VISTO DA SINISTRA/ Se la nuova difesa Ue prepara la scissione della “famiglia progressista”

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Il Pd sta vivendo una difficile e dilaniante crisi interna, come anche le forze di maggioranza. La perdita del punto di riferimento dell’Alleanza atlantica come momento identitario per le forze progressiste italiane sin dai tempi di Berlinguer rimette al centro un tema di grande rilievo: quali sono i veri obiettivi di una forza democratica moderna e quali gli alleati con cui si intende perseguirli.



Il modello di Stato sociale europeo è sotto aggressione costante da parte dei sistemi finanziari sovranazionali che vorrebbero impadronirsi di quei servizi per renderli a pagamento come avviene negli Stati Uniti. Il costo che l’Europa dovrà pagare nei prossimi mesi per il venir meno della protezione degli americani rischia di rimettere in crisi in tutto o in parte quel sistema, basato su un lunghissimo periodo di pace e una ridotta spesa per il mantenimento dei sistemi bellici.

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Ora che la sicurezza dell’Europa torna nelle mani dei singoli Stati che ne fanno parte, è inevitabile immaginare un aumento dei costi, ma il punto resta come tenere in piedi un sistema di welfare estremamente costoso e contemporaneamente aumentare la spesa per armamenti, cosa che  non è alla portata dei bilanci pubblici.

Quindi o ci si impunta su di un’Europa forte e politicamente e militarmente unita, e che tutela i diritti esistenti tutelando se stessa, oppure si accetta di rendersi vassalli di una delle grandi superpotenze in cambio della possibilità di mantenere inalterata la propria coscienza ed alcuni diritti, solo quelli che oggi vengono garantiti dai singoli Stati.



Tra i progressisti europei sicuramente c’è chi ricorda ancora la lezione dei padri fondatori dell’Unione, che volevano un sistema difensivo europeo, ma al contempo c’è un pezzo di sinistra italiana che ritiene ancora di poter giocare un ruolo di sponda tra le grandi potenze, mettendosi al riparo dell’una o dell’altra per poter continuare a fare il proprio gioco.

Così fece con l’Unione Sovietica fino alla svolta del 1976 di Enrico Berlinguer, per poi scoprire che si stava meglio sotto l’ombrello della Nato, quando apparve chiaro che il sistema sovietico era profondamente incompatibile con l’idea di eurocomunismo.

Ora che anche quell’ombrello Nato è venuto meno, è impensabile rimanere esposti alla pioggia senza che nessuno si prenda cura della difesa. Chi pensa che il pacifismo sia utile per non farsi aggredire ha dimenticato che in questa fase storica, purtroppo, la debolezza militare induce i più forti ad approfittarne per fare conquiste territoriali e mettere bandierine.

Un esempio semplice è quello di Erdogan, che si è piazzato in Libia grazie alla propria forza militare scoprendo di avere un ruolo e un’influenza nella regione asiatica e dello scacchiere europeo e mediterraneo proprio grazie all’apparato bellico che ha costruito in anni di devozione ad un’idea di autonomia e supremazia militare. L’effetto è che la Turchia è diventato un player talmente rilevante da non poter essere più ignorato.

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È quindi necessario che i partiti progressisti facciano una scelta chiara. O spingono per un’unione politica e militare di tutti i Paesi europei, o almeno di quelli che ci stanno, per poter creare un nucleo democratico da contrapporre alle diverse visioni del mondo delle superpotenze che oggi tutelano i propri interessi anche con le armi, o si sceglie una posizione isolazionista e con la netta idea di diventare irrilevanti sul piano geopolitico, accontentandosi di essere accolti sotto le braccia di qualche grande potenza globale che in cambio chiederà – ormai l’Ucraina lo insegna – di avere chiari ritorni economici per la protezione accordata.

In questo contesto è evidente che non è più tempo di battaglie per l’avanzamento dei diritti civili o per rinfocolare l’antica dinamica tra padroni e operai. La lettura marxista della società è andata semplicemente in frantumi perché la dinamica tra capitale e lavoro e in realtà oggi del tutto inesistente e lo sarà ancor più domani. La quantità di denaro nelle mani dei grandi agglomerati finanziari non è più utilizzata solo al fine della produzione, ma come vero strumento di guerra a geopolitica, come accaduto a Panama per l’acquisto dei porti a prezzi fuori mercato.

Il lavoro a breve perderà la sua connotazione tradizionale e tra strumenti di intelligenza artificiale ed automazione spinta, le sfide che si aprono sono del tutto inedite. Come si porrà in quest’ottica la famiglia dei progressisti? Se lo chiedono da Schlein a Prodi, da Gentiloni a Renzi, da Calenda fino ad Avs.

La risposta è semplice: i progressisti si spaccheranno profondamente tra chi continuerà a credere di giocare al vecchio gioco del novecento, sperando di ottenere i risultati di breve periodo, e chi sceglierà invece una strategia diversa e di più lungo periodo, finalizzata a costruire l’Europa di Spinelli e del Manifesto di Ventotene.

L’idea di un’Europa federata e con una difesa comune presuppone un sacrificio ed uno sforzo complessivo tale da dover spiegare a tutti i cittadini che stiamo difendendo le conquiste che abbiamo fatto. E presuppone un abbraccio netto e senza dubbi delle attuali proposte in campo da parte della Commissione europea, perché l’autonomia della difesa europea è un presupposto indiscutibile per garantire il progresso della nostra società e la sua autonomia di fronte alle scelte delle grandi potenze continentali.

Come spesso accade nella sinistra italiana, i grandi scismi e le grandi rotture sono sempre avvenute su temi di politica estera e anche questa volta si profilano posizioni del tutto inconciliabili, e che sfoceranno inevitabilmente in un rimescolamento complessivo del quadro politico anche nazionale.

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