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Meloni incontra le imprese sui dazi, valeriana e calcolatrice: “Sul tavolo 32 miliardi”


La premier riceve a Palazzo Chigi le associazioni e annuncia il viaggio da Trump il 17 aprile. Tre strategie per rispondere alle tariffe americane puntando sullo “0-0”. Ma avverte: niente panico né allarmismi. Risorse da Pnrr, Coesione e Clima

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La sala è quella Verde,  delle grandi concertazioni. Tuttavia le imprese vedono nero: così Giorgia Meloni tira fuori la calcolatrice e davanti alla “decisione assolutamente sbagliata” – la novità è l’avverbio – dei dazi trumpiani. E fa di conto parlando di risorse: 14 miliardi di euro dal Pnrr, undici dai fondi di coesione, sette dal piano sociale per il clima. Totale: 32 miliardi di euro, d’intesa con Bruxelles, da mettere sul tavolo come tranquillante. Anzi la premier cita proprio una formula magica: “Da subito intendiamo attivarci per avviare un forte negoziato con la Commissione Ue per un regime transitorio sugli aiuti di stato e una maggiore flessibilità nella revisione del Pnrr, nell’utilizzo dei fondi di coesione e nella definizione del Piano sociale per il clima”. A Palazzo Chigi la versione “no panico” della premier è infarcita di zeri.
   
      
Dopo la cabina di regia del lunedì, il giorno dopo è dedicato all’incontro del governo con tutte le associazioni produttive che rischiano di finire gambe all’aria per vie dei dazi imposte dalla Casa Bianca. Meloni agita la calcolatrice con una mano e con l’altra distribuisce valeriana perché  considera “fondamentale prima di qualsiasi cosa non amplificare ulteriormente l’impatto reale che la decisione americana può avere”. E quindi, ribadisce, che il panico e l’allarmismo rischiano di fare più danni della misura in sé. In diverse riprese entrano ed escono dalla Sala verde – nella storia della Repubblica luogo deputato a trattative serrate tra governo e sindacati – i  presidenti di Confindustria (Emanuele Orsini), di Ice (Matteo Zoppas) e  di Cnmi (Carlo Capasa). E poi ancora una pioggia di sigle: Confapi, Cna, Confimi Industria, Confimprese Italia, Legacoop, Confartigianato, Conflavoro, Confcommercio, Confesercenti, Casartigiani. E sul finire tocca all’agroalimentare: Coldiretti, Confagricoltura, Confcooperative, Cia-Agricoltori Italiani, Copagri, Assolatte, Federvini, Unione Italiana Vini, Origin Italia, Federalimentare, Filiera Italia. Per tutto il pomeriggio Meloni ha davanti un bel pezzo dell’Italia che produce, ma anche una fetta importante di quel consenso che dopo due anni e mezzo l’ha issata intorno al 30 per cento. Nel cercare di spegnere gli allarmismi, la presidente del Consiglio gioca la carta dell’ottimismo, tanto che nel suo discorso dice che “per noi è molto difficile valutare con precisione quali saranno le conseguenze effettive prodotte da questa nuova situazione sul nostro pil”. Sandro Gambuzza, vicepresidente Confagricoltura ribatte: “Si può stimare un danno intorno ai 3 miliardi di euro. Serve un nuovo Pnrr per sostenere la competitività delle imprese ed evitare fughe in avanti dei singoli   nelle trattative”.

 

Tradita, per le opposizioni dal suo amico d’oltreoceano, la presidente del Consiglio annuncia che il 17 aprile sarà alla Casa Bianca per una visita di lavoro con Donald Trump. Per promuovere un negoziato con gli Usa all’insegna dello “zero a zero”. Ovvero la possibilità di azzerare i reciproci dazi sui prodotti industriali esistenti. Sarà una visita simbolica e densa quella della prima leader europea che farà visita al presidente americano, a due giorni dall’entrata in vigore della reazione, seppur temperata, di Bruxelles. Nel discorso diffuso dopo questa giornata di incontri, la parola Europa e il nome di Ursula von der Leyen compaiono molte volte sulla bocca di Meloni. Perché se una strategia passa dagli Usa, un’altra passa dall’Ue per rimuovere gli autodazi, sperando che lo choc, così come fu per la pandemia e la guerra in Ucraina, possa scuotere l’albero brussellese. “Perché se l’Europa pensa di sopravvivere a questa fase continuando a far finta di niente o a pretendere di iper regolamentare tutto, semplicemente non sopravviverà e abbiamo un problema più grande dei dazi americani”. La terza direttrice di questo discorso – che per la parte delle coperture economiche resta ancora nel libro dei sogni e delle buone intenzioni – riguarda  il nostro paese. Con la speranza che i dazi ci spingano verso nuovi mercati nel nome di un nuovo patto per il made in Italy. Tra le righe, e al di là dei proclami, c’è la sensazione che si navigi a vista, questo sì. E che il bottino di miliardi messi sul tavolo – in tutto sono 32 – debbano essere comunque vidimati dopo trattativa non semplice dall’Ue. A fine giornata i presenti non si sbilanciano in critiche. Vince l’ascolto e le paure restano interiori. Al contrario, miracolo dei dazi o  della situazione ballerina, come annunciato dal sito del Foglio il centrodestra ha trovato una sintesi politica sulla mozione che la prossima settimana arriverà alla Camera. E’ la risposta al no al ReArm del M5s. In sei punti la maggioranza dice di voler continuare a sostenere l’Ucraina, di arrivare al 2 per cento per la Nato, di essere favorevole a maggiori investimenti per la difesa. Salvini per ora si accoda. 

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