Nel caso in esame la Corte d’appello territorialmente competente aveva confermato la pronuncia di primo grado di rigetto dell’opposizione proposta da una società avverso un decreto ingiuntivo ottenuto dall’Inps per il recupero di contributi dovuti in relazione all’indebita fruizione delle agevolazioni previste dall’art.8, comma 4, della Legge n. 223/91.
Secondo la Corte distrettuale la società ricorrente aveva assunto i lavoratori in mobilità provenienti da una differente impresa, che aveva assetti proprietari sostanzialmente coincidenti con i suoi: il suo amministratore unico era, infatti, anche socio al 50% e amministratore di una società, unica socia dell’azienda che aveva proceduto ai licenziamenti. In sostanza, ad avviso della Corte, l’assunzione dei lavoratori non aveva creato alcuna nuova occupazione, anche considerando che la società ricorrente era stata costituita circa un mese prima.
Avverso la decisione di merito ricorreva in cassazione la società soccombente, affidandosi a due motivi illustrati nella memoria a cui resisteva l’INPS con controricorso.
La normativa di riferimento
L’art. 8 della Legge n. 223/1991 (abrogato dall’art. 2 della Legge n. 92/2012, c.d. Legge Fornero, con decorrenza dal 1° gennaio 2017), al comma 4 riconosceva al datore di lavoro che, senza esservi tenuto, assumeva a tempo pieno e indeterminato lavoratori iscritti nella lista di mobilità un incentivo di natura economica. Nello specifico, il datore di lavoro, per ogni mensilità di retribuzione corrisposta al lavoratore interessato, otteneva un contributo mensile pari al 50% dell’indennità di mobilità che sarebbe stata al medesimo erogata. Il contributo de quo poteva essere erogato per massimo 12 mesi e, per i lavoratori di età superiore a 50 anni, per un massimo 24 mesi, ovvero 36 mesi per i residenti in aree svantaggiate.
Tale agevolazione, ai sensi del comma 4bis del predetto articolo, veniva esclusa con riferimento a quei lavoratori collocati in mobilità, nei 6 mesi precedenti, da parte di impresa dello stesso o di diverso settore di attività che, al momento del licenziamento, presentava assetti proprietari sostanzialmente coincidenti con quelli dell’impresa che assumeva ovvero risultava con quest’ultima in rapporto di collegamento o controllo. L’impresa che assumeva doveva, altresì, dichiarare, sotto la propria responsabilità, all’atto della richiesta di avviamento, che non ricorrevano le condizioni ostative sopra citate.
La decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione adita evidenzia, innanzitutto, che il beneficio contributivo ex art. 8, comma 4, della Legge n. 223/91 è escluso, in base al comma 4 bis della stessa disposizione, allorquando le società coinvolte presentino assetti proprietari sostanzialmente coincidenti. Ciò si verifica in tutti i casi in cui vi è “la presenza di un comune nucleo proprietario in grado di ideare ed attuare operazioni coordinate di assunzione e licenziamento del medesimo personale” (cfr. Cass. n. 9662/2019). Peraltro, gli assetti proprietari sostanzialmente coincidenti sono qualcosa “di più e di diverso” rispetto al concetto stesso di proprietà, avendo il legislatore utilizzato una espressione atecnica che facesse riferimento a tutte le ipotesi in cui l’impresa che assumeva non fosse del tutto estranea a quella che aveva licenziato (cfr Cass. n. 8988/2008; Cass. n. 20499/2008). Non è, oltretutto, necessario, ai fini della sostanziale coincidenza di assetti proprietari, che nelle due imprese figurino uno o più soggetti comuni ad entrambe.
Ai predetti fini, in giurisprudenza si è dato rilevo anche a legami di coniugio, di parentela, di affinità o di collaudata e consolidata amicizia tra soci (cfr. Cass. n. 20499/08), tali per cui “tra le due imprese si instauri una collaborazione e un comune agire sul mercato capaci di realizzare un’operazione unitaria e coordinata comportante il licenziamento dei dipendenti da una impresa e la loro assunzione da parte dell’altra”.
Ciò premesso, ad avviso della Corte di Cassazione, i giudici di merito hanno valorizzato proprio i succitati elementi per riconoscere nel caso di specie la presenza di assetti proprietari sostanzialmente coincidenti, ossia che l’amministratore unico della società ricorrente era anche socio al 50% e amministratore della società, unica socia della società che aveva proceduto con i licenziamenti. A ciò aggiungasi che la società ricorrente era stata costituita circa un mese prima dell’assunzione.
Oltretutto, evidenzia la Corte di Cassazione, l’orientamento giurisprudenziale sopracitato in tema di assetti proprietari sostanzialmente coincidenti non incide sulla libertà di iniziativa economica, poiché non impedisce alcuna assunzione. “Altro , infatti, è la libertà di iniziativa economica, altro è la pretesa di fruire di sgravi contributivi connessi all’assunzione di lavoratori quando, come nel caso in questione, tale assunzione non realizza alcun sostanziale incremento d’occupazione inserendosi all’interno di un’operazione unitaria e coordinata comportante il licenziamento dei dipendenti da una impresa e la loro assunzione da parte di un’altra”.
La Corte di Cassazione conclude così per il rigetto del ricorso depositato dalla società, condannandola al pagamento delle spese di lite
Fonte : Cass. 27 novembre 2024 n. 30534
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