Le imprese giovani crollano ma il governo è indifferente


Benedetta Morucci è un’imprenditrice italiana. Nel 2020, quando aveva 33 anni, ha aperto la sua azienda. Rientrava a pieno titolo nei criteri per ottenere un finanziamento pubblico dedicato ai “giovani imprenditori” italiani, un sostegno per costruire un’attività in proprio.

Alla fine ci ha rinunciato: «I bandi pubblici? Troppo complesso districarsi. Così ho partecipato a un progetto di re-incubazione privato». Ha funzionato: Benedetta si è trasferita dal Veneto all’entroterra abruzzese e ha cominciato a vendere prodotti e filati di lana di pecora.

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Giovani imprenditori al palo

La sua è un’eccezione. Secondo Unioncamere, dal 2014 a oggi il calo delle imprese create dai giovani è stato del 24 per cento, con una perdita di 153mila aziende a conduzione under 35.

Il fenomeno colpisce soprattutto le aree interne dell’Italia centrale: nelle Marche le imprese giovanili sono diminuite del 36 per cento, in Abruzzo del 35 per cento, in Calabria del 34, in Umbria del 32 e in Molise del 35,6 per cento. I settori più penalizzati sono il manifatturiero, le costruzioni e il commercio all’ingrosso e al dettaglio.

«Questi dati confermano il trend nazionale e delineano un contesto economico in difficoltà», sottolinea Andrea Prete, presidente Unioncamere, evidenziando la necessità di introdurre politiche mirate. «Dovremmo non solo facilitare l’accesso al credito e sostenere la fase di avvio, ma supportare i giovani imprenditori nell’acquisizione delle competenze necessarie per operare in settori ad alta intensità di conoscenza e innovazione».

Le aree interne sono sempre più a rischio spopolamento e i giovani sono spesso costretti ad abbandonarle per cercare migliori opportunità altrove. Tuttavia, secondo un report di Riabitare l’Italia, molti di loro non vorrebbero andarsene. Creare nuovi centri imprenditoriali nelle zone interne potrebbe rappresentare una soluzione, ma per farlo servirebbe un cambio di prospettiva nelle politiche di sviluppo territoriale.

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Luciano Fratocchi, professore di Ingegneria gestionale all’università dell’Aquila, spiega che la difficoltà principale è legata all’infrastruttura tecnologica: «I giovani tendono a puntare su startup nel settore della tecnologia, ma le aree interne sono svantaggiate a causa dell’arretratezza delle infrastrutture. E questo disincentiva i potenziali investitori».

Tuttavia, ciò non significa che non ci siano alternative: «Si può puntare sul turismo esperienziale, sui parchi scientifici. Le opportunità ci sarebbero, ma bisogna saper leggere il territorio, cosa che spesso non accade».

Burocrazia anti giovani

Un altro ostacolo significativo riguarda i bandi pubblici, spesso mal progettati e poco adatti alle reali esigenze dei territori. «Ho visto bandi relativi all’Abruzzo che non considerano le differenze tra la costa e l’area interna. I bandi, quasi mai, sono su misura dei territori in cui dovrebbero essere implementati», osserva Fratocchi.

Il problema non è solo nella distribuzione dei fondi, ma anche nella loro comunicazione. «Molti scoprono dell’opportunità di un bando solo quando è ormai scaduto. Questo perché non c’è una comunicazione efficace tra chi eroga il bando e chi dovrebbe beneficiarne», spiega.

Più attenzione ai giovani

Milena Molozzu, esperta in progettazione e innovazione sociale che opera in Abruzzo, conferma questa difficoltà: «Chi rimane, di solito, non ha il desiderio di aprire un’impresa e spesso non ha la cultura per farlo. Riscontro anche una forte pressione da parte delle famiglie a cercare un impiego pubblico. C’è molta diffidenza verso il mondo dell’imprenditoria e della finanza agevolata».

L’esperienza della giovane imprenditrice Benedetta Morucci è un’eccezione, e la sua osservazione riflette una realtà diffusa: «Ai ragazzi che abitano qui da sempre non vengono dati gli strumenti per immaginare un’alternativa. Sono disincentivati da tutti ad avviare un’impresa. Non sanno che esistono misure di finanziamento, non sanno dove cercarle e, quando finalmente ne vengono a conoscenza, spesso sono troppo difficili da comprendere».

I fondi e i finanziamenti per i giovani imprenditori esistono, ma spesso non portano ai risultati sperati: «Mancano organismi intermedi che possano fare consulenza e aiutare chi ha spirito imprenditoriale a concretizzarlo. C’è una diffusa mancanza di competenze gestionali, anche tra i commercialisti, che dovrebbero fornire supporto nella lettura del portafoglio e delle opportunità disponibili», sottolinea Molozzu.

Un esempio è il programma Resto al Sud, uno dei bandi più noti per incentivare l’imprenditoria giovanile nel Mezzogiorno. «Funziona, ma richiede una mole enorme di documenti e la procedura è lenta e macchinosa» spiega l’esperta. Anche nei settori che sembrano più promettenti, come l’agricoltura, le difficoltà non mancano. «Alcuni agricoltori attendono da tre anni di ricevere i primi finanziamenti nell’ambito del Piano di sviluppo rurale (PSR)», racconta Fratocchi. Sul fronte delle imprese innovative non va meglio, come spiega Giorgio Ciron di InnovUp: «Gli incubatori e acceleratori faticano a sostenersi, perché non è facile svolgere questa attività».

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Dal punto di vista politico, la questione startup ha ricevuto poca attenzione nazionale, mentre le regioni sono un po’ più attive, ma non tutte allo stesso modo, favorendo quindi la disparità fra aree. Le cause di questo declino sono molteplici.

La principale, come sottolinea Alessandro Rosina, professore di Demografia all’università Cattolica di Milano, è la diminuzione del numero di giovani in Italia, uno dei paesi con la natalità più bassa d’Europa. A questo si aggiunge il numero crescente di under 35 che emigrano per lavoro. «Il numero dei cervelli in fuga, dopo un periodo di calo durante il Covid, è ripreso a salire», spiega Rosina. Negli ultimi dieci anni sono emigrati 550mila giovani.

I dati parlano chiaro: «Tengono e crescono i settori più innovativi, ma noi siamo uno dei paesi che investe meno in ricerca, sviluppo e innovazione», conclude Rosina. Il risultato è un mercato poco dinamico, che spinge molti giovani a cercare opportunità all’estero. Il divario territoriale continua ad aumentare, con le grandi città che attraggono i giovani imprenditori e le aree interne che rimangono ai margini dello sviluppo economico.

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