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Nel panorama sociale ed economico contemporaneo, sembra che i miliardari del nostro tempo si stiano ritagliando un ruolo da predicatori, sollevando il dito contro i giovani e accusandoli di essere una generazione che si lamenta troppo, di non avere voglia di lavorare e di non sapersi sacrificare. Ma c’è una domanda che emerge spontanea: chi sono questi miliardari e cosa sanno realmente della realtà che affrontano i giovani oggi?
Molti di questi individui che pontificano sui social media e nelle interviste, trasmettendo un messaggio di ottimismo a tutti i costi, provengono da famiglie benestanti. Hanno ereditato fortune che non hanno dovuto conquistare con il sudore della fronte. Per loro, la storia del “sogno italiano”, o del “sogno europeo”, che prevede un giovane che partendo da zero possa arrivare a costruire una propria impresa di successo, è ormai una narrazione lontana dalla realtà.
In Italia, la situazione è tutt’altro che rosea. Le piccole e medie imprese, cuore pulsante dell’economia, sono costrette a fare i conti con una burocrazia sempre più soffocante, con leggi che sembrano disegnate per ostacolare piuttosto che incentivare l’innovazione. Il paese, purtroppo, non offre incentivi concreti per chi vuole intraprendere un percorso imprenditoriale senza risorse proprie. E, mentre il costo della vita aumenta, soprattutto nelle grandi città, trovare finanziamenti o supporto è una sfida enorme.
Le startup faticano a sopravvivere, non per mancanza di idee, ma per la difficoltà di accedere ai fondi necessari. La mancanza di un sistema che tuteli le nuove imprese, in particolare quelle che nascono senza un patrimonio familiare solido, rende il percorso ancora più arduo. Se non si ha una rete di contatti privilegiati o una famiglia che può permettersi di finanziare un rischio imprenditoriale, l’accesso al mondo delle start-up diventa un’impresa quasi impossibile.
Eppure, i miliardari di oggi, figli di un passato in cui l’accesso ai capitali e ai network familiari era fondamentale, si erigono a giudici della “generazione Z”, accusandola di non saper affrontare le difficoltà. Queste affermazioni sono prive di comprensione per le sfide quotidiane che i giovani di oggi devono affrontare.
Molti di questi miliardari hanno avuto un inizio che non somiglia affatto a quello dei giovani di oggi. A differenza di chi ha ereditato un’impresa familiare o un patrimonio che ha permesso loro di accedere a posizioni di potere, molti giovani italiani devono combattere contro un sistema che, a dir poco, non è amico delle piccole e medie imprese. Tra alti tassi di tassazione, difficoltà nell’accesso ai finanziamenti e una burocrazia lenta e farraginosa, è difficile per chi non ha risorse iniziali riuscire a far decollare una propria attività.
In un paese dove l’economia sembra bloccata in un circolo vizioso, non è difficile capire perché le nuove generazioni siano sempre più disilluse. L’idea che “basta volere per ottenere” non sembra corrispondere alla realtà. Le disuguaglianze sociali ed economiche sono cresciute, le opportunità di crescita professionale sono diminuite, e la politica sembra più concentrata su misure che favoriscono i grandi gruppi piuttosto che sull’effettiva creazione di nuove opportunità per chi vuole intraprendere un’attività.
Non possiamo ignorare che esistono giovani che, nonostante tutte le difficoltà, riescono comunque a emergere. Molti di loro sono ingegnosi, resilenti e pronti a investire nel futuro, ma spesso il loro successo dipende da una combinazione di determinazione e di fortuna. Quel che manca, invece, è un sistema che permetta ai giovani di sperimentare, sbagliare e crescere senza il timore di fallire rovinosamente. Perché la realtà, purtroppo, è che l’errore in Italia ha un prezzo troppo alto, e non tutti possono permetterselo.
I miliardari che oggi accusano i giovani di “lamentarsi” dovrebbero forse guardarsi dentro. La loro fortuna, e quella delle loro famiglie, non è stata il risultato di un mondo competitivo e meritocratico, ma di un sistema che premiava chi già aveva un capitale di partenza. Prima di pontificare, sarebbe più utile che questi miliardari comprendessero che non tutti hanno avuto la stessa partenza, e che il vero valore di una società si misura dalla sua capacità di dare a tutti le stesse opportunità, indipendentemente dalla posizione sociale o economica di partenza.
La narrazione del giovane che si lamenta e non lavora, come sostenuto da un mito (per qualcuno) Oscar Farinetti, non tiene conto di una realtà complessa e sfaccettata. Se il sistema fosse equo, e se ci fossero reali opportunità per tutti, i giovani non avrebbero bisogno di lamentarsi. La verità è che le difficoltà che affrontano sono enormi e sistemiche. È tempo che chi ha il potere di cambiare le cose si assuma la responsabilità di creare un ambiente che favorisca la nascita e la crescita di nuove imprese, soprattutto quelle che partono da zero, senza risorse iniziali. Solo così potremo davvero parlare di una società in cui il merito e il sacrificio sono i veri motori del successo.
foto Sardegnagol, riproduzione riservata
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