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Le piazze che si riempiono per chiedere democrazia, la crisi climatica, la difficoltà di integrarsi in un nuovo paese, le ferite che porta con sé la pace oltre che la guerra: temi complessi che quattro scrittrici illuminano con i loro libri. Con i quali ci danno una chiave per capire il mondo in cui viviamo e vivremo.
Capire il mondo: Georgia tra Russia ed Europa
La gatta e il Generale di Nino Haratischwili (Marsilio, ppg 656, 24 euro) è il più recente libro di una scrittrice che ci accompagna nella tormentata storia del proprio paese. L’ottava vita, il più famoso, prendeva per mano i lettori e li conduceva dall’epoca degli Zar attraverso la storia di sette generazioni di donne sulle soglie del nuovo Ordine. Quello nato dopo il 1989 e il crollo del Muro di Berlino, dalle ceneri della rivoluzione russa e dell’impero sovietico. Quel romanzo divenuto bestseller si concludeva nel 1993 l’anno in cui nasce Brilka, l’ottava femmina, la destinataria della saga.
La Gatta e il Generale
Da una autrice bestseller, uno sguardo sul passato delle Repubbliche ex sovietiche.
La gatta e il Generale non è un sequel, ma riavvia quel filo. Inizia nel 1994 quando una pattuglia di soldati della federazione russa, che sta combattendo i separatisti ceceni, va a “riposarsi” in un villaggio mussulmano tra le montagne del Caucaso. Qui accade quanto finirà per segnare per sempre molti. La violenza e la morte di Nura, e del suo sogno di lasciare il paese. A venire plasmato da quel fatto è anche un giovane soldato. E’ diventato nel frattempo il Generale, uno spietato oligarca e a distanza di vent’anni cerca una definitiva resa dei conti. Nella sua vendetta coinvolge la Gatta un’attrice georgiana vittima della lunga notte del Paese ma disposta a guardare con lui dentro l’abisso. Un romanzo di crescente tensione che parla di delitto e redenzione, di vendetta e desiderio di pace. E aiuta a capire il mondo che ruota attorno all’ex Urss, e le dimostrazioni dei georgiani in piazza.
La “maledizione” della civiltà
Nel vasto mondo selvaggio di Lauren Groff, (Bompiani, ppg. 240, 19 euro) proietta nel passato le ansie per la crisi climatica. E con la sua epica scrittura intreccia distopia e speranza di riconciliazione con la natura. Protagonista Z, a significare la sua insignificanza, o anche Lamentazioni, una derelitta servetta inglese.
Nel vasto mondo selvaggio
Credersi padroni della natura può solo distruggerci. Questo il messaggio di Lauren Groff.
Z è approdata suo malgrado nel Nuovo Mondo, per la brama di ricchezze dei padroni inglesi. Qui li attendono, invece, guerre e carestie, e pure un’epidemia che spinge ad atti bestiali, dopo i quali Z scappa dall’accampamento in cui sono asserragliati. Con sé nella fuga ha solo un coltello e un paio di stivali, rubati a qualcuno morto di vaiolo. Novella Robinson Crusoe, nella fuga si misura quasi esclusivamente con la natura, aspra e forte, che qualche volta riesce a piegare alle proprie esigenze, ma che mai propriamente domina. Attraversano il libro descrizioni spettacolari di paesaggi immani, con le quali Z impara a capire il mondo, che fino a quel momento aveva semplicemente subito nella violenza dei più forti. Una emancipazione dolce amara dove la consapevolezza di sé e del proprio posto nell’universo non concede una facile salvezza. Ma rimarca quanto la civiltà, se diventa strumento predatorio, possa portare a tutti rovina.
La fatica della pace
Vienna anno zero di Hilde Spiel (Keller, pgg 168, euro16,90) rielabora in questo memoir mai pubblicato prima in Italia il diario del suo ritorno a Vienna dopo la fine della seconda guerra mondiale. Dalla città era scappata nel 1936 all’allungarsi delle ombre naziste, rifugiandosi in Inghilterra. Lì aveva costruito una nuova vita, di moglie e madre di due bambini, e aveva una carriera da giornalista. Proprio in questo ruolo atterrò a Schwechat, il campo di aviazione degli inglesi, il 31 gennaio 1946, su una pista devastata dalle bombe. L’Austria, per sette anni annessa al Terzo Reich, si trovava sotto occupazione militare inglese e dei sovietici. Spiel racconta la vita grama degli abitanti, le ferite tremende inferte alla città, ma anche la vita che pulsa, la foga di ricostruire un tessuto culturale e civile.
Vienna anno zero
Un memoir sulla Vienna del 1946 interroga sul futuro dei Paesi in guerra oggi.
L’autrice, intellettuale che se ne era andata nel 1936, fa trasparire il proprio stato d’animo, nonostante la scrittura controllata. Fa capire cosa voglia dire sentirsi addosso lo sguardo di quelli che mai sono partiti, e che hanno dovuto misurarsi con la ferocia nazista. Soppesare con le proprie occhiate l’integrità morale dei sopravvissuti, il cui restare in vita appare esso stesso una colpa. E percepire quel confine tra sommersi e salvati, fuggiaschi e restanti, solidificarsi dentro di sé. Negli incontri con i vecchi servitori di casa che hanno tenuto in salvo l’argenteria, amici di famiglia e vecchi compagni di università, ritorna il dilemma che nasce dalla consapevolezza di essere diventata un’altra persona. Mai del tutto integrata nel suo nuovo contesto (Spiel tornerà definitivamente a Vienna nel 1967). Ma convinta che non avrebbe mai potuto ritrovare il proprio posto di prima in quella città, di essere ormai per sempre spatriata. Vienna anno zero nella cronaca dell’altro ieri apre percorsi per capire il mondo di domani. Con un pensiero ai conflitti ancora irrisolti di Ucraina e Palestina.
Il peso del silenzio
Tutti i nostri segreti di Fatma Aydemir, Fazi (ppg. 324, euro 18,50) è una saga familiare che unisce Turchia e Germania. Così come accade nella vita dell’autrice, di origini turco curde, che scrive in tedesco un romanzo considerato da Der Spiegel tra i più importanti in quella lingua degli ultimi 100 anni. Si inizia dalla morte del capostipite Hüseyin, nell’appartamento nuovo acquistato con i risparmi di una vita a Instanbul. Dove avrebbe voluto ritrasferirsi con la moglie, trapiantata con luyi e la famiglia in Germania, meta del sogno della libertà e della agiatezza economica. Un sogno costruito su una lunga catena di segreti inconfessati.
Tutti i nostri segreti
Il dramma dei curdi tra repressione in patria e cancellazione in Europa.
Quello di Fatma Aydemir è un romanzo corale, e a prendere la parola sono i quattro figli e la moglie di Hüseyin. E la parola è prima di tutto una lingua mai sentita in famiglia che Emine, la vedova, parla coi parenti del morto. E che proietta la partenza della famiglia dalla Turchia in una prospettiva diversa della semplice ambizione a un futuro migliore. E’ solo il primo segreto, quello di essere curdi, a irrompere sui fragili equilibri familiari. Lo stesso ordine di nascita dei figli viene messo in discussione, così come l’identità sessuale. Il trauma del mancato incontro tra i due mondi è raccontato senza sconti, per le violenze che la segregazione di genere e la discriminazione razzista infliggono ovunque. Ma anche se l’happy end manca, ci lascia con una volontà nuova di capire. Il mondo. E forse noi stessi.
iO Donna ©RIPRODUZIONE RISERVATA
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