La Svizzera non fa parte dell’UE e neppure dello Spazio economico europeo (SEE), a differenza di Islanda, Norvegia e Liechtenstein. Ciò non le impedisce di intrattenere stretti legami economici con il suo grande vicino.
La cooperazione economica e commerciale tra i due è regolata da una serie di accordi bilaterali. Questi trattati hanno allineato buona parte della legislazione svizzera a quella dell’UE e hanno consentito alle imprese di accedere direttamente ai rispettivi mercati, come sottolinea un approfondimento di SWI swissinfo.ch.
“Questi accordi vanno ben oltre il classico trattato di libero scambio”, spiega il responsabile della sezione economica e commerciale della Delegazione dell’UE in Svizzera e Liechtenstein Michael Fridrich. “La libera circolazione delle persone o il riconoscimento reciproco degli standard di conformità, ad esempio, sono elementi che non si trovano in altri accordi e che sono”, ritiene, “mutualmente vantaggiosi”.
Cooperazione economica Svizzera-UE: i principali accordi
Accordo di libero scambio con la Comunità economica europea (1972): segna l’inizio delle relazioni ufficiali tra i due confinanti e mira a eliminare le barriere al commercio (esclusivamente di beni).
Bilaterali I (1999): Dopo il rifiuto della Svizzera di aderire allo SEE nel 1992, Berna e Bruxelles concordano un pacchetto di 7 accordi settoriali. I più importanti, sul piano commerciale, sono la libera circolazione delle persone, il riconoscimento reciproco delle valutazioni di conformità e l’accesso a diversi settori chiave del mercato interno (agricoltura, trasporti, appalti pubblici).
Bilaterali II (2004): Coprono 9 ambiti, tra cui la riduzione dei dazi doganali sui prodotti agroalimentari e l’abolizione dei controlli sistematici di identità alle frontiere grazie all’integrazione della Svizzera nell’area Schengen.
Bilaterali III (2024): Il pacchetto include 2 nuovi accordi nei settori dell’elettricità e della sicurezza alimentare. Inoltre, affronta questioni istituzionali rimaste finora irrisolte.
Considerato che è un piccolo Paese ricco, industrializzato e con poche materie prime, non sorprende che la Svizzera sia fortemente orientata al commercio internazionale, in primis con i Paesi confinanti.
Da quanto si legge sul sito web della Segreteria di Stato dell’economia (SECO), è assodato che gli accordi bilaterali hanno “contribuito in modo sostanziale al buon posizionamento economico della Svizzera” e che la Confederazione avrebbe molto da perdere se fossero disdetti. Contattata da SWI swissinfo.ch, la SECO non rilascia al momento interviste sull’argomento ma fa riferimento a diversi studi commissionati da Berna negli ultimi anni.
Altre voci, più critiche, ritengono al contrario che dal punto di vista economico l’impatto degli accordi bilaterali sia poco tangibile.
L’UE resta preponderante nel commercio estero della Svizzera
Tra il 1990 e la fine degli anni 2000, le transazioni con l’UE nel suo complesso hanno rappresentato quasi il 70% del commercio internazionale della Svizzera. Questa quota è diminuita con l’aumentare dell’importanza di altri mercati, in particolare degli Stati Uniti (meno dell’8% negli anni 1990-2000 contro il 13% nel 2023) e della Cina (da meno del 2% a quasi il 7% attuale).
Tuttavia, il commercio di beni con l’UE resta preponderante e rappresenta attualmente circa il 60% del commercio estero della Confederazione.
La prossimità è un fattore chiave per gli scambi commerciali Svizzera-UE
Benché la Slovenia abbia scalato la classifica nell’ultimo decennio distinguendosi nel settore chimico- farmaceutico, i Paesi limitrofi sono tra i partner commerciali più importanti della Svizzera.
Per Michael Fridrich, la prossimità è in genere un fattore importante per gli affari, specie quando vi è incertezza nelle relazioni con altri partner (gli Stati Uniti, ad esempio).
La Germania è il secondo più importante Paese di destinazione dell’export svizzero -dopo gli Stati Uniti- mentre l’UE nel suo complesso ne riceve poco meno della metà (47%). Una quota significativamente diminuita in 30 anni (era il 60% nel 1993).
La Svizzera importa beni soprattutto dall’UE
Quasi il 70% delle merci importate dalla Svizzera proviene dall’Unione Europea e la Germania è di gran lunga il principale Paese d’origine.
L’UE è anche il partner più importante della Confederazione nel settore dei servizi, con il 40% delle esportazioni svizzere e il 45% delle importazioni nel 2023.
Gli stock di investimenti diretti all’estero (IDE) sono un altro indicatore dell’importanza dei legami tra la Svizzera e l’Europa dei 27. Le imprese dell’UE, Paesi Bassi in testa, rappresentano quasi i due terzi (601 miliardi di franchi) degli IDE in Svizzera.
Inoltre, la maggior parte delle aziende svizzere che investono all’estero, ad esempio per mezzo di filiali, lo fanno anche nell’UE: 588 miliardi di franchi, ovvero quasi la metà (anche se, singolarmente, gli Stati Uniti sono il principale Paese d’investimento).
La Svizzera non è un partner poi tanto piccolo per il suo grande vicino
Il mercato comune europeo è un gigante, in confronto al mercato interno elvetico. La popolazione dell’Unione è 50 volte quella della Confederazione e la somma delle economie degli Stati membri è 20 volte superiore al PIL svizzero.
Tuttavia, l’elevato potere d’acquisto della Svizzera è un vantaggio e il fatto che la sua economia sia fortemente orientata alle industrie ad alto valore aggiunto la rende praticamente imbattibile in alcuni settori.
La Confederazione si colloca al quarto posto tra i partner commerciali dell’Unione Europea (sebbene nettamente distaccata dai primi tre), in quanto destinazione del 7% delle esportazioni di beni UE e origine di quasi il 6% delle importazioni.
La quota di scambi con Francia e Germania è modesta (9° posto), mentre per la Slovenia siamo ragguardevolmente il primo partner: il 20% del commercio estero del Paese centroeuropeo è con la Svizzera.
Ciò è ancora più vero per i servizi, ambito in cui la Confederazione è il terzo partner commerciale dell’UE dopo gli Stati Uniti e il Regno Unito e nel 2022 rappresentava l’11% dei servizi esportati dall’UE a 27 (7% delle importazioni).
Le imprese svizzere hanno un ruolo di peso anche negli investimenti. Nel 2022, la Svizzera era il terzo partner dell’UE (9%) dopo gli Stati Uniti e il Regno Unito in termini di IDE in entrata e in uscita.
L’industria farmaceutica è in prima linea nelle relazioni commerciali Svizzera-UE
I prodotti chimico-farmaceutici sono tra i principali beni scambiati tra la Svizzera e l’Unione Europea e rappresentano oltre un terzo del valore totale (108 miliardi di euro).
La Svizzera è il secondo fornitore di prodotti farmaceutici dell’UE dopo gli Stati Uniti. È anche il primo fornitore di oro e orologi dell’UE e il terzo Paese di origine degli strumenti di precisione importati dall’UE a 27, dopo Stati Uniti e Cina.
Per contro, la Confederazione importa massicciamente dall’UE beni per i quali la produzione interna è scarsa o nulla, come automobili, petrolio e mobilia.
Nei servizi, la Svizzera importa più di quanto esporti, ad esempio nel turismo, nell’informatica e nei trasporti. Registra però un’eccedenza nei settori d’elezione della finanza (9 miliardi di franchi) e delle assicurazioni (2,5 miliardi di franchi).
La bilancia commerciale pende a favore dell’UE
Da anni la Svizzera ha una bilancia commerciale negativa con l’Unione Europea: le importazioni superano le esportazioni, anche nel settore farmaceutico.
Tuttavia, secondo un articolo pubblicato nel 2018 da due economisti della SECO su Die Volkswirtschaft, questo squilibrio “non è un segno di debolezza” economica e riflette anzitutto l’elevato grado di interdipendenza delle loro industrie.
I processi produttivi includono sempre più spesso componenti e fasi svolte in Paesi diversi da quello che esporterà il prodotto finito.
La Svizzera stessa importa dall’UE componenti per prodotti che poi vende al resto del mondo. Questo spiega il surplus di importazioni di prodotti chimici e farmaceutici con l’Irlanda, tra gli altri.
Secondo i due specialisti, i saldi commerciali bilaterali sono quindi meno significativi della bilancia commerciale complessiva, che per la Svizzera è ampiamente positiva (surplus di 48 miliardi di franchi nel 2023).
Gli europei sono la principale forza lavoro importata in Svizzera
Dal 2002, anno in cui è entrato in vigore l’Accordo bilaterale sulla libera circolazione delle persone (ALC), cittadine e cittadini dell’Unione Europea possono vivere e lavorare in Svizzera, e viceversa, purché abbiano una fonte di reddito.
L’accordo ha cambiato volto all’immigrazione in Svizzera, che ora è dominata da persone di cittadinanza UE, soprattutto dai Paesi confinanti. Il saldo migratorio con l’UE ammontava a +64’000 persone nel 2024.
Si tratta per la maggior parte di immigrazione per lavoro: lo conferma il fatto che fluttua secondo la congiuntura economica. Con numerose opportunità di lavoro e stipendi elevati, la Svizzera è una destinazione allettante per i lavoratori europei.
Grazie alle condizioni di soggiorno favorevoli, buona parte di chi immigra dall’Unione Europea vi si stabilisce a lungo termine. Il numero di immigrati dall’UE è aumentato costantemente negli ultimi 25 anni fino a raggiungere 1,5 milioni di persone, pari al 17% della popolazione del Paese, nel 2023.
Il numero di frontalieri UE che lavorano in Svizzera è passato da poco meno di 163’000 nel 2002 a quasi 400’000 oggi.
Non esistono statistiche europee altrettanto precise sul numero di persone che ogni anno immigrano nell’UE dalla Svizzera, ma le poche cifre disponibili sono inferiori. Secondo i dati non esaustivi di Eurostat, delle persone immigrate nell’UE nel 2022 circa 30’000 vivevano precedentemente in Svizzera (senza distinzione di cittadinanza).
Nello stesso anno, circa 5’000 svizzeri sono immigrati in Germania e 4’000 nati in Svizzera sono immigrati in Francia, secondo le statistiche sulla migrazione dei rispettivi Paesi. Nel complesso, si contano meno di 460’000 cittadini svizzeri che vivono nell’UE.
Una risposta al fabbisogno di manodopera
Di tutti gli accordi bilaterali, l’ALC è quello che è stato oggetto di maggior dibattito in Svizzera, anche per i suoi risvolti economici.
L’apertura del mercato del lavoro ha fatto temere, soprattutto nei cantoni di confine, che i salari diminuissero e l’aumento della concorrenza sul mercato del lavoro mettesse in difficoltà la popolazione residente. Ma un numero crescente di studi sul tema tende a concludere che le misure di accompagnamento abbiano permesso di evitare questi effetti negativi.
Al pari degli anni precedenti, l’ultimo rapporto della SECO conclude che la libera circolazione ha consentito di soddisfare la domanda di manodopera che non era disponibile in Svizzera, o non in quantità sufficiente. Questa analisi è rafforzata dalle già osservate carenze in alcuni settori.
Alcune voci criticano la natura vincolante dell’ALC e chiedono un ritorno alle quote, sostenendo che esse non impedirebbero alla Svizzera di ricorrere a manodopera straniera in base alle necessità. Per la SECO, invece, i contingenti di immigrazione porterebbero a una riduzione dell’offerta di lavoro e a un aumento dei costi di assunzione.
Michael Fridrich, della Delegazione UE in Svizzera, aggiunge che i vantaggi economici dei vari aspetti degli accordi bilaterali non possono essere considerati separatamente. “Se la Svizzera è vista come un luogo allettante per le aziende europee che vogliono investire”, osserva, “è anche perché sanno che possono facilmente inviare il loro personale se aprono una filiale qui”.
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Svizzera-UE, migliore protezione dei salari
Telegiornale 21.03.2025, 20:00
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