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Se non è una giravolta ci va molto vicina: con un anticipo che non sana i guai economici del governi di territorio
Mistero del lessico bifido di chi sta al governo, spesso indipendentemente da quale bandiera issi idealmente sul pennone di Palazzo Chigi. Oggi però il vessillo dell’Esecutivo inalbera i colori del destra centro e, se ci fosse un “torrino”, quello di Giorgia Meloni. Una premier che a furia di giocare tra crismi e carisma rischia di prendersi perfino più critiche di quanto il suo proverbiale appeal sovranista non attiri. Il guaio del sovranismo però è proprio quello: che ci si campa bene fin quando le acque torbide sono le sole acque da scrutare. Poi diventa un mezzo boomerang quando la visuale è più cristallina. Vedere Rearm-Eu, tanto per citare l’ultima.
In questo molto conta l’azione dei media, che per oggi sembrano per lo più sodali di palta anziché profeti di chiarezza. Accade quindi che da un lato il Governo Meloni possa imbrodarsi ancora oggi sul cosiddetto “prelievo forzoso” alle banche, accreditandosi come Giusto Esattore dei poteri forti. E che dall’altro il vero prelievo forzoso stia tutto o quasi a carico di enti cruciali come le Province.
Le detrazioni statali a carico delle Province
Per l’anno in corso da soli tre mesi infatti lo stesso si è fatto molto più oneroso e proprio sui bilanci provinciali. Non sono state rimosse le detrazioni dello Stato a carico dei bilanci locali ad esempio. Cioè quanto era stato disposto dalla legge di bilancio 2015. E che oggi non trova più alcuna rispondenza obiettiva, a contare che lo scenario è molto mutato, ed in peggio.
Energia in upgrade di costi, crisi dell’automotive e costo dei materiali sono tutte voci che vanno dritte dritte nei bilanci delle Province, che peraltro attendono i fondi per uscire dal format della Delrio e tornare alla loro veste primigenia, anche elettorale.
Senza contare che la spending review prevista nella legge di bilancio 2024 ha imposto alle Province di versare un “contributo alla finanza pubblica oltre 44 milioni di euro”, come spiega Politica7. Insomma, gli enti pubblici di rango sono sotto scacco di un prelievo forzoso che rischia di fiaccare ulteriormente i territori e le banche, che sono casella privata, non saranno affatto sottoposte allo stesso.
Fazzone e la “controriforma”
La “controriforma” delle Province alletta moltissimo, ad esempio, il senatore e responsabile regionale di Forza Italia Claudio Fazzone. Del partito cioè che più di tutti, per imprinting antico e per bocca di Antonio Tajani, è contrario a pescare danè in tasca alla banche.
Avendone una alle spalle, Mediolanum, è quanto meno comprensibile. Prima delle Europee 2024 Fazzone aveva spiegato che “tra un anno verrà ripristinato il sistema elettivo delle Province, forse con qualche funzione in più”. Insomma, la svolta la si invoca ma per le svolte servono soldi, e con la Delrio – tra personale, attrezzature e competenze – il risparmio era stato monstre. E con le banche? Perché quello battezzato da Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti non sarà un prelievo, quanto piuttosto un prestito allo Stato?
Da Vespa Meloni illo tempore aveva usato il solito tono altisonante, quello alla “ce l’abbiamo fatta” che tanto piace a lei ed ai suoi supporter. “Volevano che pagassimo i provvedimenti della manovra di bilancio prendendo i soldi dalle banche, e prendiamo 3,6 miliardi di euro dalle banche”.
Il (solito) proclama da Vespa
Non è così, ed il meccanismo è molto più sottile, come aveva spiegato ex post Pagella Politica. Tassare i cosiddetti “extraprofitti” delle banche, quelli “figli” dalla maggiore redditività dei prestiti, è un rovello su cui Meloni effettua tentativi dal 2023.
La Banca centrale europea ha “portato i tassi di interesse dallo 0 per cento al 4,5 per cento in poco più di un anno. Già lo scorso anno il governo aveva annunciato un’imposta di questo tipo, dichiarando di voler raccogliere circa 2 miliardi di euro”.
Allora ci fu una retromarcia quasi sfacciata, da quanto si rischiò una levata di scudi, e quest’anno è stata pensata più “sottile”. Agli istituti di credito venne consentito “di non pagare la nuova imposta se avessero rafforzato il proprio patrimonio con l’accantonamento di una somma pari a due volte e mezzo quello dell’imposta”.
Il tentativo del 2023: fallito
E quindi? “Tutte le principali banche hanno scelto di non versare l’imposta, rafforzando il proprio capitale: in questo modo è stato azzerato il gettito che il governo sperava inizialmente di incassare”. A differenza del 2023 i soldi per quest’anno ci sono e come, in carnet, ma non sarà per mezzo di un’imposta. Perché un “prestito”? Sta tutto nelle pieghe della Manovra vigente 2025, il cui articolo 3 disciplina una “nuova misura in materia fiscale, dedicata proprio alle banche”.
Alcune regole cambiano insomma, ma non vi è traccia dell’introduzione di una imposta straordinaria. C’è solo il differimento “di alcune detrazioni che le banche avrebbero potuto sfruttare nei prossimi due anni”. Sì, ma di cosa parliamo? Ogni società paga meno tasse con le detrazioni, le banche lo fanno con i costi di svalutazione degli asset.
Cioè risorse e beni che gli istituti fattivamente posseggono. Pagella Politica fa un esempio calzante: “Quando una banca capisce che un prestito non le sarà restituito per intero, può ridurne il valore nel suo bilancio, indicando la riduzione come un costo”. Ecco, parzialmente quel costo è detraibile e quindi si può recuperare con una “riduzione dell’imposta da pagare grazie alle detrazioni”. In buona sostanza il Governo ha messo nero su bianco all’articolo 3 della Legge di Bilancio approvata il differimento di alcune di queste detrazioni.
Dal 2027 tutto come prima
Di fatto Palazzo Chigi impedirà agli istituti di credito di usarle nei prossimi due anni ed incasserà il totale, che guarda caso ammonta più o meno a quei 3,6 miliardi che Meloni ha contrabbandato per tassa sugli extraproftti. Tutto questo però con un dato caudale: “Dal 2027 le banche potranno tornare a sfruttare di nuovo le detrazioni non usate nei due anni precedenti, e a recuperare i soldi non risparmiati”.
Non a caso una relazione tecnica del disegno di legge di Bilancio “stima quasi mezzo miliardo di minori entrate per lo Stato nel 2027 e quasi un miliardo l’anno tra il 2028 e il 2030”. Insomma, nel breve periodo le banche non avranno tutti i fondi a disposizione ma nel medio periodo recupereranno tutto. E lo faranno dopo aver prestato di fatto allo Stato “soldi con un interesse a tasso zero, perdendo così un potenziale rendimento”.
Il sunto è che lo Stato “riceverà in anticipo quello che avrebbe dovuto ottenere nei prossimi anni, impegnandosi però a ‘restituirlo’ esigendo minori tasse in futuro”. Il che non pare proprio una tassa, piuttosto un po’ quello che facevamo noi da adolescenti.
Quando chiedevamo ai nostri di anticiparci tre paghette assieme per il fine settimana a Riccione, e poi chiudevamo il mese con la colletta per le sigarette. Perché in tasca avevamo solo la matrice appallottolata del biglietto di entrata all’Easy Life di Fontana Liri.
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