La telefonata della squadra Mobile di Cuneo arrivò inaspettata all’officina Lozza, con sede a Bergamo: «Fermatelo». Un uomo con una Mercedes S da 120 mila euro aveva appena fatto disattivare il satellitare. Non era strano, come ha confermato Daniele Agostoni, perché l’automobilista si presentò con documenti e libretto che coincidevano, si fece collegare la vettura con la sua utenza. Lì non potevano sapere che quell’auto fosse oggetto di una truffa commessa due giorni prima, il 19 dicembre 2018, a Cuneo.
Al processo in corso a distanza di sei anni stanno emergendo chiaramente due cose. Sono coinvolte come minimo due persone, anche se c’è un solo imputato: Luciano Lorusso, 45 anni, napoletano, mai visto in aula. Chiunque architettò la truffa, fu abile a inventarsi pure un sistema di deviazione di chiamata dall’ufficio postale di Longana (Ravenna), ormai chiuso. Al telefono rispondeva un complice che confermava alla banca la validità dell’assegno circolare utilizzato per pagare l’auto messa in vendita su Internet. Pagamenti e passaggi di consegna non avvenivano in un bar, ma nei luoghi preposti, l’Aci e istituti di credito. Sembrava tutto vero, al punto che ci cascarono anche dirigenti di banca. E, tra i tre casi (gli altri a Gandellino e Rivolta d’Adda) per cui Lorusso è a processo, Duilio Paolino, imprenditore di Cuneo. L’annuncio di vendita dell’auto aziendale fu messo dalla moglie e dal figlio. Ma con l’acquirente (presunto Luigi Mantovani) andò anche lui nella filiale di fiducia. Al telefono, il sedicente impiegato postale di Longana confermò che l’assegno circolare da 48.500 euro era valido e la vendita si perfezionò. «Poi a mio figlio venne il dubbio e facendo una ricerca vide che quelle Poste erano state chiuse due settimane prima», racconta l’imprenditore. Andarono subito a fare denuncia in questura e, a differenza degli altri due truffati, recuperarono l’auto dopo una rocambolesca indagine lampo. Con la polizia intercettarono la Mercedes e ne seguirono gli spostamenti via monitor. «Da Cuneo era arrivata a Bergamo — ripercorre — e finì da un concessionario che disattivò il satellitare». Quando la polizia chiamò l’officina, l’automobilista si era appena allontanato. «La polizia contattò la sede centrale della Mercedes che riattivò il satellitare. L’auto fu rintracciata in tangenziale». Era nei dintorni di Varese e un dettaglio giocava a favore delle forze di polizia: era in riserva, avrebbe potuto percorrere al massimo 20 chilometri. Chiunque la guidava sarebbe uscito di lì a poco. «Al casello l’auto fu bloccata — racconta sempre Paolino —, due persone scesero e scapparono». Rimasero due sconosciuti. Se uno dei due fosse Lorusso non si sa. In aula, il pm mostra all’imprenditore i fotogrammi delle telecamere della banca in cui andò a versare l’assegno. Paolino riconosce l’acquirente. Indica ma a fatica la foto 1 del secondo di due album fotografici: «Dopo tutti questi anni, non vorrei dire stupidate. Gli somiglia ma non sono sicuro. Aveva accento campano». All’epoca la moglie lo indicò nel secondo album, non nel primo dove in effetti non era stata inserita la foto di Lorusso. Il 10 gennaio sarà l’ultima occasione dell’imputato — con pagine di precedenti — per comparire davanti al giudice Roberto Palermo. Lo difende d’ufficio l’avvocato Miriam Asperti, che non è mai riuscita a contattarlo. Così come l’allora avvocato di fiducia, che rinunciò al mandato.
10 dicembre 2024
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