il rinvio dell’obbligo è come giocare d’azzardo


Continua la “telenovela” per l’introduzione dell’obbligo assicurativo a carico delle imprese italiane per i danni derivanti da catastrofi naturali (terremoto, frana, alluvione, inondazione ed esondazione).

Mentre in queste ore l’ennesima, fortissima, scossa di terremoto (di magnitudo 7.7) colpisce il Sud-Est asiatico con effetti devastanti e conseguenze socio-economiche ancora difficilmente immaginabili, in Italia, dopo 15 mesi dall’emanazione della legge che ha introdotto l’obbligo, ancora si grida all’introduzione dell’ennesima “tassa” o “gabella” a carico del settore produttivo e si discute animatamente di “dettagli” operativi frutto dell’ormai cronica incapacità di scrivere le norme in modo chiaro e trasparente al fine di favorirne l’(effettiva) applicazione.

Microcredito

per le aziende

 

E che cosa fa il governo su pressione dell’industria? Prende ancora tempo con un bel decreto legge che prevede “l’ennesima” proroga, al primo gennaio 2026, per le cosiddette micro-imprese (meno di dieci dipendenti e un fatturato non superiore a due milioni di euro oppure un totale di bilancio non superiore a due milioni ) e per le piccole imprese (ossia quelle con meno di 50 dipendenti e un fatturato non superiore a dieci milioni di euro oppure un totale di bilancio non superiore a dieci milioni di euro), al primo ottobre 2025, per le cosiddette medie imprese (con meno di 250 dipendenti e un fatturato non superiore a 50 milioni di euro oppure un totale di bilancio non superiore a 43 milioni di euro). Per le grandi imprese (che, per inciso, sarebbero quelle che dovrebbero avere maggior urgenza e disponibilità finanziarie per “coprirsi”) vengono concessi ancora 90 giorni (primo luglio) per adempiere l’obbligo. Come se gli eventi naturali aspettassero le scadenze dettate dalle esigenze politico-economiche.

Non che fosse tutto comprensibile, per carità, la normativa è stata frutto di compromessi e difficili equilibri. Per la sua applicazione, ad esempio, “l’assicurato” (ossia il soggetto su cui grava l’obbligo) si identifica con le imprese con sede legale in Italia e con quelle estere con stabile organizzazione nel Paese, tenute all’iscrizione nel Registro delle imprese ai sensi dell’articolo 2188 del Codice civile.

Tutto chiaro? Non proprio. È bene sapere infatti che l’art. 2202 del Codice civile esonera i piccoli imprenditori dall’obbligo di iscrizione nel Registro. Ai sensi dell’articolo 2083, sono tali i coltivatori diretti, gli artigiani, i piccoli commercianti e coloro che esercitano un’attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia. Questi, tuttavia, sono comunque obbligati a iscriversi nella Sezione speciale del Registro anche se con una mera funzione di “notizia”.

Insomma dopo diversi “rimbalzi interpretativi” si riesce più o meno a capire -visto che l’obiettivo della normativa è quello, in qualche modo, di mettere al riparo le imprese e, soprattutto, di mettergli a disposizione i mezzi finanziari per poter ripartire dopo un evento naturale- che praticamente tutte le imprese (anche le cooperative sociali, le società tra professionisti, le imprese sociali, etc.) sono obbligate a stipulare una polizza, con la sola esclusione delle imprese del settore agricolo e, fino al 31 dicembre 2025, quelle attive nella pesca e acquacoltura.

Contributi e agevolazioni

per le imprese

 

Un altro esempio di difficoltà applicativa? I beni che dovrebbero essere assicurati sono le cosiddette “immobilizzazioni” di cui all’articolo 2424, primo comma, sezione Attivo, voce B-II, numeri 1), 2) e 3) del Codice civile, ossia, dice la norma, i terreni (fondi o loro porzioni, con differenti caratteristiche geografiche in relazione alla posizione e alla loro conformazione), il fabbricato (l’intera costruzione edile e tutte le opere murarie e di finitura, compresi fissi e infissi, le opere di fondazione o interrate, gli impianti idrici e igienici, gli impianti elettrici fissi, gli impianti di riscaldamento, gli impianti di condizionamento d’aria, gli impianti di segnalazione e comunicazione, gli ascensori, montacarichi, scale mobili, altri impianti o installazioni di pertinenza del fabbricato compresi cancelli, recinzioni, fognature nonché eventuali quote spettanti delle parti comuni), gli impianti e macchinari (tutte le macchine anche elettroniche e a controllo numerico e qualsiasi tipo di impianto atto allo svolgimento dell’attività esercitata dall’assicurato, le attrezzature industriali e commerciali: macchine, attrezzi, utensili e relativi ricambi e basamenti, altri impianti non rientranti nella definizione di fabbricato, impianti e mezzi di sollevamento, pesa, nonché di imballaggio e trasporto non iscritti al Pubblico registro automobilistico).

Il legislatore poi dispone che l’impresa debba assicurare i suddetti beni “a qualsiasi titolo impiegati per l’esercizio dell’attività con esclusione di quelli già assistiti da analoga copertura assicurativa, anche se stipulata da soggetti diversi dall’imprenditore che li impiega”. Questo vuol dire, secondo alcuni, che se l’imprenditore è in locazione in un immobile di proprietà di una persona fisica e questi non abbia alcuna polizza in essere (cosa molto frequente quando si parla di rischi derivanti da catastrofi naturali) debba assicurare l’immobile “per conto altrui” pagando un premio di polizza per un indennizzo che verrebbe, in caso di evento avverso, corrisposto a un altro soggetto, ossia il legittimo proprietario. Un totale nonsense, se l’intento è quello di dotare l’impresa dei mezzi finanziari per risollevarsi in caso di evento catastrofico.

Queste difficoltà, in parte, derivano dal fatto che la materia assicurativa -molto tecnica e spesso frutto di sovrapposizioni derivanti dalle esperienze maturate nel passato da coloro che assumono i rischi, sulla base di fatti concreti- a grosso modo viene ricondotta a due filoni che per semplicità chiamiamo, da un lato, polizze “All risks” (dove tutti gli eventi sono in garanzia, tranne quelli esplicitamente esclusi in una specifica sezione della polizza) e, dall’altro, le polizze a cosiddetto “Rischio nominato”, dove si individuano -tra i tanti- gli specifici rischi che si intendono coprire sperando di aver fatto la scelta giusta.

Ed è solo un “assaggio” dei numerosi dubbi che le norme (primaria e secondaria) hanno scatenato nelle ultime settimane trascurando di fare attenzione alla realtà delle cose: secondo la Banca d’Italia, infatti, il 70% circa delle piccole medie imprese non assicurate, che vengono colpite da un evento catastrofale, entro i sei mesi successivi cessa totalmente l’attività per obiettiva impossibilità a proseguire (perdita dell’immobile, dei macchinari, dei lavoratori impegnati a loro volta a risolvere i problemi personali, del credito finanziario, etc.).

In questo quadro però il livello di copertura assicurativa oggi esistente si ferma a un misero 5% delle aziende operanti in Italia, con differenze in funzione delle dimensioni di queste ultime. Inoltre solamente il 6% delle 35,3 milioni di unità abitative è coperto contro le calamità naturali. È bene sottolineare allo stesso tempo che il nostro è uno dei Paesi europei con il più alto gap di protezione. Il terremoto è l’evento con il minor livello di copertura, seguito da alluvioni, incendi e tempeste.

E allora perché non bisognerebbe rinviare ancora l’entrata in vigore della normativa? Almeno per sei validi motivi.

Primo. L’imprevedibilità degli eventi naturali: terremoti, alluvioni, uragani e altri disastri possono verificarsi senza preavviso. Posticipare la copertura significa esporsi a rischi finanziari enormi nel frattempo. Rinviare la stipulazione delle polizze potrebbe anche comportare premi più alti in futuro con grave danno per l’intero sistema economico e per la collettività.

Secondo. L’aumento della frequenza di eventi estremi: con il cambiamento climatico le alluvioni, gli incendi e le tempeste sono più frequenti e intensi. Più si aspetta, maggiore è la probabilità di subire un danno prima di essere protetti.

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Terzo. I costi elevati di riparazione: senza assicurazione i danni devono essere coperti interamente di tasca propria. Le spese per ricostruire un immobile o sostituire beni possono essere insostenibili. Garantire “continuità aziendale” vuol dire valutare in anticipo le potenziali conseguenze di un danno importante alla propria azienda.

Quarto. La mancanza di alternative statali immediate: anche se esistono fondi governativi per le emergenze (ad esempio il “Fondo vittime calamità”), i risarcimenti sono spesso parziali e tardivi. Nel “cratere” del Centro Italia i cantieri attivi sono ancora molto pochi e la situazione resterà critica ancora per un bel po’ di tempo, con depressione demografica e industriale e ulteriore sottosviluppo delle “aree interne”.

Quinto. Gli obblighi legali e i mutui: in alcune zone ad alto rischio, l’assicurazione contro calamità naturali è obbligatoria per legge (ad esempio il terremoto in alcune Regioni italiane). Le banche spesso la richiedono per concedere mutui.

Sesto. La mancanza di “credibilità” del sistema politico/legislativo e finanziario: rinviare un obbligo di legge, dopo 15 mesi di attesa, compromette la “credibilità” dell’intero sistema e legittima comportamenti elusivi e opportunistici che ricadono sull’intera collettività.

Rinviare la copertura significa giocare d’azzardo con il proprio patrimonio e scaricare sul sistema finanziario pubblico (ossia tutti noi) l’onere di un intervento a posteriori, incerto e farraginoso. La presenza di una copertura assicurativa -accoppiata a una corretta pianificazione degli interventi sui territori, a opere di prevenzione capillari pensate e attuate attraverso interventi che valorizzino anche le azioni dei cittadini e delle strutture sociali e un Fondo pubblico di intervento di secondo livello e di coordinamento- offre sicurezza e stabilità finanziaria, soprattutto in un’epoca di crescente instabilità climatica e geologica che non può essere gestita attraverso improvvisazione e scelte contingenti.

Pietro Negri si occupa da tempo di assicurazione e sostenibilità. Consulente del Forum per la finanza sostenibile e dell’Ispra, è avvocato e segretario generale di Aiba, l’Associazione italiana dei broker di assicurazione e riassicurazione. È stato membro della segreteria tecnica del Comitato per la corporate governance di Borsa Italiana e ha coordinato il gruppo di lavoro assicurativo nell’ambito del National dialogue for sustainable finance promosso dall’Unep-Fi e dal ministero per l’Ambiente.

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