“Per affrontare la crisi del settore moda chiediamo un Patto etico di filiera con i fornitori, una detrazione d’imposta per l’acquisto di prodotti sostenibili e un’aliquota Iva agevolata, per il rilancio dei consumi di moda e una cedolare secca sugli affitti commerciali con riduzione concordata dei canoni, un contributo per lo smaltimento dei magazzini e detrazioni per l’innovazione e l’ammodernamento del retail, oltre a detrazioni per chi si insedia in negozi sfitti”. Ad affermarlo è il direttore di Confcommercio cesenate Giorgio Piastra.
Il Consiglio Nazionale di Federazione Moda Italia si è riunito a Courmayeur, per discutere delle sfide che il settore del retail moda dovrà affrontare, dopo un 2024 chiuso con una diminuzione media del 4,2% rispetto all’anno precedente. Nel 2024 si è registrato un saldo negativo tra aperture e chiusure di negozi, con una perdita di 6.459 punti vendita. Nonostante ciò, il settore continua a rappresentare una parte cruciale dell’economia italiana, con i suoi 164.369 negozi che danno lavoro a 299.793 persone. I saldi invernali del 2025 hanno confermato il calo dei consumi, segnando una diminuzione del 5,5%. Inoltre, il 60% delle aziende intervistate ha segnalato una riduzione delle vendite rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
“Nel territorio – afferma Piastra – i dati sono sostanzialmente in linea con quelli nazionali con oggettive difficoltà dei negozi di abbigliamento, che pure restano un cardine della rete distributiva dei nostri comuni. Tuttavia c’è l’aspirazione del retail della moda di raggiungere la vetta della ripresa attraverso uno spirito imprenditoriale che si affida all’innovazione, alla resilienza e allo shopping tourism che grazie all’abbassamento della soglia del tax free shopping da 154,96 euro a 70 euro operata dal Ministero del Turismo, anche a seguito delle richieste di Federazione Moda Italia con Confcommercio, in questo primo anno dall’entrata in vigore del primo febbraio 2024, ha rappresentato un volano per il retail locale. Uno spirito sempre positivo messo a dura prova, però, dal ridimensionamento di oltre il 10% dei consumi di moda delle famiglie italiane negli ultimi cinque anni e anche da disinvolte politiche commerciali dei nostri stessi fornitori, attraverso e-commerce, outlet, sample sale e family & friends che non seguono il principio dello “stesso mercato, stesse regole”.
“È evidente – conclude – il rischio di desertificazione commerciale se si pensa che solo nell’ultimo anno, il commercio al dettaglio del settore moda ha perso ogni giorno in Italia 18 negozi, un dato che desta ulteriori preoccupazioni vista la perdita media degli ultimi cinque anni di 13 negozi al giorno con 23.322 negozi in meno e oltre 35.000 posti di lavoro persi. Se i consumi interni languono e i negozi chiudono, ci si deve chiedere quali imprenditori potranno effettuare nuovi ordinativi per la produzione Made in Italy e quali saranno le ricadute sull’intera filiera. Ecco allora che bisogna intervenire tempestivamente con interventi strutturali, quelli che Confcommercio richiede”.
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