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Centinaia di miliardi pronti per essere spesi per riallineare l’Europa ad una politica di difesa efficace nel quadro dei mutati scenari geo politici e di fronte ai diktat del suo alleato egemone fondamentale, gli USA.
Ma per riarmarsi bisogna avere una chiara idea di cosa politicamente e militarmente ci si appresta a fare. In questo dibattito non vedo peraltro uno straccio di ragionamento tecnico. L’unico messaggio chiaro è che in Europa occidentale non ci sono “armi” in grado di sostituire gli USA per permettere all’Ucraina di difendersi dalla Russia.
Almeno nei tempi passati qualche slogan significativo si inviava: “otto milioni di baionette” è di una lapidaria chiarezza. Ma oggi non credo basti dire “otto milioni di droni” e “un milione di satelliti”. C’è qualcosa che stona in questo dibattito sulla necessità per l’Europa di prepararsi alla difesa in condizioni tecniche adeguate. E la chiarificazione del rapporto con Trump e gli USA appare sempre più ambigua. La stessa Giorgia Meloni, graniticamente atlantica e la più restia a lamentarsi delle esternazioni di Trump, parla di necessità per l’Europa di (ri)conquistare una autonomia strategica. Le contestazioni di Schlein riguardano la dimensione prevalentemente italiana del progetto di Meloni accusandola di non promuovere adeguatamente una piena guida europea del sistema militare. Ma cosa questo significhi (al di là di manovre congiunte, sistemi d’armi coordinati, scambi di informazioni, etc.) non è certamente chiaro.
Negli anni cinquanta del secondo dopoguera era facile definire la difesa. Il nemico era all’est, oltre la soglia di Gorizia, e servivano sia truppe schierate, un po’ di nucleare e in caso di necessità Gladio. Oggi dobbiamo capire da cosa difenderci, dando per scontato che comunque il “nemico” è tutto ciò che cerca di approfittare dell’attuale debolezza “dell’Occidente”. Russia in testa, ma non solo.
Da cosa difenderci
Escludiamo per ora la possibilità che cavalli cosacchi rivogliano tornare ad abbeverarsi a piazza S.Pietro. Per “salvare la democrazia” (dal voto degli elettori) dovremo difendere i confini dagli aspiranti immigrati che sperano di trovare qualche buco su cui infilarsi. Sicuramente dovremo proteggere le linee di comunicazione (particolarmente quelle oceaniche e medio-oceaniche) dai tentativi di tagliare i cavi o interrompere i collegamenti con i satelliti. Analogamente dovremo coordinarci per capire meglio le forme di guerra ibrida che si stanno imponendo, sia digitale (con rilievo economico) che di inquinamento informativo, senza dimenticare il “terrorismo” e la necessità di distinguere questo dal semplice conflitto sociale (se proprio vogliamo salvare qualche straccio di democrazia). Elemento fondamentale poi sarà il controllo della libertà “logistica”, perlomeno per i buoni, attraverso la libera navigazione marittima. Ci sono poi compiti di polizia non facilmente distinguibili da azioni militari: la guerra contro la droga e in generale contro attività criminali anche di forte rilievo finanziario. Potrebbe essere ad es. il caso di Musk con Starlink. Senza dimenticare tutto quello che può preoccupare sul piano sanitario delle epidemie e di quella che un tempo si chiamava guerra batteriologica. Su tutto questo finora si è fatto affidamento agli USA anche quando qualche decisione parziale non era del tutto gradevole.
Ma poi bisogna arrivare alle questioni “hard”. Le vere e proprie azioni di conquista territoriale eseguite sia da organizzazioni statali riconosciute (con seggio all’ONU) sia da compagini militari private, talvolta attivate nei confronti di stati falliti o inesistenti. La dimensione di questi interventi non può essere lasciata al caso (magari occasionali decisioni ONU) e va catalogata in un progetto di difesa dove l’Unione Europea o la Nato, se ancora esisterà, si trovino in condizioni tali da dover intervenire, sia nei confronti di propri confini minacciati, sia in aree esterne ad essi. Il caso Russia è la cronaca principale ma in realtà sono ben ampi i soggetti coinvolti in queste azioni. Anche Israele e la Turchia non scherzano.
Attività di “difesa” di questo tipo non sono certamente nuove e la stessa Italia è impegnata in una ampia varietà di situazioni. Ma attualmente si cerca di classificarle come azioni di “peace keeping” o di intervento in spazi umanitari, rispetto a cui conta relativamente poco una organica capacità militare. Non è casuale che oltre agli stati in queste situazioni ci sia ormai quasi una prevalenza di quel settore nebuloso che si riferisce alle ONG.
A casa nostra c’è qualcosa da rivedere
Negli anni recenti Caracciolo e Limes (assieme a molti altri fans della geo politica) hanno con insistenza affermato la necessità di un rafforzamento militare dell’Italia a supporto riconosciuto dell’alleato egemone (USA) nello spazio marittimo del Mediterraneo e nelle aree africane connesse, sia di mare oltre Suez sia nella fascia di terra sub sahariana (oltre che di integrazione ed alleanza con le diverse realtà statali che sul Mediterraneo si affacciano). Nella ultima attualità si è aggiunto un ruolo di protezione logistico militare nell’Adriatico al cospetto dei Balcani e dei nuovi alleati dell’est europeo fronteggianti il mostro russo-ex sovietico. Trieste sembra essere diventato un oggetto del desiderio sia per il trading marittimo internazionale sia per plurime funzioni di supporto bellico. Questi obiettivi dovrebbero perciò trasformarsi in progetti di tecnologia e di presenza territoriale operativa. Come si tiene conto di ciò nel dibattito a cui stiamo assistendo? Cosa serve? Droni, aerei, navi, truppe corazzate di terra, esplosivi in quantità e/o missili-sistemi di attacco e difesa? Magari il tutto gestito da remoto con l’Intelligenza artificiale?
C’è peraltro anche un dibattito sulle nuove frontiere della deterrenza nucleare. Europa cliente pagante l’abbonamento alle bizze americane. O la tradizione francese (magari con aiuto di un voltafaccia inglese rispetto a Trump) può diventare patrimonio di qualche club? Certo che in Germania non dovrebbe piacere molto un posto in seconda fila mentre l’Italia per ora si accontenta di propaganda surreale sugli atomi di pace di quarta generazione. L’uso strategico o tattico del nucleare tuttavia è oggetto di cambiamento rispetto ai tempi della guerra fredda e intorno a questa scelta c’è l’obbligo di sistemi organizzativi piuttosto costosi. Si vedrà.
In conclusione a me sembra che il dibattito oggi aperto sul riarmo sia reso ambiguo dalla vicenda ucraina, cronaca urgente e drammatica, dove è facile sia scaricare messaggi sulla perfida (fin dai tempi di Rasputin e poi Stalin) Russia sia per converso favorire la candida innocenza di Putin, costretto dagli avvenimenti a comportarsi da criminale. In aggiunta le pulsioni culturalmente pacifiste (meno armi e più case e ospedali) e quelle anti fasciste e anti naziste in memorie storiche ed ideologiche utilizzate improriamente, rendono ancora più frantumati i percorsi di sentieri mentali tra i cittadini.
Per essere chiaro, in un fremito di fiducia nel genere umano, condivido in pieno gli obiettivi del “Forum Uguaglianza e Diversità” nella concezione di compiti per una Unione Europea che sappia liberarsi dai domini sociali ed economici attuali, e per una politica di salvaguardia del pianeta, con cui si è definita una piattaforma non militarista per l’adesione alla manifestazione per l’Europa del 15 marzo. E anche che si debba ritenere attuabile la difesa comune europea nella prospettiva del disarmo universale. Ma qui una tecnologia adattativa ed un impegno adeguato ai compiti dell’oggi (di difesa planetaria) non può mancare. Chiamiamolo riarmo sostenibile molto civile, e militare quanto basta. Sperando che poi la manifattura se ne avvantaggi per innovazioni che migliorano la qualità della vita piuttosto che accorciarne la durata.
Senza dimenticare la causa di fondo principale di questa post modernità occidentale. La necessità cioè di prendere atto che al cosiddetto “fronte della democrazia” è finita la fiducia per l’affidamento della guida del corpo planetario di “polizia” agli USA e quindi del bisogno di sostituirne le funzioni con un progetto da definire. Duro risveglio, anche per gli aspetti mercantili e monetari oltre che manifatturieri, ma non ci si può girare intorno.
Giorgio Cavallo
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