Procura di Milano, chiusa l’indagine Hydra sul ‘consorzio delle mafie’: verso il processo

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La procura della repubblica di Milano, guidata da Maurizio Viola, ha chiuso le indagini sul “consorzio delle mafie” in cui sarebbero riunite Cosa nostra, ‘Ndrangheta e Camorra. Il processo alla mafia a tre teste potrebbe aprirsi già dopo l’estate. L’inchiesta Hydra racchiude un tutto 146 indagati, 45 per associazione a delinquere di stampo mafioso.
Affari nell’edilizia, riciclaggio del denaro sporco, traffico di droga e rapporti con la politica sono temi messi sul piatto dai magistrati. I membri si sarebbero incontrati in ben 21 summit di mafia, tutti documentati filmati dagli inquirenti ad Abbiategrasso, a Cinisello Balsamo, a Dairago, a Busto Garolfo e a Inveruno.
Questa ‘federazione’, decideva strategie, estorsioni, azioni intimidatorie, omicidi, esercitava forti influenze sulle gare d’appalto e gestiva il traffico di stupefacenti. L’indagine Hydra, durata oltre 2 anni, rappresenta, secondo l’impostazione accusatoria, una innovazione nelle acquisizioni investigative nel settore della criminalità organizzata di stampo mafioso operante in Lombardia.


I cinque gruppi che compongono il sistema mafioso lombardo

La Procura avrebbe individuato cinque gruppi che compongono il “Consorzio”: il primo è quello rappresentato da Giuseppe Fidanzati, detto Ninni, figlio del defunto Gaetano, già a capo del mandamento dell’Arenella, e da suo zio Stefano Fidanzati, ritenuto oggi il reggente del clan a Palermo. Giuseppe Fidanzati, si legge, avrebbe impartito “precise direttive volte alla risoluzione di controversie tra gli associati del sistema mafioso lombardo (in particolare, in relazione alla controversia Amico – Pace)”.
Poi ci sarebbe stato Errante Parrino Paolo Aurelio, in qualità di referente nell’area lombarda della Provincia di Trapani, con specifico riferimento al Mandamento di Castelvetrano riconducibile all’ex latitante Matteo Messina Denaro. Aurelio è già stato condannato a dieci anni di reclusione con sentenza emessa dalla Corte di Appello di Palermo il 16 aprile 1997.
Gli inquirenti riportano intercettazioni “con reiterati riferimenti” a Messina Denaro che, per i pm, sarebbe stato colui a cui “inviare o dal quale ricevere ‘ambasciate'”, anche per la risoluzione di conflitti. In un’intercettazione ambientale del febbraio 2021, tra l’altro, Filippo Crea, per i pm parte dell’alleanza tra mafie, parlando con altri diceva: “Oggi gli ho cambiato un milione e due a questa persona…che è entrato nel consorzio a luglio…ha 20 milioni interrati…il suo socio…è quello là il super latitante”. Sempre la Dda ricostruisce una serie di “summit in Sicilia” che dimostrerebbero “i collegamenti tra il sistema mafioso lombardo e l’ex latitante”. Incontri anche con un “uomo di fiducia” del boss, tanto che, sempre per la Dda, Gioacchino Amico, tra gli 11 arrestati ieri ma non per associazione mafiosa (per traffico di droga e estorsioni), si sarebbe preoccupato “nello stilare la lista degli invitati al proprio matrimonio” che fosse presente proprio questo “uomo di fiducia”.
Altro uomo d’onore di Trapani è, scrive la Procura, Bernardo Pace detto “Dino”. Sarebbe stato lui ad aver mantenuto le relazioni con esponenti della famiglia di ‘Ndrangheta dei Crea, con i fratelli Abilone Giovanni e Abilone Rosario e con la famiglia dei “Carcagnusi”.
Per il gruppo di ‘Ndrangheta operante all’interno della ‘super – struttura’ vi era, si legge, “Rispoli Vincenzo, in qualità di capo della locale di ‘Ndrangheta di Legnano Lonate Pozzolo e già condannato in via definitiva. Secondo gli investigatori avrebbe impartito ordini dal carcere – nonostante detenuto al 41 – bis – riguardanti la “ricostituzione della locale di Legnano-Lonate Pozzolo, facendo recapitare a Rosi Massimo, tramite il figlio Rispoli Alfonso, una missiva con la quale ne autorizzava la riorganizzazione”.
Inoltre avrebbe svolto un ruolo di mediazione e trait d’union tra la locale e le altre componenti facenti parte del sistema mafioso lombardo, in particolare, con il clan camorristico Senese e la famiglia di Cosa nostra Rinzivillo e partecipando al versamento di somme di denaro nella cassa comune, la cd. “bacinella”, destinate al sostentamento dei detenuti.
Sempre per il ramo della ‘Ndrangheta vi sarebbero stati, secondo gli investigatori, Cristello Giacomo, Crea Santo e Crea Filippo, esponenti della cosca Iamonte. E infine Romeo Antonio, “espressione in Lombardia della cosca mafiosa dei Romeo “Staccu” operante sul territorio di San Luca come attestato dalla sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria nella quale Romeo Sebastiano detto “u staccu” veniva indicato quale “capo locale di San Luca” e come uno dei vertici dell’organizzazione del traffico di sostanze stupefacenti anche con base operativa a Milano), figlio di Romeo Filippo (condannato, con medesima sentenza, alla pena di anni 10 per associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti)”. La Camorra romana è rappresentata, secondo i magistrati, da Vincenzo Senese, figlio di Senese Michele e da Giancarlo Vestiti, il quale prima del suo arresto era l’uomo-cerniera per tenere assieme tutti i gruppi. Tanto che Filippo Crea gli dirà: “Guardate che voi siete al centro siete come epicentro di molti equilibri – voi siete l’epicentro di molti equilibri, per i figlioli, per noi per tutti!”.

Foto © Imagoeconomica

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