La carenza di medici di medicina di famiglia e generale (MMG) in Italia sta assumendo contorni sempre più critici, con oltre 5.500 professionisti mancanti e crescenti difficoltà per i cittadini nel trovare un medico di riferimento, specialmente nelle Regioni più popolose.
La Fondazione Gimbe, attraverso il suo presidente Nino Cartabellotta, ha lanciato l’allarme su una situazione che sta minando il diritto alla salute e mettendo sotto stress intere comunità.
Un sistema al collasso tra pensionamenti e scarso ricambio generazionale
Negli ultimi anni, il numero di giovani medici disposti a intraprendere questa carriera è andato progressivamente diminuendo, mentre il ritmo dei pensionamenti non accenna a rallentare. Il fenomeno è aggravato dall’invecchiamento della popolazione: nel 2023, gli italiani over 65 hanno superato i 14,2 milioni, con più della metà affetta da almeno due patologie croniche.
In questo contesto, il dibattito politico ha proposto l’inquadramento dei medici di famiglia come dipendenti pubblici, ma senza una valutazione approfondita delle implicazioni economiche, organizzative e previdenziali di una simile riforma.
Il ruolo del medico di base e le criticità del sistema
Ogni cittadino iscritto al Servizio Sanitario Nazionale (SSN) ha diritto a un medico di medicina generale, figura essenziale per l’accesso alle cure e alle prestazioni garantite dai Livelli Essenziali di Assistenza (LEA). Tuttavia, i medici di famiglia non sono dipendenti del SSN, ma operano in convenzione con le Aziende Sanitarie Locali (ASL), con condizioni lavorative regolate da specifici accordi nazionali e regionali.
Secondo Cartabellotta, la carenza attuale è il risultato di una programmazione inadeguata, che non ha saputo garantire un adeguato turnover rispetto ai pensionamenti previsti. L’assenza di politiche efficaci per incentivare i giovani a scegliere questa professione ha ulteriormente aggravato la situazione, lasciando intere zone prive di copertura medica sufficiente.
Numeri e proiezioni allarmanti
Il quadro demografico italiano rende evidente l’insostenibilità dell’attuale rapporto medico-pazienti. Nel 1984, gli over 65 rappresentavano il 12,9% della popolazione, mentre oggi sono il 24%, con una quota di ultraottantenni che è passata dal 2,4% al 7,7%. Secondo le proiezioni dell’ISTAT, entro il 2034 gli over 65 costituiranno quasi il 30% degli italiani, aumentando ulteriormente la pressione sui servizi sanitari di base.
Il numero massimo di assistiti per medico, fissato dall’Accordo Collettivo Nazionale (ACN) a 1.500 unità, con possibilità di deroghe fino a 2.000, è ormai obsoleto. Oltre il 50% dei MMG segue già più pazienti del limite previsto, con pesanti conseguenze sulla qualità dell’assistenza e sul tempo dedicato a ciascun malato.
Tra il 2024 e il 2027, circa 7.345 medici andranno in pensione, mentre il numero di borse di studio disponibili per i nuovi MMG non sarà sufficiente a colmare il divario. In molte Regioni, l’adesione ai concorsi per la medicina generale è in calo, segnalando un progressivo disinteresse verso la professione.
Le Regioni più colpite e l’accessibilità compromessa
L’analisi condotta dalla Fondazione Gimbe, basata sui dati SISAC aggiornati al 2024, evidenzia le Regioni con le carenze più gravi: Lombardia (-1.525), Veneto (-785), Campania (-652), Emilia-Romagna (-536), Piemonte (-431) e Toscana (-345). Al contrario, non emergono criticità in Basilicata, Molise, Umbria e Sicilia, sebbene anche in queste aree possano esistere situazioni locali di difficoltà.
La distribuzione irregolare dei medici sta rendendo sempre più difficile per i cittadini trovare un MMG vicino alla propria residenza, con effetti particolarmente negativi nelle grandi città e nelle zone rurali. L’innalzamento del rapporto medici-residenti a 1 ogni 1.200, adottato per definire le aree carenti, non rappresenta una soluzione reale, ma solo un espediente per mascherare il problema.
Un futuro incerto per la medicina di base
La mancanza di interventi strutturali rischia di trasformare la carenza di medici di famiglia in un’emergenza cronica, compromettendo il diritto alla salute di milioni di cittadini. Senza una revisione delle condizioni di lavoro, un incremento delle borse di studio e una strategia efficace per rendere più attrattiva la professione, il sistema sanitario nazionale continuerà a perdere uno dei suoi pilastri fondamentali.
La questione richiede interventi immediati e mirati, affinché l’assistenza territoriale possa reggere l’impatto dell’invecchiamento della popolazione e garantire cure adeguate a tutti.
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