NARDO’ – La decisione di rinunciare all’ampliamento della pista di Nardò e al progetto di sviluppo del centro collaudo da parte del colosso del settore Porsche non ha fatto tutti scontenti, anzi. C’è chi può tirare un sospiro di sollievo ed esultare come il comitato “Custodi del Bosco d’Arneo” che da tempo, insieme ad associazioni ambientaliste e movimenti, si era attivate per fermare i propositi di allargare il sito a discapito di duecento ettari di area boscata, residuo di una foresta secolare oritana, tra Nardò e Porto Cesareo, e altri 351 da espropri di terreni privati ricadenti in zona.
Il comitato rompe il silenzio e parla di “battaglia vinta” che “sembrava impossibile”, ma riavvolge il nastro delle tappe di questa vicenda per “smontare le narrazioni che accompagnano la decisione”, ricordando come quel piano dismesso godesse del consenso della Regione e dei Comuni di Nardò e di Porto di Cesareo, enti che ne avevano una “pubblica utilità”, nonostante si trattasse di un sito d’interesse comunitario dentro una riserva regionale tutelata dalla normativa comunitaria per la salvaguardia della biodiversità. Tutte normative “aggirate – precisano – senza il parere della Commissione Europea né dibattito pubblico e, ancor peggio, ignorando i pareri negativi per l’impatto ambientale”.
Da qui la decisione di denunciare il “massacro ambientale in un’area protetta” e la “perdita irreversibile di biodiversità”, con la costituzione di un comitato e la promozione di un ricorso al Tar insieme a Italia Nostra e Gruppo di Intervento Giuridico, fino ad ottenere dal commissario europeo per l’ambiente Sinkevičius, a nome della Commissione europea, la richiesta di ulteriori chiarimenti riguardo il progetto, la solidarietà e mobilitazione dell’opinione pubblica tedesca, con il supporto delle maggiori associazioni per la tutela della natura Nabu, Bund e lnv, di Robin Wood e Fern, e l di artisti internazionali.
Viene anche respinta la stigmatizzazione dell’impegno attivo e la definizione generica di “ambientalisti” contro cui starebbero puntando il dito Regione e Confindustria: “Siamo solo cittadini liberi e attenti – affermano – che chiedono di autodeterminarsi. Però al Sud – proseguono – chi respinge modelli di sviluppo imposti dall’alto è sempre tacciato di arretratezza e inciviltà, come fossimo poveri selvaggi da educare”.
Sul tema della perdita di un’opportunità occupazionale, riportano l’attenzione al “perenne ricatto salute-lavoro che attanaglia il Meridione” e alle cronache con collaudatori e operai in presidio permanente davanti ai cancelli dell’azienda e in sciopero della fame nel 2017, “costretti per vent’anni a condizioni di lavoro pericolose e precarie”.
Critiche anche agli amministratori locali, alla Regione Puglia e alle associazioni di categoria che hanno alimentato “la logica coloniale ed estrattiva in un territorio di conquista già devastato dal disseccamento degli ulivi, incendi sistematici, consumo di suolo con conseguente impermeabilizzazione irreversibile e desertificazione, gestione scellerata delle discariche di rifiuti, crisi idrica e siccità galoppante, speculazione energetica con il land grabbing per impianti eolici e fotovoltaici”.
In conclusione parlano di pagina storica nell’attivismo salentino che ha “valicato i confini internazionali”, diventando “emblema di un’altra idea di futuro, in cui altre forme di sviluppo che non compromettano la natura, la salute e la sicurezza delle persone che vivono i territori, sono possibili”.
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