CREMONA – L’agricoltura hi-tec è una realtà, le soluzioni tecnologiche per un’agricoltura ecosostenibile e in grado di recuperare risorse dai suoi ‘materiali di scarto’ non solo è il futuro, ma è il presente per il comparto. A darne conto sono le ricerche di tesi di laurea e di progetti di sviluppo, messe in atto dal Politecnico, dal laboratorio delle bioenergie e ovviamente dagli studi dei laureati e laureandi in Agricultural Engineering, corso magistrale attivo presso la sede di via Sesto.
A darne conto è Andrea Remelli, 25enne, neolaureato con una ricerca dal titolo: «Valorizzazione del siero del grana padano attraverso l’utilizzo di batteri fototrofi viola». A guidare in questa ricerca Remelli è stato il professor Andrea Turolla, una ricerca che ora sta per dare vita a un progetto di startup. Dall’idea al business: questo è l’itinerario della sperimentazione che parte da un presupposto: «Trovare la possibilità di utilizzare un sottoprodotto della filiera che oggi fatica a trovare una rivalorizzazione — spiega Remelli —. Il siero di formaggio, sostanzialmente composto da lattosio, attraverso i batteri viola viene trasformato in proteine ad alto valore nutrizionale. Tale trasformazione permette di avere biomasse ricche di proteine da inserire nella filiera dei mangimi per le vacche».
A conferma di come le ricerche messe in atto dagli studenti di Agricultural Engineering siano fortemente radicate nel territorio, la sperimentazione è stata portata avanti in sinergia con Fattorie Cremona. «Se questa trasformazione del siero di formaggio in materiale proteico per vacche — continua — troverà una sua applicazione si è fatto conto che la produzione di siero di latte prodotto da una vacca e la sua trasformazione permette di sopperire per circa un 20% del fabbisogno di proteine quotidiano di una vacca e questo con un prodotto che non comporta fattori di zoonosi e di disbiosi. Ma non solo. Da un punto di vista economico per il fabbisogno proteico delle vacche l’Italia dipende per oltre il 90% dagli Stati Uniti per l’importazione di soia che serve per preparare farine proteiche per allevamenti. La trasformazione del siero di formaggio in farina proteica per vacche permetterebbe di abbassare la nostra dipendenza dalle importazioni di soia dagli States. Ma in questo caso si entra in un ambito di carattere economico e di strategia di mercato, il passo successivo alla fattibilità di quella che per ora è una sperimentazione».
Remelli aggiunge con concretezza ingegneristica: «Non basta avere l’idea innovativa e tecnologicamente all’avanguardia, serve un’analisi economica e di sostenibilità — spiega —. Tutto ciò sembra coesistere nella trasformazione del siero di formaggio, ora stiamo studiando questa possibilità di business che viene a coesistere con l’attenzione alla sostenibilità ambientale con cui il comparto agricolo e zootecnico deve sempre più misurarsi».
Nel curriculum professionale di Remelli c’è un profondo radicamento nell’ambito del settore primario, «e non solo perché i miei genitori sono agricoltori da generazioni nella zona di Volta Mantovana — racconta —. Io dopo aver frequentato agraria, mi sono iscritto a Viticoltura ed enologia a Trento presso la Fondazione Edmund Mach, una realtà che dai tempi del governo austriaco opera sul territorio con la finalità di valorizzare il comparto vinicolo. Alla fine della triennale ho sentito la necessità di trovare in modo di coniugare l’innovazione in campo agricolo con un aspetto ideativo e non solo di utilizzo di conoscenze e strumentazioni tecniche. Il percorso magistrale in Agricultural Engineering mi ha permesso di acquisire conoscenze e competenze per elaborare innovazione nel comparto primario. Oggi ho un assegno di ricerca e sono chiamato a sviluppare l’idea di utilizzo del siero di formaggio dal punto di vista non solo tecnico ma anche imprenditoriale. La sfida non è finita».
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