Di che cosa hanno paura le Borse?

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Schermi sul palazzo del Nasdaq, su Times Square, con la diretta live dell’intervento di Trump al congresso – Reuters – Adam Gray

La settimana dei mercati finanziari si è aperta con un classico lunedì nero: tutti i principali listini del mondo hanno chiuso con cali pesanti. Il peggiore è stato il Nasdaq, l’indice tecnologico statunitense, che è sceso del 4% bruciando mille miliardi di dollari di capitalizzazione, spinto in particolare dal crollo di Tesla, che ha perso il 15% in un giorno solo. Male anche il Dow Jones, l’indice principale di Wall Street, che ha perso il 2,1%. In Europa il calo è stato più contenuto, con Francoforte che ha perso l’1,7% mentre Londra, Parigi e Milano hanno perso circa lo 0,9%. Le chiusure caute dei mercati asiatici lasciano prevedere che anche questo martedì, aperto con listini europei in leggero calo, non sarà dei più facili, anche se un rimbalzo non si può escludere. È chiaro che più in generale gli investitori vedono uno scenario complicato e per questo le Borse scivolano.

I record non possono durare per sempre

Per capire che cosa sta succedendo alle Borse conviene partire da quello che gli stava succedendo, cioè dall punto in cui si trovavano: gli indici erano a livelli record. L’elezione di Donald Trump e i suoi piani di tagli fiscali per favorire le imprese aveva infatti lasciato sperare ai mercati in un ulteriore aumento degli utili delle grandi multinazionali, già cresciuti molto negli ultimi anni. A New York gli indici S&P 500 e Dow Jones hanno segnato i loro massimi storici a dicembre, il Nasdaq a febbraio. Erano fortissime anche le Borse europee: a gennaio abbiamo visto il record del FTSE100 di Londra, a febbraio quello dei listini di Parigi e Francoforte, a Milano l’indice FtseMib si era portato a fine febbraio ai livelli più alti da novembre 2007. In tre anni, per capirci, la Borsa Italiana ha guadagnato più del 65%, senza che l’economia nazionale abbia offerto chissà quali motivi per entusiasmarsi.

La Trump economy è un’enorme incognita

L’entusiasmo che si era diffuso tra gli investitori nei primi giorni dopo l’elezione di Trump, forse il presidente più dichiaratamente pro-mercati della storia, sta scemando. Annunci e decisioni concrete prese dal presidente americano nei primi cinquanta giorni della sua amministrazione creano incredibili incertezze sull’economia globale. I dazi annunciati su tutti i principali partner commerciali degli Stati Uniti, con ripetuti decreti a effetto immediato e rinvii, fanno capire soltanto che abbiamo davanti quattro anni molto complicati, sia per le aziende che guadagnano dagli scambi con l’America sia per le aziende americane che importano dal resto del mondo. Lo stesso Trump ha personalmente alimentato l’incertezza sull’economia americana domenica mattina, quando in un’intervista alla Fox non ha escluso che gli Stati Uniti possano finire in recessione in questa fase di transizione dell’economia verso il modello che ha in mente.

L’Europa è in difficoltà

La debolezza strutturale dell’economia europea in uno scenario di chiusura dei mercati internazionali pesa sui listini del Vecchio Continente. Nelle sue ultime stime, pubblicate il 6 marzo, la Banca centrale europea ha tagliato di due decimi di punto le previsioni sulla crescita della zona euro, ora indicata allo 0,9% per quest’anno e all’1,2% per il 2026. È evidente che il piano di riarmo presentato dalla Commissione europea ha anche l’obiettivo di rilanciare l’attività economica europea, a partire dalla Germania dove la crisi dell’auto colpisce più duramente, ma questo passaggio è tutt’altro che semplice. La prospettiva di un’Europa debole davanti a degli Stati Uniti forti però non è scontata. In un’analisi pubblicata sul Financial Times, Mohamed El-Erian, economista di Oxford consulente di grandi gruppi finanziari, ha sottolineato che questo lunedì nero è stato più pesante negli Stati Uniti che in Europa. Segno di un possibile riequilibrio della crescita globale, dopo che negli ultimi anni gli Usa hanno avuto un’espansione del Pil molto superiore a quella europea. El-Erian disegna anzi uno scenario positivo che «implica un’abilità dell’Europa di andare oltre la sua inerzia fiscale, la capacità della Cina di affrontare le sue sfide politiche e nella resilienza dell’economia statunitense nonostante gli attuali disordini».





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