Siria, il vescovo Jallouf: non è una nuova guerra civile

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Il vicario apostolico di Aleppo parla degli scontri degli ultimi giorni tra le attuali “forze governative” e gli alawiti, in gran parte ex-assadisti, nelle zone costiere del Paese mediorientale: quando c’è un cambio al vertice “così repentino ci vuole tempo per la stabilizzazione politica, sociale e militare”. A causa delle violenze al momento sarebbero morte oltre 1.300 persone, tra le quali anche donne e bambini

Roberto Cetera – Città del Vaticano

Cosa sta succedendo in Siria? Gli scontri armati degli ultimi giorni stanno precipitando di nuovo il Paese verso una guerra civile? Il nuovo regime di Ahmed al-Sharaa sta tradendo le promesse di riunificazione nazionale e di tolleranza verso le minoranze? I media vaticani lo hanno chiesto al vescovo Hanna Jallouf, vicario Apostolico di Aleppo e guida spirituale dei cattolici latini di Siria. “Dalle notizie che riusciamo a raccogliere attraverso i nostri fedeli e dalla versione ufficiale delle autorità governative – spiega – sembrerebbe che miliziani rimasti fedeli al deposto presidente Bashar al-Assad abbiano tentato un’insurrezione armata tesa a ribaltare l’attuale regime, iniziativa che è stata poi duramente repressa dalle forze filo-governative. Da una prima ricostruzione sembra che l’iniziativa sarebbe stata pianificata nei giorni precedenti in un incontro tra gli ex funzionari alawiti del governo di Assad, il comparto siriano di Hezbollah, e le milizie sciite filo-iraniane. Il teatro di questi scontri è stato tuttavia limitato alla fascia costiera mediterranea, iniziati a Jableh ed estesisi lungo la provincia di Latakia, fino al limite interno della città di Homs. Durante il primo attacco una ventina di soldati del nuovo governo sarebbero stati uccisi, e altrettanti in un secondo attacco ad un checkpoint presidiato dai governativi. Da ciò è poi scaturita la reazione molto dura di forze governative che ha determinato centinaia di morti. Purtroppo mi risulta che anche alcuni cristiani sono rimasti uccisi; ma accidentalmente, non in quanto cristiani”.

È il segno del ritorno, dopo appena tre mesi, della guerra civile in Siria?
Sarei portato a dire di no. Per diversi motivi. Intanto occorre notare che si tratta di episodi molto localizzati, che finora non si sono estesi al resto del Paese. Qui ad Aleppo, ma anche a Damasco, la situazione è del tutto tranquilla. In secondo luogo, bisogna considerare che quando avviene un cambiamento di regime così repentino come quello dell’8 dicembre scorso — e in un Paese dilaniato da anni di guerra civile — perché la situazione politica, sociale e militare si stabilizzi occorre un periodo di tempo anche non breve, nel quale possono verificarsi tensioni forti. Entrano in gioco anche interessi personali o di clan compromessi e che cercano una rivincita. Terzo, dobbiamo avere a mente che quando parliamo di “forze governative” non stiamo parlando di un esercito strutturato (quello precedente si è sciolto come neve al sole), ma di gruppi armati guidati da Hayat Tahir al Sham. Non rispondendo ad un comando unico è possibile che alcuni di questi gruppi agiscano con una violenza eccessiva nei confronti degli insorti.

Questo non contraddice gli appelli alla pacificazione nazionale che erano stati espressi dalla nuova leadership dopo il cambio di regime?
Mi sembra che le parole espresse in queste ore dal presidente pro-tempore al-Sharaa siano improntate alla prudenza e alla responsabilità. Da un lato ha detto che, appunto, una resistenza ostile da parte dei nostalgici del vecchio regime era da attendersi e va respinta con forza, dall’altro lato continua a sostenere che non c’è altra strada per la Siria che non sia quella di una pacificazione nazionale, attraverso la convivenza tra le varie etnie e credi religiosi che vivono su questa nostra terra.

Cosa succede invece al confine tra Siria e Israele?
Israele continua ad occupare territori siriani oltre il vecchio confine del Golan, e a quanto pare senza che questo abbia il carattere della temporaneità. Israele giustifica le ultime azioni militari come difesa e supporto alle popolazioni druse. Vi sono state forme di violenza nei confronti dei drusi da parte di milizie islamiche autonome a Suwayda e a Jaramana, un sobborgo della capitale, che il governo di Damasco non è riuscito ad impedire. Ma resta da capire quali siano le autentiche intenzioni di Israele. Così come non sono chiare le reali intenzioni degli altri soggetti che storicamente hanno un ruolo in questo scacchiere: Russia, Usa e Turchia. Confidiamo che non vi siano più interessi stranieri che fomentano divisioni interne: la Siria deve tornare unita e per essere unita deve essere indipendente.

In un contesto così precario e teso qual è il ruolo dei cristiani?
Noi teniamo fede alle promesse fatte dal presidente al-Sharaa di rispetto e compartecipazione di tutte le minoranze, siano esse etniche o religiose. Vogliamo vedere ora anche azioni concrete in tal senso da parte del nuovo governo. Anzi, noi non vogliamo essere considerati più minoranza, ma partecipi di uguali diritti e doveri nella nuova Siria. Io, insieme ad altri vescovi delle confessioni cristiane, ho partecipato al congresso promosso per la stesura della nuova Costituzione. Abbiamo formulato le nostre proposte in termini di pace, unità, indipendenza e multi-religiosità. E sono state verbalizzate ed accolte. Ci attendiamo che anche la comunità internazionale sappia dare il suo contributo alla costruzione della pace in Siria.
 



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