Monte Roberto / La processione del Cristo Morto e il ricordo di un tempo che fu


Monte Roberto – La Processione del Cristo Morto, ieri, venerdì, organizzata dalla  Confraternita del Santissimo Crocifisso, grazie alla preziosa collaborazione con le associazioni del territorioPalio di San Floriano di Jesi, Società di Mutuo Soccorso di Cupramontana, Arcieri della Antica MarcaAssociazione Mille Luci, si è snodata per i vicoli del centro.

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Un appuntamento che attraversa il tempo e che, nonostante tutto, resiste. Perché la Settimana Santa, per chi è cresciuto in un certo modo, ha un sapore diverso. È fatta di riti, emozioni, memorie. E anche se oggi tutto scorre più veloce, ci sono tradizioni che sanno ancora fermare il tempo.

Grande la partecipazione di fedeli anche per questa edizione, guidata da don Alberto Balducci, oltre 80 i figuranti che hanno percorso le vie del piccolo borgo, il Cristo Morto adagiato sul cataletto, realizzato a mano nei primi anni del 900, seguito dalla statua della Madonna Addolorata e dal Cireneo, e soldati romani, hanno raggiunto il luogo della crocifissione, di fronte al locale cimitero.

Anche don Gerardo Rocconi ha seguito il cataletto, mentre il nuovo vescovo, Monsignor Paolo Ricciardi ha inviato un messaggio di cui Gianluca Piccioni, priore della confraternita, si è fatto portavoce.

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«La Passione è Passione di dolore, ma è sopratutto Passione d’amore, come nuovo vescovo di Jesi in unione con il carissimo fratello Gerardo, voglio benedirvi nell’attesa di conoscerci di persona e ringraziare sopratutto chi ha organizzato con impegno e sacrificio questo momento».

Nel tempo

C’era un tempo in cui un semplice rametto di ulivo benedetto bastava a dare senso alla Domenica delle Palme. Non importava se si era credenti praticanti o no, non si discuteva: ogni casa doveva averne uno. Era un gesto che sapeva di rispetto, di appartenenza. Un piccolo simbolo che sapeva parlare da solo e che introduceva alla Pasqua.

La Settimana Santa, era davvero santa. Si andava a visitare l’Orto degli Ulivi allestito in chiesa – una chiesa spoglia con il Cristo coperto. Una scenografia che metteva soggezione: le luci soffuse, il silenzio, il cataletto con quell’Uomo coperto da un velo. “Lì c’è Gesù”, ti dicevano. Era morto. E quella consapevolezza ti metteva addosso un’ansia sottile, quella sensazione che ti faceva voltare indietro dopo aver chiuso la porta di casa al rientro.

In chiesa c’era chi pregava in ginocchio sulle panche. Le voci, flebili, sembravano bisbigli. 

E ti domandavi il perchè quelle signore non riuscissero a pregare solo con la mente, forse temevano che senza un filo di voce le loro parole non sarebbero state ascoltate da Dio.

Poi veniva il venerdì. La processione. Si faceva la fila per prendere una delle candele ricoperte di carta, quelle che, puntualmente, dopo cinque minuti prendevano fuoco. Ma nessuno ci rinunciava. Si portavano con fierezza erano parte integrante di quel rito antico di fede. Il gallo di legno portato dai parrocchiani: chissà se c’è ancora?

La camminata era lunga, a tratti infinita. Le fermate, le stazioni della Via Crucis: qualcuno leggeva, come poteva, le tappe della Passione. E poi la banda, con quella musica triste che ti trascinava dentro la scena, dentro il dolore, dentro la storia. Era il momento in cui pregare era concesso e lo si poteva fare ad alta voce.

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Arrivava il sabato, la tradizionale pizza di formaggio, le ricordo ancora nella cesta sulle scale che portavano in soffitta, coperte da un canovaccio, erano lì pronte per il giorno di festa, era vietato anche sbirciare.

E dopo l’attesa, Pasqua. L’ansia di tirare fuori finalmente quel vestito nuovo, o un paio di scarpe, comprati settimane prima ma segragati nell’armadio. Si mettevano solo il giorno di festa, dicevano che portava bene, che ti risparmiava una malattia.

Oggi la processione c’è ancora. Ma è diversa. la si ricorda soprattutto perché segnata in agenda.

Tutto è più veloce, più automatico. Non credo manchi la fede, ma forse ci siamo persi qualcosa, forse non siamo riusciti a trasmettere quello che ci è stato trasmesso: l’attesa, il senso di comunità, il rispetto silenzioso, piccole cose che, un tempo, sapevano rendere sacro anche il quotidiano.

Bastava davvero poco, tutto iniziava con quel rametto d’ulivo benedetto.





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