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L’Europa si indebita per le armi mentre invoca la pace, ricalcando strategie USA e Neocon. Si rafforza la NATO, si abbandona il Green Deal, si segue Washington su Ucraina, Cina e Israele. L’unità UE resta utopia: più debito, meno welfare, élite incontestate. Gli europei? Ciechi.
L’Europa armata e indebitata: un’illusione geopolitica
L’Unione Europea si trova oggi a un bivio storico, ma non quello delle grandi scelte politiche e istituzionali che alcuni suoi sostenitori vorrebbero evocare. Piuttosto, l’UE si è lanciata in una corsa al riarmo, con un aumento della spesa militare che, più che una strategia autonoma, appare come l’esecuzione di direttive imposte dall’esterno.
La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, sostiene che la pace si ottiene con la forza, uno slogan che ricalca le dichiarazioni di Donald Trump, sebbene ufficialmente la leadership di Bruxelles si dichiari contraria all’ex presidente americano.
Ancora una volta, l’Europa dimostra di non essere neppure capace di forgiare uno slogan originale, ripescando concetti elaborati dai neoconservatori americani come quello del “giardino assediato dalla giungla”, ripreso da Josep Borrell e in realtà tratto dai testi di Robert Kagan, uno dei principali ideologi dell’interventismo statunitense.
Il riarmo e la retorica della minaccia
La giustificazione ufficiale per l’aumento della spesa militare è la minaccia russa. Fino al 2022, Vladimir Putin era considerato un interlocutore affidabile, utile per garantire all’Europa energia a basso costo, investimenti e flussi finanziari. Le aziende europee prosperavano con le esportazioni verso la Russia, mentre gli oligarchi russi trovavano rifugio sicuro nelle banche occidentali. Poi, nel febbraio 2022, la Russia ha invaso l’Ucraina e improvvisamente è diventata il nemico esistenziale dell’Europa.
Nonostante il conflitto sia in una fase di stallo e i russi abbiano consolidato solo una parte dei territori occupati, la narrativa dominante sostiene che Mosca sia pronta a invadere il continente, costringendo gli europei a incrementare il budget per la difesa.
Non solo: il recente documento del Parlamento europeo ha ampliato il perimetro delle minacce, includendo la Cina, l’Iran, la Corea del Nord e persino regioni come l’Artico e la Groenlandia, senza dimenticare le crisi in Africa e Medio Oriente.
L’allineamento con Washington: una scelta obbligata?
Dietro questa apparente strategia di sicurezza si cela, in realtà, una scelta economica e politica ben precisa: l’Europa si indebita per comprare più armi, gran parte delle quali saranno fornite dagli Stati Uniti. Questo permette a Washington di ridurre la propria spesa militare in Europa, mantenendo il controllo strategico della NATO e liberando risorse per affrontare il confronto con la Cina nel Pacifico.
In cambio, gli europei sperano di ottenere concessioni commerciali e un alleggerimento della politica protezionistica statunitense. Il tutto, ovviamente, senza mai ammettere che la politica di difesa europea sia dettata più da esigenze di equilibrio economico che da reali pericoli militari.
L’UE, nel frattempo, abbandona ogni pretesa di autonomia strategica: il Green Deal viene accantonato, i programmi di investimento come il PNRR ridimensionati e le priorità economiche riorientate verso la produzione bellica.
Bruxelles si allinea perfettamente alla dottrina neoconservatrice americana della “guerra tra democrazie e autocrazie”, riproponendo vecchie retoriche della Guerra Fredda aggiornate alla nuova era multipolare.
La cecità politica europea
Mentre si finanzia il riarmo e si seguono i diktat di Washington, l’Europa chiude gli occhi davanti alle crisi umanitarie e alle contraddizioni geopolitiche. La guerra a Gaza, con il massacro di migliaia di civili palestinesi, viene accolta con un imbarazzato silenzio, mentre si giustificano colpi di Stato in Medio Oriente purché siano funzionali agli interessi occidentali.
Nel frattempo, la stessa Unione Europea fatica a definire una propria identità politica. Si parla di “Europa unita”, ma senza un vero governo centrale, senza un esercito comune e senza un’unica politica estera. Il sogno degli Stati Uniti d’Europa è rimasto tale, senza mai tradursi in progetti concreti. Il nazionalismo, lungi dall’essere un’eccezione, è la regola della politica europea: nessun Paese è disposto a cedere sovranità su difesa e politica economica, e persino le élite politiche che sostengono l’integrazione europea non vogliono rinunciare ai propri privilegi.
L’illusione di una nuova era
Dagli anni ’50, l’Europa ha avuto decenni per trasformarsi in una federazione coesa, ma la realtà ha sempre smentito questa possibilità. Oggi, l’illusione di una superpotenza europea si scontra con la fragilità economica del continente, sempre più anziano, meno competitivo sul piano industriale e tecnologico, e sempre più dipendente dalla banco-finanza anglosassone.
L’indebitamento per la spesa militare renderà l’Europa ancora più vulnerabile alle pressioni dei mercati finanziari: nel giro di pochi anni, gli stessi fondi d’investimento che oggi finanziano la corsa al riarmo chiederanno tagli alla spesa sociale e nuove privatizzazioni. Il ciclo si ripeterà, mentre l’élite politica europea continuerà a navigare da un’emergenza all’altra senza una vera visione strategica.
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