L’allarme dell’Onu sui diritti umani: soffocati da autocrati e guerrafondai

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“Autocrati e guerrafondai stanno soffocando i diritti umani in tutto il mondo”. Parole quantomai esplicite sono state pronunciate lunedì scorso a Ginevra dal segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, all’ultima riunione del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite (UNHRC), l’unico organismo intergovernativo progettato per la difesa globale dei diritti umani. Platea piena, ma desolatamente vuoto il seggio degli Stati Unitiin ossequio alla recente decisione del presidente Donald Trump di ritirarsi dall’organizzazione, com’era già accaduto nel 2018, all’epoca del suo primo mandato. Un’assenza pesante, che non ha però impedito a Guterres di disegnare con estrema lucidità il panorama globale che si sta delineando, criticando apertamente i regimi autoritari, i conflitti armati e i sistemi finanziari che “minano la dignità umana” e chiedendo un’azione internazionale urgente. 

La prima condanna è stata, di nuovo, per la guerra scatenata dalla Russia in Ucraina, che proprio il 24 febbraio, ha toccato il terzo anniversario. Poi la rinnovata richiesta per un cessate il fuoco “immediato e permanente tra Israele e i militanti palestinesi”. Infine Guterres ha espresso preoccupazione per “l’integrità territoriale del Congo” (nell’est del paese africano i ribelli dell’M23, sostenuti dal Rwanda, continuano ad avanzare uccidendo migliaia di persone, e costringendo chi sopravvive alla fuga), esortando i leader globali a rispettare la sovranità e prevenire un’ulteriore destabilizzazione nella regione. Ma il segretario generale dell’Onu ha detto di più e con un’enfasi non usuale: ha descritto un mondo in cui “i diritti umani sono alle corde e vengono duramente colpiti dai guerrafondai, da un sistema finanziario globale moralmente in bancarotta che favorisce i profitti rispetto alla protezione del pianeta, da coloro che potrebbero sfruttare l’intelligenza artificiale per danneggiare le persone e dai leader che cercano di demonizzare i migranti o limitare i diritti delle donne”. E ancora: “I diritti umani sono l’ossigeno dell’umanità. Ma, uno dopo l’altro, vengono soffocati. Dagli autocrati, che schiacciano le opposizioni e da voci di divisione e rabbia che vedono i diritti umani non come una manna per l’umanità, ma come una barriera al potere, al profitto e al controllo che cercano. Da un patriarcato che tiene le ragazze fuori dalla scuola e le donne a debita distanza dai diritti fondamentali. Da guerrafondai che si fanno beffe del diritto internazionale, anche umanitario, e della Carta delle Nazioni Unite, con guerre e violenze che privano le popolazioni del loro diritto al cibo, all’acqua e all’istruzione. E dalla crisi climatica”. Concetto poi ribadito anche da Volker Turk, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani: “L’edificio che abbiamo costruito con tanta fatica nel corso dei decenni non è mai stato così a dura prova. Il consenso globale sui diritti umani si sta sgretolando sotto il peso di autoritarismi, di uomini forti e oligarchi. Nei secoli scorsi l’uso sfrenato della forza da parte dei potenti, gli attacchi indiscriminati contro i civili, i trasferimenti di popolazione e il lavoro minorile erano all’ordine del giorno. Siate consapevoli: questo può accadere di nuovo. Secondo alcune stime, gli autocrati ora controllano circa un terzo dell’economia mondiale, più del doppio rispetto a 30 anni fa. Abbiamo bisogno di uno sforzo da parte di tutti per assicurarci che i diritti umani e lo stato di diritto rimangano fondamentali per le comunità e per le relazioni internazionali”.


Il consenso globale sui diritti umani si sta sgretolando sotto il peso di autoritarismi

Volker Turk, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani

La variabile Trump

L’allarme non potrebbe suonare più forte di così. Ma non è la prima volta che dai vertici delle Nazioni Unite si alzano voci di preoccupazione. Esattamente un anno fa, era la fine di febbraio del 2024, lo stesso Guterres diceva: “I diritti umani sono il fondamento della pace. Oggi, entrambi sono sotto attacco. A livello locale e online, molte comunità sono lacerate da una retorica violenta, di discriminazione e d’incitamento all’odio. A ciò si aggiunge una guerra dell’informazione. Una guerra ai poveri. E una guerra alla natura. Tutte queste battaglie hanno un tratto in comune: sono una guerra ai diritti umani fondamentali”. Nell’ultimo anno, e soprattutto nell’ultimo mese, molto è cambiato nel panorama internazionale: alla Casa Bianca è tornato Donald Trump, con le sue politiche aggressive, capricciose e provocatorie, solo apparentemente disordinate: dalla minacciata annessione di Canada, Panama e Groenlandia alla spaventosa idea del lungomare di Gaza (qui il video postato da Trump mercoledì scorso), dalla minaccia dell’imposizione di dazi agli stati europei alla ritrovata sintonia con Putin, uno dei più sfacciati dittatori, capaci di silenziare con la violenza il dissenso e di invadere unilateralmente nazioni sovrane. “È come se il presidente americano avesse gettato un sacco di biglie sulla scena globale, sotto i piedi di leader stranieri che hanno spesso attraversato insieme otto decenni di ordine globale del dopoguerra”, scriveva pochi giorni fa l’Associated Press, la prestigiosa agenzia di stampa bandita dalla Casa Bianca per essersi rifiutata di chiamare il Golfo del Messico con il nuovo nome proposto da Trump, “Golfo d’America”. Secondo l’ong American Civil Liberties Union (Aclu), “Trump ha lanciato l’assalto più sistematico e aggressivo ai diritti umani nella storia presidenziale degli Stati Uniti. Non c’è dubbio che l’obiettivo più grande dell’attuale amministrazione sia quello di smantellare, o almeno distruggere gravemente, i diritti umani internazionali e i quadri di giustizia globale che, per decenni, hanno protetto i nostri diritti collettivi e universali e hanno fornito strade per l’accertamento delle responsabilità”.

Scrive al proposito Just Security, rivista online americana che si occupa di diritti, democrazia e politica digitale: “Piuttosto che abbracciare la narrativa di un mondo meno libero e schierarsi apertamente contro la democrazia e i diritti umani, negli ultimi anni i regimi autoritari hanno lavorato per ridefinire il concetto stesso di democrazia e di diritti umani per i propri fini”. Ben attenti a depotenziare i controlli internazionali. E non da oggi: era il 4 febbraio del 2022, dunque alla vigilia dell’invasione dell’Ucraina, quando la Russia e la Repubblica Popolare Cinese firmavano una dichiarazione congiunta nella quale, oltre a parlare di “uguaglianza, giustizia e libertà”, si enunciava un principio molto chiaro: “Spetta soltanto al popolo del singolo Paese decidere se il loro Stato è democratico. Una nazione può scegliere forme e metodi di attuazione della democrazia che si adattano meglio al suo Stato particolare, in base al suo sistema sociale e politico”. Per poi aggiungere: “La Russia e la Cina garantiscono al loro popolo il diritto di partecipare con vari mezzi e in varie forme all’amministrazione dello Stato e alla vita pubblica in conformità con la legge”. Quindi niente intromissioni, niente giudizi sovranazionali: ognuno deve regolarsi per sé e stabilire cosa è “giusto” o “democratico”.

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L’ossessione del potere assoluto

In un saggio pubblicato alla fine dello scorso anno, titolato Democracy (per l’Italia edito da Mondadori), Anne Applebaum, premio Pulitzer nel 2004, traccia una mappa delle autocrazie nel mondo: “Non è un’alleanza – spiega l’autrice -. Non è nemmeno un vero asse: è un gruppo di paesi che non sono nemmeno collegati ideologicamente. Stiamo parlando della Cina comunista, della Russia nazionalista, dell’Iran teocratico, del Venezuela socialista bolivariano e di una dozzina di altri (ora bisognerà aggiungere gli Stati Uniti, ndr). Alcuni di loro sono governati da una sola persona, altri da un solo partito, altri ancora da un’oligarchia. Tutti paesi il cui regime cerca di governare con potere assoluto, il che significa senza controlli ed equilibri, senza trasparenza, senza tribunali indipendenti, senza media. Cercano di controllare tutto lo spazio mediatico. E sempre più, hanno iniziato a cooperare insieme in modo opportunistico. Le idee che provengono dal mondo liberale, lo stato di diritto, la magistratura indipendente, la trasparenza, la responsabilità, i diritti umani, i diritti delle donne, sono un problema per loro. Perché questi concetti sono integrati nei trattati e nelle istituzioni internazionali che governano o cercano di governare le relazioni tra gli stati in tutto il mondo. Ecco, stanno tentando di cambiare quelle regole. Stanno cercando di indebolire le idee e gli ideali della democrazia e del liberalismo. E stanno cercando di governare con impunità”.

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I passi indietro della democrazia

Intanto Freedom House, autorevole ong internazionale con sede a Washington, ha appena pubblicato il suo report annuale “Freedom in the world 2025”, che misura il grado di libertà civili e diritti politici in ciascun paese del mondo. Ebbene, per il 19° anno consecutivo si segnala un declino delle libertà democratiche collettive. “Dei 66 paesi e territori che hanno ospitato le elezioni nazionali nel 2024, circa il 40% è stato caratterizzato da violenze”, si legge nel rapporto. “I candidati sono stati attaccati in almeno 20 paesi, mentre i seggi elettorali sono stati attaccati in almeno 14. Molte elezioni sono state soltanto di facciata, poiché i governanti autoritari, dall’Azerbaigian al Rwanda, hanno fatto in modo che i loro principali oppositori fossero estromessi o arrestati per impedirgli di partecipare. Oggi, solo il 20% della popolazione mondiale vive in paesi classificati come “liberi”, mentre il 40% vive in paesi classificati come “non liberi”. Il commento finale è del copresidente di Freedom House, Gerardo Berthin: “È sempre più chiaro che l’unico modo per porre fine alla recessione di quasi due decenni della libertà globale è che le persone in ogni tipo di ambiente politico lottino per i loro diritti e la loro sicurezza, e che i governi e le istituzioni democratiche lavorino insieme per sostenerli”.





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