Questo cavillo potrebbe rendere la vita difficile a parecchi lavoratori.
Con la Sentenza n. 160 del 10 novembre 2020, il Tribunale di Udine ha stabilito un principio innovativo: il lavoratore che induce il datore di lavoro a licenziarlo per giusta causa, al fine di accedere alla NASPI, è tenuto a rimborsare il costo del cosiddetto ticket licenziamento. Questo caso si inserisce in una cornice normativa che mira a garantire correttezza nei rapporti di lavoro, ma che talvolta può essere oggetto di abusi.
La normativa prevede che le dimissioni volontarie o la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro devono essere formalizzate attraverso una procedura telematica. Tuttavia, per accedere alla NASPI, il lavoratore deve dimostrare che la cessazione del rapporto è avvenuta per cause indipendenti dalla propria volontà, come un licenziamento per giusta causa. Questo punto rappresenta una possibile zona grigia, che può dare adito a comportamenti opportunistici da parte di alcuni lavoratori.
Il Tribunale di Udine si è trovato ad affrontare un caso emblematico: un lavoratore si era assentato ingiustificatamente dal posto di lavoro per un periodo prolungato, costringendo l’azienda a licenziarlo per giusta causa.
Successivamente, il lavoratore aveva richiesto il pagamento delle retribuzioni arretrate attraverso un decreto ingiuntivo. L’azienda, a sua volta, ha chiesto il risarcimento del costo del ticket licenziamento, sostenendo che il dipendente avrebbe dovuto dimettersi formalmente, evitando così all’azienda costi inutili.
La decisione del Tribunale
Il Tribunale ha accolto la posizione del datore di lavoro, revocando il decreto ingiuntivo e condannando il lavoratore a rimborsare il costo del ticket. Secondo il Giudice, l’assenza ingiustificata rappresenta una chiara manifestazione della volontà del lavoratore di interrompere il rapporto, anche se non formalizzata. La sentenza sottolinea che l’azienda è stata costretta a sostenere un costo evitabile, derivante da un comportamento deliberato del lavoratore.
Questa interpretazione introduce una prospettiva nuova e rilevante: i costi del licenziamento per giusta causa, se provocati dal comportamento omissivo del lavoratore, possono essere recuperati dal datore di lavoro. Inoltre, apre la strada a una possibile revisione dei criteri di accesso alla NASPI, escludendo i casi in cui il lavoratore provochi intenzionalmente il recesso.
Implicazioni per il futuro
Se questa interpretazione venisse confermata da sentenze successive, si potrebbe consolidare una giurisprudenza che protegge le aziende dagli abusi legati alla NASPI. È altresì possibile che si apra un dibattito su eventuali modifiche normative per evitare che comportamenti opportunistici generino costi ingiusti per i datori di lavoro.
La sentenza del Tribunale di Udine rappresenta un passo importante verso l’equità nei rapporti di lavoro. Evidenzia come un uso strumentale delle regole possa essere sanzionato, favorendo un maggiore equilibrio tra le esigenze delle imprese e i diritti dei lavoratori. Resta da vedere se questa posizione verrà confermata nei gradi superiori di giudizio.
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