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Cinema italiano indipendente e ministero della Cultura feriti a morte dal fu Sangiuliano e dal redivivo Fitto – Italia Libera #finsubito richiedi prestito immediato


Al ministero guidato oggi da Alessandro Giuli, il neo commissario europeo Raffaele Fitto ha tagliato il 90% dei fondi per la Cultura prima di trasferirsi in pompa magna a Bruxelles. Il predecessore di Giuli aveva già provveduto a stroncare con il Tax credit la produzione cinematografica di qualità, dopo l’ondata di crisi del Covid. Inabissata nelle urgenze del mercato e delle performance, e nei continui interventi a spot del legislatore e dei governi succedutisi nel tempo, la settima arte vede logorarsi la vitalità e la forza intrinseca che porta con sé. Molte case produttrici sono a rischio chiusura: con i criteri e le condizioni poste dalla nuova disciplina, il sostegno statale al cinema viene di fatto a mancare per essere convogliato verso i colossi produttivi


◆ Il commento di ANNALISA ADAMO AYMONE

Un periodo nero per la Cultura in Italia. L’ultimo attacco di questo governo viene dal ministro Fitto prima di lasciare il dicastero per gli Affari Europei, le Politiche di Coesione e il Piano nazionale di ripresa e resilienza. Nella ripartizione appena varata del fondo sviluppo e coesione 2021-2027 al ministero della Cultura sono state assegnate il 90% delle risorse in meno rispetto all’ultima pianificazione. Una mannaia che ha fatto saltare i nervi anche allo stesso ministro della Cultura Alessandro Giuli, per niente convinto che si possa andare avanti in una simile situazione, tanto da aver chiesto incontri e chiarimenti ad horas. 

L’incertezza e la preoccupazione regna sovrana in uno dei dicasteri più importanti per il nostro Paese, non solo a causa di questo ultimo intervento sfavorevole, ma anche per le misure adottate per il comparto cinema. La riforma del settore, avvenuta con decreto, è stata oggetto di numerosi ricorsi amministrativi da parte di operatori che ne hanno impugnato nella forma e nel merito la legittimità. Il Tribunale amministrativo del Lazio ha già disposto la prima udienza di uno dei giudizi cautelari, evidenziando chiaramente la sussistenza di valide ragioni per concedere la sospensiva dei provvedimenti in tutto o in parte.

L’accoglimento del giudizio cautelare potrebbe portare il governo a rimettere mani alla riforma che, seppure fosse attesa da tempo, ha tradito totalmente le aspettative degli operatori economici e culturali. Molte case produttrici, piccole e medie, sono a rischio chiusura perché, con i criteri e le condizioni poste dalla nuova disciplina, il sostegno statale al cinema viene di fatto a mancare per essere convogliato verso i colossi della produzione cinematografica. Inoltre lo stato di attesa e confusione generata dalla battaglia, avviata anche in sede giudiziaria, sta diventando troppo pesante per un settore che, per tante ragioni, non è al suo massimo splendore. La crisi economica e l’ondata Covid hanno generato effetti così negativi sul sistema da aver richiesto molti sacrifici e restringimenti, pertanto sarebbe un disastro aggiungere le ulteriori limitazioni della riforma Sangiuliano sul Tax credit. 

Le lungaggini ministeriali, la riduzione del sostegno pubblico, l’innalzamento dei criteri delle performance, l’introduzione di nuovi termini e adempimenti burocratici, nonché l’introduzione di sostanziose gabelle da versare per il sol fatto di partecipare ai concorsi selettivi, tratteggiano un modo molto incivile di considerare il cinema italiano. Ferire a morte il cinema, inabissandolo nelle urgenze del mercato e delle performance, significa cadere nella barbarie. Inoltre, i continui interventi a spot del legislatore e dei governi succedutisi nel tempo hanno finito per logorare la vitalità e la forza intrinseca che la settima arte porta con sé. Oltre le storture e i macroscopici errori commessi all’interno di un sistema complesso, ma necessario, resta l’urgenza di un intervento serio, preciso e concreto per eliminare gli squilibri di potere e di risorse attraverso un riordino della materia in un corpus normativo in cui emerga una visione più giusta, radicale e avanzata. 

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Se nel 2021 Pupi Avati tuonava “il cinema non è più cultura”, Daniele Ciprì si cimentava in un suo fermo immagine esplicativo dei tempi che stiamo vivendo in cui i grandi produttori diventano “calcolatori aziendali”, “agenti” completamente immersi nel conteggiare “al millimetro i vantaggi che potranno trarre da un film, senza osare nulla, senza sperimentare nulla, senza rischiare nulla”. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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