Dazi, cervelli, capitale umano, tasse e transizione. Parla Maria Anghileri 

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Oltre il protezionismo trumpiano, preoccupa “la sovrapproduzione cinese, di fronte alla chiusura americana, può riversarsi in Europa. Proprio come accade per le automobili”. Ma tagliare subito i costi per imprese e famiglie è necessario. Intervista al capo dei giovani di Confindustria 


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E’ una voce giovane quella che stiamo ascoltando al settimo piano della Confindustria all’Eur, una voce appassionata del suo lavoro ai vertici dell’azienda di famiglia, il Gruppo Eusider, e consapevole di rappresentare aspirazioni che troppe volte rimangono prive di spazio e ascolto in questa Italia che invecchia senza posa. Una voce della generazione Erasmus, la generazione che chiede all’Europa di fare di più e meglio, che vuole un vero mercato unico, non ama barriere, vincoli, dazi e protezionismo, che rivendica meno burocrazia e briglie sciolte all’innovazione. Maria Anghileri, presidente dei giovani industriali e vicepresidente della Confindustria, parla con il Foglio a tutto tondo della “gavetta” che tanto le ha insegnato; di come gestire un passaggio non facile nelle imprese italiane in gran parte a conduzione famigliare; di un lavoro complesso nell’impresa creata a Lecco dal nonno Giacomo in un comparto duro come l’acciaio (in senso letterale e reale) e trasformata dal padre Eufrasio e dallo zio Antonio oggi affiancati da Giacomino e Maria; ma parla anche di come far fronte all’emergenza manifatturiera: troppo a lungo sottovalutata, va presa in mano senza più indugi e con grande determinazione. “Meno regole più investimenti” è questo il messaggio dei giovani industriali: un ambiente che favorisca le imprese, una logica di sistema per realizzare quel piano triennale che la Confindustria nel suo insieme chiede al governo, all’opposizione, alle parti sociali. Di questo piano gli investimenti sono un fattore decisivo insieme all’energia, oggi priorità delle priorità, al credito e al capitale umano.

Prima di entrare nell’attualità, facciamo un passo indietro al momento in cui, presa la laurea in Giurisprudenza alla Bocconi, invece di lanciarsi in una carriera da avvocato, Maria accetta la proposta del fratello maggiore Giacomino: affiancarlo nel compiere un salto generazionale e nello stesso tempo produttivo. Siamo nel 2016. 

“Ero in azienda da sei mesi, ancora incerta sul da farsi – racconta – quando il mio papà un sabato mattina mi porta all’incontro con un grande nostro fornitore, uno dei più grandi nella siderurgia. E lui mi invita a non perdermi in libri e pandette. ‘Si sperimenti’, mi dice. E io gli ho dato retta”.

In un settore strategico, frantumato in una miriade di imprese specializzate in funzioni e prodotti diversi, la Eusider occupa un posto particolare. In sostanza l’azienda acquista i prodotti dalle acciaierie e li trasforma a seconda delle esigenze dei clienti ai quali offre anche dinamiche di pagamento dilazionate nel tempo. Si comprano i coils che vengono lavorati in nastri, lamiere, tubi saldati, si pre-lavorano lamiere da treno, tubi senza saldatura, tondi, barre cromate e acciaio inox. “Ci piace definirci un grande supermercato siderurgico, il cliente viene da noi e può trovare prodotti pronti e su misura”, spiega Maria Anghileri, che si occupa della parte finanziaria e ha seguito un corso di specializzazione a Harvard. “Anch’io ho trattenuto il fiato quando sono arrivata a New York come scrive Fitzgerald. Anch’io ho visto il sogno americano, che può essere anche italiano e l’ho vissuto nella mia famiglia: mio padre ci ha consentito di fare quel che lui non ha potuto perché a 19 anni ha cominciato a lavorare essendo mancato mio nonno; noi figli abbiamo studiato, ci siamo preparati. In azienda non sono partita dall’alto, anzi ho conosciuto da vicino i vari comparti produttivi. Il mio impegno nell’associazione ha preso le mosse da Lecco, poi in Assolombarda e Lombardia, vicepresidente dei giovani di Confindustria e ora presidente. Se dovessi trovare un filo rosso, è la gavetta che alla fine porta i suoi frutti”.

Giacomo Anghileri aveva esordito commerciando acciaio nell’immediato dopoguerra, appena tornato dal fronte russo. I suoi figli dal 1979 hanno costruito il grande centro servizi poi sono passati alla trasformazione e alla pre-lavorazione, diventando una sorta di anello di congiunzione tra le acciaierie e gli utilizzatori finali. Oggi l’Eusider ha 18 diverse sedi soprattutto nel nord Italia, 900 dipendenti e un fatturato di oltre un miliardo di euro, il 35 per cento grazie alle esportazioni. L’internazionalizzazione è stata un fattore fondamentale di crescita, insieme all’acquisizione di aziende non sovrapponibili. Prima erano imprese da risanare, poi sono arrivate quelle di sana e robusta costituzione. Un anno fa è stata acquisita la Profiltubi che stava per andare a un fondo estero; l’ultima, la SNAR di Brescia, è arrivata proprio all’inizio di febbraio. La strategia di Eusider è affiancarsi agli imprenditori nella gestione apportando le sinergie del gruppo nei diversi ambiti dell’impresa e offrendo una più vasta conoscenza del mercato. Il prossimo passo è non solo esportare, ma puntare anche su acquisizioni all’estero, ad esempio in Polonia.

E come la mettiamo con il protezionismo crescente, con la tendenza a ri-nazionalizzare, imporre dazi, chiudere le frontiere? “I dazi vanno contro il libero mercato – replica Maria Anghileri – Ma c’è una preoccupazione in più: la sovrapproduzione cinese, di fronte alla chiusura americana, può riversarsi in Europa. Proprio come accade per le automobili”. L’Unione europea come deve rispondere? Tariffe contro tariffe? “Io faccio parte della generazione Erasmus che ha conosciuto la società aperta, la libertà di movimento, gli scambi culturali, la democrazia europea. E’ una generazione che non vuole tornare indietro, anzi vuole andare avanti”. In concreto? “Mercato unico dei capitali per esempio, meno burocrazia, meno norme, più chiare e uguali per tutti, un ambiente che favorisca l’innovazione. Un giovane su tre che frequenta le scuole superiori desidera aprire una nuova impresa, quel che manca è l’ecosistema, cominciando dal venture capital”. Di start-up ne nascono molte anche in Italia, però poche decollano davvero. E quando sono cresciute vanno in America. “Ci vogliono regole comuni in tutta Europa, semplificazione burocratica (13.500 norme nella Ue contro le 3 mila negli Stati Uniti, come ricorda sempre il presidente Orsini), sostegno alla creatività; i capitali non mancano, bisogna impiegarli bene in un ambiente favorevole”, rilancia la presidente dei giovani industriali. Non c’è una soluzione unica, una misura passe-partout, serve un insieme di scelte convergenti verso un obiettivo comune.

Maria Anghileri a questo punto tira fuori l’orgoglio dell’imprenditrice sia pure nel suo modo gentile: “Nessuno può negare che le imprese italiane abbiano creato valore per il paese, le esportazioni valgono il 40 per cento del prodotto lordo, oltre 600 miliardi di euro. Il compito delle istituzioni è sostenere questa spinta”. Adesso però c’è il rischio di una lunga stagnazione. La produzione industriale scende da quasi due anni, ma è come se questa realtà fosse rimasta sotto un velo, il velo di Maya che nasconde la verità delle cose. La politica economica non ha aiutato, pur tenendo conto dei vincoli di bilancio. “E dei vincoli europei”. D’accordo, ma Industria 5.0 non funziona, le domande sono poche perché gli imprenditori trovano il provvedimento troppo complicato. “Industria 4.0 è stata un successo, una vera rivoluzione per le imprese piccole, medie e grandi, tutte l’hanno usata e ha contribuito moltissimo alla crescita degli anni scorsi. Allora riprendiamo quel che ha funzionato adattandolo alla nuova situazione – aggiunge Anghileri – Va nella direzione giusta l’Ires premiale, con un’aliquota ridotta al 20 per cento: è importante favorire il comportamento virtuoso, le società ben patrimonializzate che reinvestono gli utili per crescere e innovare, è un incentivo a far bene il mestiere di imprenditore. E’ necessario, però, che si eliminino le limitazioni per estendere copertura e platea”.

La vicepresidente dei giovani industriali apprezza che in Italia ci sia più stabilità di governo rispetto a paesi a noi vicini, si pensi alla Germania (vedremo come sarà composto il governo e con quale programma) o alla Francia. “La stabilità è una opportunità per cambiare l’ottica politica – sottolinea – guardando finalmente non più al breve, ma al medio periodo, un’occasione per adottare politiche industriali con un orizzonte almeno triennale”. Una priorità è senza dubbio l’energia. In Italia è più cara del 38 per cento rispetto alla Germania e addirittura del 72 per cento a confronto con la Spagna che mostra di avere un mix ideale: rinnovabili, nucleare, gas, petrolio. Non basta l’intervento sulle bollette, occorre una politica strutturale che comprenda anche l’atomo per produrre elettricità. Certo c’è una questione di tempi (lunghi) e di costi (elevati), ma oggi esistono nuove tecnologie, come i cosiddetti piccoli reattori, che vanno utilizzate, in attesa della fusione in un futuro più lontano. Tutto ciò non vuole affatto sottovalutare l’esigenza di tagliare subito i costi: “Ridurre le bollette è necessario per le imprese, ma anche per le famiglie, non c’è alcun contrasto di interessi”. Intanto in Italia possiamo e dobbiamo disaccoppiare il prezzo del gas da quello dell’elettricità. Su scala europea va rivisto il meccanismo di formazione dei prezzi. Con il tetto si è persa un’occasione anche se adesso ci sono segnali concreti e incoraggianti per adottare misure più strutturali.

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Tutti temi importanti e trasversali. Ma i giovani? Che contributo possono portare le nuove generazioni di imprenditori? La questione chiave riguarda le competenze e ciò ha a che fare con l’istruzione, con la scuola e con l’esperienza sul campo. Non c’è troppa retorica sulla fuga dei cervelli? Non è meglio lasciarli andare? “Sì, purché ritornino”. Ma ritornano comunque, ritorna la conoscenza, ritorna l’innovazione, ritorna l’esperienza. E proprio la generazione Erasmus ne è consapevole. Ciò non toglie che occorre affrontare la questione scolastica la quale non coincide con le ore di latino. “Io ho fatto il classico – interrompe Maria Anghileri – e non me ne pento. Non metterei in contraddizione latino e matematica. Le radici culturali che noi abbiamo sono uniche”. D’accordo, la vera differenza è non solo che cosa, ma come si insegna. Da noi l’accumulo di nozioni spesso soffoca la originalità di pensiero. Altrove, nel nord Europa o nel mondo anglosassone, l’insegnante chiede innanzitutto allo studente: non dimmi che cosa sai, ma dimmi qualcosa che io non so. Non è forse l’atteggiamento giusto per chi vuole progredire, non è il seme dal quale nasce l’innovazione? Maria Anghileri è d’accordo sul nostro “discorso sul metodo” per valorizzare la creatività giovanile, e spezza una lancia a favore della Confindustria. I giovani rappresentano il 20 per cento di tutti gli organismi associativi e non sono solo fiori all’occhiello. Molto è cambiato anche per le donne ricorda la presidente: parità di genere e staffetta generazionale sono due traguardi da raggiungere a cominciare dalle aziende. E i ragazzi dell’Erasmus dai quali siamo partiti, ormai diventati adulti, hanno in mano le chiavi anche per questa transizione.
 





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