Il futuro dell’Europa passa per le startup e gli investimenti in innovazione?


Non esiste un “atlante” dell’accelerazione che aiuti a comprendere, studiare e pianificare una crescita più distribuita. Nessuna istituzione, a livello nazionale o internazionale, ha mai sviluppato uno strumento che tracci chiaramente i poli dell’innovazione. Perché? L’analisi di Antonio Prigiobbo, founder di NAStartUp e conoscitore dell’ecosistema startup

Le startup non sono solo “aziende speciali”, perché innovative, ma veri e propri motori di cambiamento. Questo è il messaggio chiave dei due report di Dealroom, che offrono uno spaccato dello stato attuale dell’ecosistema europeo dell’innovazione e delle sfide future. Il futuro dell’Europa passa per le startup e gli investimenti in innovazione? Domanda retorica? Non per tutti, purtroppo.

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L’analisi di DealRoom segue la direzione indicata dall’ultima relazione di Mario Draghi sulla competitività dell’Europa. Il problema non è tanto il numero di startup, quanto la loro capacità di scalare e diventare leader di mercato. Oggi il continente conta oltre 35.000 startup early-stage, un potenziale enorme che, però, fatica a esprimersi a causa di un gap di finanziamenti che rallenta la crescita e limita la capacità di competere con i colossi americani e asiatici.

L’Europa e la sfida della crescita

Uno dei principali ostacoli è l’accesso ai capitali nei round successivi. Negli USA il venture capital investe fino al 567% in più nelle scale-up rispetto all’Europa, un divario che riduce la competitività delle aziende europee nel lungo periodo.

Perché gli USA dominano?

Il venture capital americano ha alle spalle decenni di cultura dell’investimento, mentre in Europa il settore è ancora frammentato e troppo dipendente dai fondi pubblici. Negli Stati Uniti, il 25% dei posti di lavoro è creato da aziende finanziate da venture capital, mentre in Europa questa percentuale è inferiore al 2%. Inoltre, l’Europa non dispone di strumenti finanziari adeguati per sostenere industrie ad alto rischio come la space economy, l’intelligenza artificiale, i semiconduttori e il biotech.

Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Ue

Negli ultimi 10 anni, però, lo scenario si è mosso. I venture capital, storicamente concentrati negli USA, hanno iniziato a guardare con maggiore interesse alle opportunità globali, compresa l’Europa. Ma ora c’è un’incognita.

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Con il nuovo orientamento economico degli Stati Uniti, segnato dal ritorno di Trump e da politiche protezionistiche più aggressive, il rischio è che i capitali tornino a concentrarsi sugli USA. Se l’Europa non offre un ecosistema più competitivo, si rischia un’inversione di tendenza: meno investimenti, più acquisizioni di startup europee da parte di grandi player americani e cinesi.

Dove investe l’Europa?

Uno sguardo ai finanziamenti per paese e al numero di startup aiuta a comprendere le dinamiche attuali:

Paese Startup attive Investimenti VC (mld $) Fondi pubblici per innovazione (mld $)
Regno Unito 8.500 45 12
Germania 6.200 37 10
Francia 5.800 35 11
Spagna 3.500 9 6
Italia 3.000 7 5
Paesi Bassi 2.800 12 4
Svezia 2.500 11 3

Il problema dei fondi per settori ad alto rischio

Gli Stati Uniti hanno un ecosistema che finanzia senza paura i progetti a più alto potenziale e a maggior rischio. L’Europa, invece, rimane vincolata a fondi pubblici e schemi burocratici lenti. Il risultato? Innovazione che fatica a decollare.

Horizon Europe: opportunità sprecata?

Con 95 miliardi di euro stanziati tra il 2021 e il 2027, Horizon Europe è il più grande programma di finanziamento pubblico all’innovazione. Ma solo il 5% di questi fondi va alle startup. Il resto? Finisce a università e grandi imprese. Di fatto, il programma non è strutturato per accelerare le nuove imprese ad alto potenziale.

Quali soluzioni per l’Europa?

Per evitare di rimanere indietro, servono azioni concrete. E subito. È necessario un mercato VC più integrato, con un’unica strategia europea per il venture capital che riduca la frammentazione tra paesi e favorisca una maggiore sinergia tra startup e investitori privati.

Leggi anche: Quattro proposte per far nascere nuove imprese, dal Sud al Nord. «Connettiamoci e facciamolo»

Gli investimenti privati devono aumentare: l’Europa non può continuare a dipendere esclusivamente dai fondi pubblici. I fondi pensione e le assicurazioni devono iniziare a investire in venture capital, come già accade negli Stati Uniti.

Occorre puntare su nuove industrie di riferimento. Non basta colmare il gap esistente, bisogna creare nuovi mercati strategici come la space economy, l’intelligenza artificiale, il biotech e il climate tech. Case study come ASML nei semiconduttori dimostrano che un mix tra politiche pubbliche mirate e investimenti privati può generare aziende leader mondiali.

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europarlamento 2
L’Europarlamento

L’Europa deve ripensare il proprio modello, non solo inseguire gli Stati Uniti. Il continente ha talento, cultura e risorse per competere, ma non basta avere startup: è fondamentale saperle far crescere.

Il rischio è quello di diventare solo un mercato di acquisto per le tecnologie sviluppate negli USA e in Cina. La sovranità tecnologica è fondamentale: non si tratta solo di business, ma di difesa, AI, mobilità, spazio e transizione energetica. Se non si agisce in fretta, la dipendenza da altri paesi diventerà sempre più forte.

Unicorni, sfida Europa – USA

Nonostante il gap nei finanziamenti, c’è un dato sorprendente. Le startup europee generano aziende da un miliardo di dollari allo stesso ritmo di quelle americane, se misurato in rapporto al capitale investito. In altre parole, stesso risultato con lo stesso investimento, solo con meno attenzione.

Il vero problema dell’Europa non è la mancanza di innovazione, ma la sua capacità di trasformarla in crescita sostenibile. Siamo abituati a guardare agli Stati Uniti come il grande punto di riferimento, ma la verità è che il talento europeo esiste, le startup ci sono, eppure la loro scalabilità resta un ostacolo.

Italia ed Europa hanno lo stesso problema?

L’Europa riflette molte delle dinamiche italiane. Non si tratta solo della classica divisione tra Nord e Sud: esiste anche una frattura tra Est e Ovest, che si traduce in un forte squilibrio economico e industriale. Gran parte dell’economia del continente si concentra nella cosiddetta “Blue Banana”, un asse geografico che va da Londra a Milano, passando per le grandi capitali economiche del centro Europa. Un’area che accentra circa il 70% della produzione e degli investimenti, lasciando il resto del continente in una posizione periferica.

Non esiste un “atlante” dell’accelerazione che aiuti a comprendere, studiare e pianificare una crescita più distribuita. Nessuna istituzione, a livello nazionale o internazionale, ha mai sviluppato uno strumento che tracci chiaramente i poli dell’innovazione. Perché? Probabilmente perché l’Europa è ancora bloccata in un modello competitivo più che collaborativo.

Non esiste un network europeo

Mancano operatori che abbiano una strategia unitaria. Dagli incubatori ai venture capital, il modello rimane frammentato e disomogeneo. Non esiste un grande operatore europeo dell’innovazione. Al massimo, sono gli americani a costruire la loro mappa, lasciando l’Europa come un mercato passivo e poco coeso.

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Undici anni di NAStartUp

In 11 anni di NAStartUp, e con l’imminente apertura del dodicesimo, abbiamo sempre avuto una visione chiara: le connessioni devono superare i confini.

L’innovazione non ha geografia fissa, non ha limiti, non può essere vincolata da un’unica città o nazione. Abbiamo costruito ponti da Napoli all’intera Italia, per poi espanderci in Europa e nel mondo. Non ci siamo mai accontentati di quello che c’era, abbiamo sempre cercato di esplorare.

Abbiamo iniziato confrontando modelli simili a Napoli, come quelli di Barcellona e Malta, fino a studiare ecosistemi più maturi come Berlino e Londra. Abbiamo costruito una rete di advisor internazionali, per avere una presenza attiva nelle principali capitali europee. Ogni anno, continuiamo a testare, sperimentare e connettere nuovi network.

L’Europa ripensi il proprio modello

Se non si agisce rapidamente, il talento europeo continuerà a emigrare. E con lui, il futuro dell’innovazione del continente. L’Europa non può più permettersi di inseguire gli altri. Deve reinventare il proprio modello. Serve una strategia che non fissi l’innovazione dentro perimetri rigidi, ma che la renda fluida, interconnessa e distribuita. Solo così potremo competere davvero su scala globale.





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