del 15 marzo e che ha consentito a tante organizzazioni e a singole personalità di aderire con proprie motivazioni, spesso contrapposte a quelle di altri. Michele l’eremita ha delle scusanti: i tempi si sono fatti tanto brevi da cambiare più volte il contesto da quando il nostro ha avanzato la sua proposta. Ora, però, non si può sfuggire alla realtà dei fatti: Trump dà corso con la regolarità di un cronografo svizzero (si sarebbe detto una volta) alle sue minacce al punto di avallare non solo le motivazioni con cui Putin ha giustificato l’aggressione dell’Ucraina, ma di schierare a fianco dei russi la tecnologia americana. La sospensione netta ed improvvisa della collaborazione delle intelligence è un vero e proprio crimine di guerra ai danni delle popolazioni civili dell’Ucraina. Trump è arrivato persino a vantarsi di aver consentito a Putin di intensificare i bombardamenti in seguito al disimpegno degli USA. L’Unione europea e i principali Paesi del Continente hanno varato e condiviso un piano di riarmo sulla base di un’analisi che tiene conto sia del voltafaccia degli Usa, sia delle mire espansionistiche di Putin. Hic Rhodus, hic salta.
Ha ragione Macron quando ribadisce che la minaccia russa non riguarda solo l’Ucraina? Oppure hanno ragione quanti (ormai sdoganati dallo stesso Trump “belli capelli”) hanno sostenuto nel corso dei mille giorni di martirio ucraino che le responsabilità chiamano in causa la Nato perché “abbaiava” ai confini della Russia; ma che di Putin ci si può fidare?
Tutto ciò premesso, ci sono alcuni aspetti che lasciano stupefatti. Michele Serra non viene criticato da coloro che lamentano il suo andare a caccia di farfalle in un’Europa che non esiste (e di tacere a proposito del piano di riarmo europeo), ma da gran parte dell’opinione pubblica ultrapacifista che gli imputa di non aver messo al centro della manifestazione l’opposizione al ReArmEU. Anzi diventa proibito aggiungere l’aggettivo “giusta” alla parola “pace” perché – come ha scritto, in un articolo su Il Fatto Paolo Ferrero, già ministro nel secondo governo Prodi– “oggi la parola d’ordine dell’Europa e della pace giusta serve unicamente a sostenere la prosecuzione della guerra e dell’orribile massacro in corso in Ucraina”. E Michele Serra viene paragonato a Luigi Arisio, il promotore della “marcia dei 40mila” dell’ottobre del 1980 a Torino; perché: “oggi come ieri parole d’ordine altisonanti ed accattivanti coprono una operazione reazionaria”.
In un’intervista a Il Manifesto, il presidente dell’Arci Walter Massa, non esita ad affermare che la manifestazione convocata da Michele Serra “rischia di trasformare un giusto sentimento in un sostegno incondizionato alle politiche di guerra che l’attuale Commissione d’intesa con gli stati membri sta portando avanti”. È sufficiente navigare sui social per imbattersi in tante persone note o meno note che prendono le distanze dalla manifestazione del 15 pv, rifiutandosi persino di aderire con una propria motivazione (come fanno l’ANPI e la Cgil che manifesteranno contro il riarmo), per un’esigenza di assoluta chiarezza. Solo il Pd si avvale della vaghezza sarchiaponesca di Michele Serra, perché non potrebbe fare altrimenti a causa delle sue divisioni interne. In conclusione, l’iniziativa del 15 marzo, per ora, ha avuto un solo merito: quello di aver indotto le quinte colonne putiniane a gettare la maschera dei distinguo simulati fin dall’inizio dell’aggressione russa e a chiarire che per loro la pace è sinonimo di resa, alla stregua di quanto ritiene giusto Trump. Tutto sommato è una linea di condotta che – per quanto oscena – è più lineare ed onesta della posizione di coloro che sono contrari all’impiego, nell’approvvigionamento di armamenti e relative infrastrutture, di quei fondi di coesione che solitamente non vengono spesi se non in minima parte.
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