Questa è l’Europa che non vogliamo


Stupirsi ed essere tanto indignati di quanto a detto la Presidente del Consiglio sul Manifesto di Ventotene mi sembra francamente non accettare la realtà. La realtà di un Paese governato da una destra nazionalista lontanissima dal pensiero di Spinelli che immaginava un Europa di stampo Socialista. Ma di che vi stupite mi viene da dire!! Anzi forse sarebbe ora di smetterla di chiedere alla premier di dichiararsi antifascista quando il suo essere e la sua natura discendono da quel pensiero. 

Però bisognerebbe anche nello stesso tempo essere altrettanto chiari sull’Europa di oggi che non solo è lontana dal disegno di Ventotene ma ne è agli antipodi, se ne facciano una ragione i Benigni, i Serra ecc. che parlano di Stati uniti di Europa rifacendosi al manifesto di Ventotene. Forse anche loro farebbero bene a rileggerlo.

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Il Manifesto di Ventotene si esprimeva chiaramente contro tutti i totalitarismi (nazismo e stalinismo), l’egemonia della Germania, il liberismo in tutte le sue forme, i nazionalismi sciovinisti, l’imperialismo e l’uso strumentale della geopolitica per giustificarlo, il militarismo e qualunque forma di corporativismo sia esso industriale o sindacale.

Spinelli, Rossi e Colorni credevano fortemente in un’Europa alternativa (mi verrebbe da dire, soprattutto da quella attuale), in cui fosse necessario il superamento dei privilegi corporativi e delle disuguaglianze sociali.

Scrivevano nel Manifesto: “Un’Europa libera e unita è premessa necessaria del potenziamento della civiltà moderna, di cui l’era totalitaria rappresenta un arresto. La fine di questa era sarà riprendere immediatamente in pieno il processo storico contro la disuguaglianza ed i privilegi sociali. Tutte le vecchie istituzioni conservatrici che ne impedivano l’attuazione, saranno crollanti o crollate, e questa loro crisi dovrà essere sfruttata con coraggio e decisione. La rivoluzione europea, per rispondere alle nostre esigenze, dovrà essere socialista, cioè dovrà proporsi l’emancipazione delle classi lavoratrici e la creazione per esse di condizioni più umane di vita.”

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“Il principio veramente fondamentale del socialismo è quello secondo il quale le forze economiche non debbono dominare gli uomini, ma come avviene per forze naturali essere da loro sottomesse, guidate, controllate nel modo più razionale, affinché le grandi masse non ne siano vittime.”

Il Manifesto di Ventotene prefigurava la necessità dell’istituzione di una confederazione europea (e non una Europa federale) con un parlamento europeo eletto a suffragio universale e un governo democratico con poteri reali nell’economia e nella politica estera. Un “partito rivoluzionario” di stampo socialista su scala europea che avrebbe dovuto sostituire i partiti tradizionalmente intesi per consentire l’inveramento di questa prospettiva.

Vi è poi una parte molto interessante:

Colorni, Rossi e Spinelli ebbero la forza di scrivere nero su bianco che, per avanzare riforme sociali importanti, bisognava rivedere in modo cauto anche il concetto di “proprietà privata” ed analizzarlo in ogni suo caso, qualora sia oppressivo per la collettività e quando invece abbia ragione e diritto d’esistere:

“La proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa, caso per caso, non dogmaticamente in linea di principio. Questa direttiva si inserisce naturalmente nel processo di formazione di una vita economica europea liberata dagli incubi del militarismo e del burocraticismo nazionali. In essa possono trovare la loro liberazione tanto i lavoratori dei paesi capitalistici oppressi dal dominio dei ceti padronali, quanto i lavoratori dei paesi comunisti oppressi dalla tirannide burocratica. La soluzione razionale deve prendere il posto di quella irrazionale anche nella coscienza dei lavoratori.”

Queste riflessioni non sono mai state prese in considerazione nella nostra Europa tanto acclamata dalla retorica europeista e dall’attuale retorica neoliberale sugli “Stati Uniti d’Europa”, ma addirittura storicamente abbiamo vissuto il contrario: la centralità della proprietà privata, dell’iniziativa privata vista proprio come sacra ed intoccabile ed un progressivo lasciar fare neoliberista a discapito del pubblico.

Come non ricordare quanto l’Italia di Prodi nel 2001 ha velocizzato i processi di privatizzazione delle perle industriali pubbliche come l’ILVA, l’IMI e l’IRI, con la scusa che fosse necessario per entrare in Europa, dimenticando che gli autori del Manifesto di Ventotene chiedevano espressamente il mantenimento dei settori strategici sotto l’industria pubblica:

“non si possono più lasciare ai privati le imprese che, svolgendo un’attività necessariamente monopolistica, sono in condizioni di sfruttare la massa dei consumatori (ad esempio le industrie elettriche); le imprese che si vogliono mantenere in vita per ragioni di interesse collettivo, ma che per reggersi hanno bisogno di dazi protettivi, sussidi, ordinazioni di favore, ecc. (l’esempio più notevole di questo tipo di industrie sono in Italia ora le industrie siderurgiche); e le imprese che per la grandezza dei capitali investiti e il numero degli operai occupati, o per l’importanza del settore che dominano, possono ricattare gli organi dello stato imponendo la politica per loro più vantaggiosa (es. industrie minerarie, grandi istituti bancari, industrie degli armamenti). È questo il campo in cui si dovrà procedere senz’altro a nazionalizzazioni su scala vastissima, senza alcun riguardo per i diritti acquisiti;”

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L’Europa tecnocratica e finanziaria di oggi non è quella pensata a Ventotene  Non è un caso  l’atteggiamento di allora di Sandro Pertini il quale, dopo aver sottoscritto il documento mentre era confinato proprio a Ventotene, venne espulso dal PSI per la sua posizione “eterodossa”, per poi ritirare la firma per obbedienza al partito. Era la prefigurazione della scarsa fortuna dell’idea confederale a base democratica, solidale e socialista.

Quella che nacque storicamente fu l’Europa di oggi, ovvero un’unione (né una federazione né una confederazione) nata sul modello funzionalista di Jean Monnet, secondo il quale bisogna “togliere sovranità ai popoli senza che se ne accorgano”.

Un’unione che non ha una Costituzione; non ha una legittimità democratica in quanto la maggioranza dei cittadini degli Stati membri non l’ha voluta (vedasi il referendum in Francia del 2005); un’unione che è stata imposta dall’alto e che tassa i cittadini europei senza rappresentarli (il Parlamento Europeo ha solo la funzione di proporre direttive e non leggi, mentre le leggi le fa la Commissione Europea che è composta da nominati e non eletti) non altro che un’Europa tecnocratica.

Dovremmo anche ricordare che l’Italia, a detta di Romano Prodi, quando entrò nell’euro, svalutò la lira del 600%. Nel gennaio 2002, nei 16 Stati più ricchi d’Europa avanza l’idea di creare corpi sovranazionali col potere di imporre le regole. Ecco quindi l’Unione Europa, il Trattato di Lisbona, l’Organizzazione Mondiale del Commercio, i Mercati dei Capitali d’Investimento. Idea che vinse allora e vince in questa Europa nella quale viviamo in cui l’economia, purtroppo, domina la politica.

Questa verità è sotto gli occhi di tutti ed è emersa in tutta evidenza anche di fronte alle questioni squisitamente politiche, culturali, etiche come: la “Fortezza Europa” in termini di immigrazione; l’americanizzazione della difesa, in termini di sudditanza dell’Europa alla NATO; la guerra ai confini asimmetrici dell’Europa, in Nord Africa e in Ucraina e l’attuale riarmo da 800 miliardi di Ursula Von der Leyen, senza dimenticare il colpevole silenzio su quanto accade in Palestina.

L’Europa di oggi non c’entra nulla con quella tratteggiata da Spinelli, Il sistema è diverso, la forma istituzionale è diversa e parlare di Ventotene si può fare, ma solo se si ha in mente una rifondazione totale dell’Europa. Spinelli, quando lavorava in Europa, disse chiaramente che l’Europa doveva nascere su base socialista e non sul libero mercato neoliberista.

Gli “Stati Uniti d’Europa” di cui si parla saranno neoliberali su modello atlantista

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Gli “Stati Uniti d’Europa” di cui parlano tutti gli europeisti più sensazionalisti e i federalisti europei come Emma Bonino, Matteo Renzi e Michele Serra, per rimanere ai politici o giornalisti per non toccare il “sacro Benigni” non sono un progetto di democrazia socialista europea, ma bensì un consolidamento di una post-democrazia di stampo neoliberale su modello statunitense, ispirandosi al federalismo statunitense e al vero padre del federalismo europeo che è il liberale Luigi Einaudi.

Oggi in Europa non esiste e non può esistere il “cittadino europeo”, né tantomeno il cittadino italiano, tedesco, francese, inglese o spagnolo che si sente o si definisce “europeo”. Questo perché l’Europa non è paragonabile agli Stati Uniti d’America, una nazione artificiale creata da immigrati europei, senza una cultura unitaria se non quella del denaro e del consumismo.

Forse il destino pensato dalle classi dirigenti europee per l’Europa è livellare le sue diverse culture ed identità sul piano del mercato come negli USA. Così avremo una classe dirigente che non solo tifa per il default economico, ma anche per il default culturale.

Per chiudere questa mia lunga riflessione ritengo che dovremo accontentarci per ora di opporci a quest’Unione Europea, dobbiamo chiedere un’Europa che metta al centro dell’agenda un programma di riscrittura dei valori e delle politiche attuali anzitutto il disarmo e, contestualmente, un abbandono delle agende di austerità e dei programmi di utilizzo del debito comune come cardine dello sviluppo improntato all’ipocrisia difensiva. Non si riparte ne da un esercito comune europeo e tanto meno dall’aumento della spesa militare dei singoli stati , ma da una implementazione delle misure sociali, delle reti di protezione dei più deboli che, altrimenti, sosterranno sempre più energicamente le forze nazionaliste che faranno definitivamente implodere la vergogna attuale che è l’Unione Europea. 

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