Siamo davanto ad una crisi epocale dell’auto. Ma che sta succedendo davvero? Siamo andati a chiederlo ad Andrea Cardinali, direttore generale dell’Unrae, associazioni costruttori esteri in Italia. “L’auto sta facendo notizia come la cronaca nera. Il settore attraversa una trasformazione epocale ed è colpito da molteplici criticità in contemporanea, e i costruttori “tradizionali” sono in difficoltà. Ma non concordo con l’interpretazione dominante che accomuna tutti i commentatori”, spiega subito Cardinali.
“Ormai siamo quasi al pensiero unico: si dà la colpa di qualunque problema ai veicoli elettrici. Una visione semplicistica, forse ingenua, o al contrario strumentale. Nei primi 10 mesi dell’anno il mercato europeo è ancora del 19% sotto i livelli pre-Covid. Ma già nel 2023 mancavano all’appello 3 milioni di vetture rispetto al 2019. I problemi globali di fornitura che l’anno prima avevano portato il “buco” a 4,5 milioni erano risolti, ma l’elettrico era ancora in crescita: non poteva essere lui il colpevole. Oggi, anche fuori dal nostro settore, non si trova più nessuno che difenda una politica ecologista. Il Green Deal è rimasto orfano, sembra sia stato scritto da qualcuno che che non c’è più, che è morto da anni. Siamo in piena controriforma”.
L’elettrico, insomma, non c’entra nulla.
“L’elettrico ha le sue difficoltà, soprattutto nel nostro Paese, dove stenta a decollare per una lunga serie di ragioni. Ma imputargli tutte le responsabilità dell’attuale crisi del settore è risibile, che lo si faccia in buona o in mala fede. Credo sia più colpa della confusione che si è creata intorno all’elettrico, a livello politico e mediatico, e della conseguente incertezza. Fino a poco tempo fa si diceva che l’auto elettrica avrebbe causato macelleria sociale perché riduce del 40% i componenti del powertrain delle vetture. Ora si dice che l’auto elettrica sta uccidendo l’industria, con licenziamenti e chiusure di stabilimenti, perché non si vende. A me sembra una contraddizione evidente: prima il colpevole sarebbe stato il suo successo, poi il suo insuccesso”.
Ma è un vero insuccesso?
“Lo è in termini relativi, cioè rispetto agli obiettivi da raggiungere per traguardare i target emissivi fissati dalla UE, e rispetto alle previsioni fatte dagli analisti negli anni scorsi.
Ma soprattutto lo è nel nostro Paese rispetto al resto d’Europa. Se è vero che quest’anno, con l’interruzione degli incentivi in alcuni mercati importanti, per la prima volta la penetrazione dell’elettrico puro ha smesso di crescere e ha subìto un calo, è pur vero che nella media europea parliamo di un calo di 0,9 punti percentuali: da 15,7% nel 2023 a 14,8% nei primi 10 mesi del 2024. Il problema vero è che in Italia siamo inchiodati al 4,0%, contro il 42,5% dei Paesi leader, il 14.3% degli altri 4 grandi mercati e il 12,5% dei Paesi restanti, molti dei quali hanno un PIL pro capite a parità di potere d’acquisto inferiore al nostro. Quella italiana resta un’anomalia”.
E le sanzioni che ora dovranno pagare le case automobilistiche?
“La crisi attuale non è nemmeno dovuta alle multe. Abbattere la produzione di endotermico per scongiurarle, come ventilato da ACEA, è una minaccia, non una iniziativa in essere. Per le Case occidentali il problema principale adesso è il calo delle vendite in Cina, un mercato in cui le auto elettriche dominano. E chi era molto dipendente dalla Cina, che ormai vale il 40% del mercato globale, soffre perché i costruttori locali sono più competitivi.
Quindi non soffre per aver scommesso troppo sull’elettrico in un mercato europeo non ancora pronto, ma – al contrario – proprio per non riuscire a mantenere le quote nell’elettrico sul mercato cinese. Poi c’è chi sull’elettrico è totalmente impreparato, ed è rimasto indietro anche rispetto agli altri player occidentali. C’è anche chi ha problemi sul mercato nordamericano, che gli portava il grosso dei profitti. E chi ha problemi interni di governance, di produttività, di costo del lavoro, di product range, di pricing. Insomma, fare di tutto questo un calderone unico e gettare la croce sulla transizione energetica è un po’ una mistificazione”.
Cosa si potrebbe fare per risolvere questa enorme crisi?
“Innanzitutto, vanno fermate le multe del 2025. Non solo sarebbero una martellata in testa a un paziente febbricitante, ma costituiscono sin dall’origine un nonsenso concettuale. Non si chiede alle Case di realizzare auto endotermiche più ecologiche, ma di vendere più auto elettriche. Essere multati perché la clientela non abbraccia una nuova tecnologia è vessatorio. Invece, secondo qualcuno le normative sarebbero state ispirate dalle stesse Case per obbligare le persone a cambiare auto. Si dipingono, cioè, da un lato delle istituzioni europee ostaggio dell’industria automobilistica (roba da Qatargate), il che non è neanche realistico considerati i precedenti, e dall’altro un’industria che si impone le multe da sola, autolesionista o in preda a un delirio di onnipotenza, nella convinzione di non doverle mai pagare. Io non ci vedo molta serenità di giudizio”.
E la seconda cosa da fare?
“Sarebbe quella di implementare subito, finalmente, tutte le iniziative già previste nel Regolamento UE 631 dell’aprile 2019, quello che introdusse le multe. Nelle sue 55 premesse sono elencate una serie di azioni che la UE e i governi nazionali e regionali avrebbero dovuto intraprendere per garantire una transizione green giusta ed efficace. Si parla di programmi per riconvertire, riqualificare e sviluppare le competenze dei lavoratori nelle comunità colpite; di investimenti pubblici e privati in ricerca e innovazione per mantenere la leadership tecnologica dell’UE; di infrastrutture di ricarica e di integrazione nei sistemi energetici; di approvvigionamento sostenibile di materiali; di produzione sostenibile, riutilizzo e riciclo di batterie; di misure per incentivare il rinnovo del parco veicoli, di incentivi speciali ai veicoli a 0 e a basse emissioni; di misure transitorie per i mercati con una bassa penetrazione di tali veicoli.
Di tutto ciò è stato fatto poco e male, e quasi nulla dalla UE, che si è occupata solo delle multe. Questo è lo scandalo, non il Green Deal. Ora è il momento che la UE sviluppi una strategia unitaria per la transizione energetica, con orizzonte 2035, e ci metta dei soldi veri, per poi applicare le norme in modo efficace”.
Il ministro Urso ha criticato l’ecobonus. Giusto?
“Dopo averne celebrato i risultati il 7 agosto al Tavolo Automotive, a novembre lo ha improvvisamente azzerato sostenendo che “gli ecobonus svenano gli Stati ma non risolvono il problema: è come svuotare un oceano con dei secchielli”. Però ha proposto contemporaneamente che l’UE crei un fondo per sostenere la domanda con risorse comuni. Come dire che l’Ecobonus non funziona, ma se lo paga qualcun altro allora va bene”.
Ma se l’la Ue ci mettesse i soldi si risolverebbe la situazione o no?
“Certamente aiuterebbe, ma i soldi dovrebbero essere tanti. Se dovessero ridursi a un contentino simbolico, tanto per dire che è stato fatto qualcosa, sarebbe solo controproducente per il mercato. Inoltre, Ecobonus a parte, i fondi andrebbero stanziati per l’industria, le gigafactory, le infrastrutture. Ma i tempi per un fondo europeo sarebbero biblici, e ormai siamo in piena emergenza. In Italia, poi, bisognerebbe aprire un discorso enorme sul fisco.
Non è stato fatto nulla per il mondo dell’auto, che resta sempre una mucca da mungere. E non sto parlando degli operatori, ma dei clienti. Dopo un anno e mezzo dalla delega fiscale, l’unico provvedimento (in legge di bilancio) riguarda il fringe benefit: in apparenza una misura “green”, in realtà un aumento della tassazione sull’85% delle flotte in uso promiscuo. E a questo punto il tema del fisco diventa centrale, soprattutto dopo aver levato tutti i bonus”.
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