È uscito da pochi giorni il libro di Giancarlo De Pascalis dal titolo “Galatina e la Basilica di Santa Caterina d’Alessandra, storia architettura restauro” edito da Claudio Grenzi. Abbiamo incontrato l’autore per parlarne e approfondire l’argomento.
NOTA BIOGRAFICA
Donato Giancarlo DE PASCALIS è architetto e storico, nonché Dottore di Ricerca in “Storia della Città” ed in “Storia, Disegno e Restauro dell’Architettura”. Sin dalla laurea, si è interessato di tematiche relative alla Storia dell’Architettura e dell’Urbanistica (in particolare dell’area pugliese), nonché di questioni concernenti il restauro di palazzi storici ed edifici religiosi, iniziando nel 1996 con una importante mostra sui lavori di consolidamento e restauro della “Galleria Borghese” di Roma. Autore di diversi saggi e monografie, tra cui spiccano quelle sul Centro Storico di Nardò e quella su una oramai pioneristica saggistica delle tecniche costruttive salentine (L’Arte di Fabbricare e i Fabbricatori del 2001 – attualmente in seconda ristampa), ha partecipato a diversi convegni nazionali ed internazionali. Si è occupato infatti della presenza dell’architetto rinascimentale Francesco di Giorgio Martini in Terra d’Otranto e della fondazione trecentesca della città di Roca Vecchia, nei pressi di Melendugno, per la cui area archeologica ne ha anche progettato e diretto il restauro conservativo e la valorizzazione. Si è anche interessato dell’attività settecentesca di Ferdinando Sanfelice nel Salento e della formazione urbanistica della federiciana Manfredonia. Ha collaborato con la cattedra di “Storia dell’Urbanistica” della facoltà di Architettura di Roma con il compianto prof. arch. Enrico Guidoni (anni 1998-2002), con il prof. Benedetto Vetere nell’ambito dell’Accordo di Programma col Comune di Nardò e con il compianto archeologo prof. Mimmo Pagliara sugli studi e sul recupero dell’area archeologica di Roca. Dal 2003 sino al 2011 è stato docente a contratto presso la Facoltà di Beni Culturali dell’Università del Salento in “Storia della Scenografia”, in “Storia dell’Architettura” e in “Storia del Restauro Architettonico” presso la stessa Università. Dopo otto di insegnamento presso il Liceo Scientifico-Linguistico “A. Vallone” di Galatina, attualmente è Docente di “Disegno e Storia dell’Arte” presso il Liceo Scientifico “Galileo Galilei” di Nardò. Attivo nel volontariato culturale fin dal 1985 con l’associazione culturale “Nardò Nostra” e con “Italia Nostra”, nel 1997 è stato promotore della 1^ Giornata FAI di Primavera nel Salento, diventando poi socio fondatore della Delegazione Provinciale di Lecce del FAI-Fondo per l’Ambiente Italiano nel 2000. Attualmente è Delegato alla Cultura della Delegazione FAI-Salento Jonico.
L’INTERVISTA
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Com’è nata l’idea di questo libro su Santa Caterina d’Alessandria?
“Questo testo sulla Basilica di S. Caterina è il frutto di una lunga e laboriosa ricerca sorta in seguito alla discussione della mia tesi di dottorato di ricerca presso l’Università Sapienza di Roma. Nel Dipartimento di “Disegno, Storia dell’Architettura e Restauro” di Roma si era infatti evidenziato che – tranne che per qualche sommario contributo – l’architettura ed il cantiere medievale della Chiesa era passato sempre in secondo piano rispetto alla rilevanza degli affreschi.
Insomma la Basilica è sempre stata inserita nel dibattito, probabilmente ancora aperto, tra storici dell’Architettura e storici dell’Arte, tra architetti-conservatori e restauratori d’arte: pensate che anche le scelte degli ultimi restauri hanno prediletto in prima istanza il restauro delle pitture, rispetto al recupero conservativo delle coperture e dei prospetti”.
Quanto tempo c’è voluto per realizzare un’opera così ampia e attenta sulla Basilica?
“Il lavoro è iniziato nei primi mesi del 2018, quando la facciata era ancora celata dai ponteggi: e questa, in ogni modo, è stata una fortuna perché grazie alla disponibilità della Diocesi, dell’arch. Fernando Russo e della ditta Nicolì che ne eseguivano i lavori mi è stato concesso di salire e di realizzare una serie di misurazioni e di fotografie, facendomi cogliere particolari importanti difficilmente percepibili a lunga distanza. L’analisi metrologica è stata poi maggiormente approfondita mediante le misurazioni con strumenti digitali, come il laser-scanner e il georadar, che sono stati determinanti per il raggiungimento di scoperte inedite. Il lavoro di ricerca degli architetti è simile, per certi aspetti a quello degli archeologi: oltre alle fonti scritte, che se non ben comparate spesso possono anche risultare contraffatte, parlano le pietre e i reperti analizzati. Se ci fosse più legame interdisciplinare all’interno degli istituti di ricerca e delle accademie universitarie, forse otterremmo più risultati, per il futuro lavorativo dei nostri giovani e per il territorio”.
Quali difficoltà ha affrontato nella ricerca delle notizie importanti e nel consultare le fonti?
“Le difficoltà sono sempre quelle in cui si batte un individuo che fa ricerca: considerato che questo lavoro è il frutto del mio secondo Dottorato potrei trarre un paio di conclusioni. Intanto, rispetto a vent’anni fa, oggi è molto più semplice ritrovare sulla rete internet documenti e libri antichi, totalmente digitalizzati: penso al grande lavoro fatto dall’Archivio Apostolico Vaticano, dalla Biblioteca Nazionale di Francia, dal British Museum e da tante altre importante biblioteche e centri di ricerca sparsi nel mondo. Inoltre, il web ci mette a conoscenza di eventuali ricerche similari compiute da altrettanti studiosi: per esempio sulla Basilica, mentre io lavoravo sulla storia dell’architettura, altrettanti studiosi redigevano altrettante ricerche sui mausolei Orsini Del Balzo o su aspetti religiosi e antropologici. Ecco, forse l’unica difficoltà concreta è stata il periodo della pandemia Covid, che non mi ha permesso di studiare in alcuni archivi stranieri, su cui avrei potuto verificare alcune informazioni importanti”.
Molti turisti e amanti dell’arte visitano Galatina soprattutto per la Basilica: tuttavia mancava un testo di riferimento che illustrasse la storia e l’architettura della stessa. Pensa che il suo libro possa colmare questa lacuna?
“Io spero di sì, anche se una ricerca non può mai ritenersi veramente conclusa: credo solo, e lo spero, di aver almeno aggiunto nuovi tasselli alla storia della basilica, anche perchè io sono un architetto ed il mio contributo ha un taglio da architetto. Misurare, verificare le proporzioni, fare un confronto con le cattedrali e le grandi chiese di epoca angioina, analizzare i modelli francescani per comprendere come mai in una terra così periferica rispetto a Napoli, capitale del Regno, si è scelto di realizzare un cantiere così maestoso da parte degli Orsini Del Balzo, è stato il fondamento primario delle mie ricerche e delle mie considerazioni.
In ogni modo, se facessimo un confronto con le opere pubbliche contemporanee, già avremmo potuto dedurne alcune considerazioni: un grande cantiere ha sempre portato ricchezza al territorio, perché è un investimento di denari, ma anche di utilizzo di materiali e di operai specializzati, soprattutto se poi esso è innestato – come probabilmente è stato all’epoca – nei percorsi di pellegrinaggi, a ridosso di un monastero francescano e di un luogo di ospitalità, quale l’ospedale. Se poi in quest’area si imponeva un mercato per lo scambio di prodotti commerciali, allora il risultato era scontato: gli Orsini Del Balzo, oltre che militari, erano intelligenti politicamente ed economicamente, e questo lo avevano compreso molto bene. L’esempio dei cantieri aperti a Roma, predisposti negli ultimi mesi per il Giubileo del prossimo 2025, ne sono una ennesima riprova e testimonianza”.
Quali sono i suoi progetti editoriali per il futuro? Ci sono in cantiere altri libri a tema o su Galatina?
“Continuo a fare ricerca ed a produrre articoli a carattere scientifico su riviste nazionali e internazionali: a breve uscirà un altro contributo sui restauri ottocenteschi della Basilica, ed un altro contributo su una rivista specializzata del medioevo, negli atti di un convegno che metterà in evidenza i rapporti architettonici e stilistici tra edifici religiosi di Soleto, Nardò e Galatina.
Sulla Basilica, mi piacerebbe fare un estratto del libro in lingua inglese e francese, perché ho riscontrato il grande interesse internazionale per la storia di S. Caterina. Come progetto editoriale, vorrei tentare di portare a pubblicare un mio lavoro di ricerca sui Castelli aragonesi del Salento: a dimostrazione di un assunto che ritengo fondamentale. Continuiamo a parlare della nostra provincia come la terra del “Barocco Leccese”, ma abbiamo avuto fasi importanti nel Medioevo e nel Rinascimento, solo che sono state apparentemente cancellate e che aspettano solo di essere ritrovate”.
In questi giorni, il tema storico più affrontato è il recupero dell’Anfiteatro di Lecce. Lei, da studioso e da architetto, cosa pensa a riguardo?
“Il tema è molto simile a quello che per anni si è affrontato a Roma per il tratto di Via dei Fori Imperiali, tra Piazza Venezia e il Colosseo, in cui il dibattito tra archeologi e architetti è stato spesso duro e contrastato: oggi, in un momento di grave crisi economica ed internazionale, gli investimenti dovrebbero andare sulla migliore vivibilità delle città, piuttosto che sugli aspetti celebrativi e propagandistici storici. Una migliore prospettiva per il futuro delle città e dei loro abitanti, insomma”.
Che intende dire?
“Dico che non esiste una Lecce “romana” migliore di una Lecce “medievale” o di una Lecce “barocca”: esiste una città contemporanea, il cui assetto urbanistico è la risultante di assetti stratigrafici e cronologici conseguenti l’uno dell’altro. Inoltre, non dimentichiamo che – a detta degli stessi archeologi – uno scavo archeologico è “distruzione” dell’esistente in funzione della lettura della stratigrafica sottostante. Allora la domanda che porrei oggi è la seguente: “Cui prodest” ? a Chi giova? Siamo sicuri davvero che investire risorse sulle parti residue dell’Anfiteatro di Lecce sia più conveniente di investire sul processo culturale e di sviluppo sull’intero centro storico? Ed ancora: i centri storici delle nostre città d’arte, centri minori compresi, stanno diventando solo appannaggio di affittacamere, bed & breakfast e attività turistico-ricettive, spesso senza una vera e propria regolamentazione e molto spesso con numeri da sovraffollamento. Forse sarebbe il caso di cominciare a predisporre dei tavoli di concertazione perché, senza un controllo efficace, il rischio – nel prossimo futuro – sarà quello di trovarsi con centri storici abbandonati nei periodi invernali a scapito dell’utilizzo e della conservazione, oltre che del totale snaturamento. Sarà difficile poi parlare di “identità salentina”, visto che essa passa oltre che dai luoghi dalle persone che li vivono e che le hanno vissute”.
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