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Un vento nuovo soffia sull’Europa, mentre gli Stati Uniti inciampano nella fase più delicata del ciclo economico. Le dinamiche transatlantiche, a marzo 2025, sembrano essersi capovolte: la Germania, dopo mesi di stagnazione, accelera grazie a un ambizioso piano fiscale, mentre l’economia statunitense mostra segnali di affaticamento, complici le politiche monetarie inefficaci, giunte al culmine di un ciclo, e l’incertezza protezionistica. Questo ribaltamento, però, non è una passeggiata trionfale. I mercati finanziari navigano in acque turbolente, con oscillazioni valutarie, tensioni sui rendimenti e una BCE sospesa tra sostegno alla crescita e controllo dell’inflazione.
Il sorpasso tedesco: dalla recessione tecnica alla spinta fiscale
Alla fine del 2024, la Germania sembrava intrappolata in una spirale negativa: due trimestri consecutivi di contrazione del PIL (-0.2% nel Q4), produzione industriale in caduta libera (-4.1% su base annua) e una domanda globale fiacca, soprattutto dalla Cina (Destatis, 2024), con l’architrave industriale, storicamente quella dell’industria dell’auto, alle prese con una ristrutturazione indifferibile. A marzo 2025, però, Berlino ha fatto la sua mossa: un fondo infrastrutturale da 500 miliardi di euro, finanziato con debito e posto costituzionalmente fuori dal vincolo del pareggio di bilancio, e un aumento delle spese militari al 2.5% del PIL. Una svolta storica per un Paese tradizionalmente ligio all’austerità che inaugura il ciclo di politica economica della ormai imminente grande coalizione CDU CSU SPD guidata dal candidato cancelliere Merz. La crisi geopolitica autorizza i politici tedeschi a violare la clausola di tetto al deficit dello 0,35%. L’aggressività della Russia e il disimpegno strategico americano dell’Europa hanno fatto scattare l’autorizzazione a fare deficit, come accadde con la pandemia.
L’obiettivo è duplice: modernizzare reti energetiche e trasporti, e riposizionare la Germania come potenza industriale. La BCE stima che il pacchetto potrebbe aggiungere 0.9 punti percentuali al PIL e determinare la svolta nel 2025, trainando l’intera eurozona verso una crescita dell’1.2% (OECD, 2025). Intanto, l’inflazione europea è sotto controllo (2.4% a febbraio 2025), lasciando spazio a manovre accomodanti.
USA: il peso dei dazi e lo stallo politico
Oltreoceano, il quadro è meno roseo. Gli Stati Uniti, dopo una crescita annualizzata del 2.8% nel Q3 2024, hanno visto rallentare il PIL al 2.1% nel Q4, con la disoccupazione salita al 4.0% (BLS, 2024). Ma il Nowcast della Fed di Atlanta sul primo trimestre del 2025 è raggelante: se la congiuntura dovesse continuare così, la variazione percentuale del Pil nel 1° trimestre potrebbe essere del -2,4% annualizzato. A complicare lo scenario sono le tariffe del 25% su Canada e Messico e del 10% sulla Cina, annunciate a febbraio 2025 dall’amministrazione repubblicana e per il momento sospese (quelle su Canada e Messico, fino al 2 di aprile). Una mossa protezionistica che rischia di costare cara: secondo il Peterson Institute, i dazi potrebbero aumentare l’inflazione core di 0.5 punti percentuali entro fine anno, ritardando i tagli dei tassi (PIIE, 2025).
Fonte: atlantafed.org
Mercati in bilico: spread record e volatilità
I mercati hanno reagito con nervosismo alla nuova geografia economica. Lo spread tra i Treasury USA e i Bund tedeschi ha toccato 210 punti base a febbraio, il massimo dal 2022: i rendimenti decennali USA volano al 4.5%, mentre quelli tedeschi rimangono stabili al 2.4% (Bloomberg, 2025). Il dollaro, dopo mesi di forza, cede terreno: l’euro sale a 1.083, guadagnando il 3% in una settimana (FXStreet, 2025). Le borse riflettono la divergenza: l’S&P 500 perde il 5% a febbraio, penalizzato dai titoli tech (-8%), mentre l’Euro Stoxx 50 avanza del 3%, trainato da industriali e green energy (Morgan Stanley, 2025). «Gli investitori stanno riprezzando il rischio: l’Europa torna appetibile, ma non è un ritorno agli anni 2000», avverte Gita Gopinath del FMI.
BCE vs Fed: il dilemma della sincronizzazione
Mentre la Fed nell’ultima riunione ha mantenuto i tassi tra il 4,25 e il 4,50%, la BCE prosegue il ciclo di alleggerimento, tagliando il tasso di deposito al 2,50% a marzo. Christine Lagarde ha giustificato la mossa con “rischi al ribasso sulla crescita” e un’inflazione sotto controllo (2,4% nell’eurozona a febbraio 2025). Ma l’espansione fiscale tedesca complica il quadro: un eventuale surriscaldamento della domanda potrebbe riportare l’inflazione verso il 3%, costringendo la BCE a una pausa.
Dall’altra parte dell’Atlantico, la Fed è in una trappola: tagliare ancora i tassi rischierebbe di vanificare la lotta all’inflazione, ma mantenerli elevati potrebbe aggravare il rallentamento economico. Intanto l’incertezza sulla congiuntura americana e il miglioramento atteso di quella europea stanno già spingendo gli investitori a cercare rifugio in asset europei.
Economie emergenti: vittime collaterali del disallineamento
Come sottolineato da Gita Gopinath del FMI, il disallineamento transatlantico delle politiche monetarie rischia di scaricare i suoi effetti sui mercati emergenti, molti dei quali hanno debiti in dollari. Un dollaro ancora forte e tassi USA elevati aumentano il costo del servizio del debito per paesi come Argentina e Turchia, già alle prese con valute locali fragili. Allo stesso tempo, un euro in ripresa offre sollievo al debito e ai bilanci fiscali delle economie dell’Europa orientale, piuttosto legate alla moneta unica, pur senza compensare le turbolenze globali.
Le Borse si ricongiungono: fine della corsa Usa (indici Euro Stoxx 50 vs SP500)
Settori in corsa e in crisi: la doppia faccia delle Borse
La volatilità ha creato vincitori e vinti nei mercati azionari. In Europa, i settori industriali e delle infrastrutture tornano in auge: società come Siemens e Vinci hanno guadagnato oltre il 10% da inizio anno, grazie ai contratti legati al piano tedesco. Anche le green tech beneficiano degli investimenti nella transizione energetica promessa dal nuovo governo CDU CSU SPD.
Negli USA, invece, i titoli tech soffrono: Apple e Microsoft hanno perso rispettivamente il 7% e il 9% a febbraio, schiacciati dalle valutazioni elevate e dai tassi reali positivi. Tesla si è quasi dimezzata in capitalizzazione, perdendo tutto il Trump-premium post-elettorale. I suoi inseguitori cinesi, come BYD o la stessa Xiaomi, ne insidiano il primato e sono arrivati alle sue spalle in metà tempo rispetto alle aspettative. A trainare il mercato rimangono i titoli difensivi come utilities e health-care, mentre il settore energetico vacilla per il calo dei prezzi del petrolio (-12% da gennaio 2025).
Prospettive 2025: tra opportunità e trappole
La seconda metà del 2025 si prospetta come un banco di prova per policy maker e investitori. Per l’Europa, la sfida è evitare che gli stimoli fiscali si traducano in squilibri di debito. La Germania, con un rapporto debito/PIL al 65% nel 2024, sembra al sicuro, ma paesi come Italia e Spagna potrebbero trovarsi in difficoltà se i tassi salissero improvvisamente.
Per gli USA, il nodo è domare l’inflazione senza strangolare la crescita. In altri termini, si tratta di scongiurare la stagflazione. I dati salariali di aprile 2025 (previsti +4,5% su base annua) saranno cruciali: se la spirale prezzi-salari dovesse riaccendersi, la Fed potrebbe posticipare i tagli al 2026, innescando una nuova ondata di sell-off obbligazionario.
Conclusioni finali: navigare nella nebbia
Il 2025 si configura come un anno di volatilità, dove le certezze del passato lasciano spazio a nuove incognite. L’Europa, guidata dalla Germania, prova a riconquistare slancio, magari aiutata dalla pace in Ucraina, mentre gli USA affrontano i limiti di un ciclo economico maturo. I mercati, specchio di questa dualità, continueranno a oscillare tra ottimismo e paura, con il cambio EUR/USD, i rendimenti e le borse sensibili a ogni sorpresa proveniente dalle banche centrali che dovranno camminare su un filo, bilanciando crescita e stabilità. Come ha avvertito Adam Posen del Peterson Institute: “Il costo di un errore di timing nei tagli dei tassi potrebbe essere una recessione globale”.
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