Donne e bambine le più penalizzate nelle crisi umanitarie, e il 70% ha subìto violenze

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Le crisi umanitarie e i conflitti aggravano in modo preoccupante le disuguaglianze di genere e generazionali, in particolare nei casi di crisi prolungate. È quanto emerge dal rapporto “Her future at risk. The cost of humanitarian crises on women and girls” di WeWorld, organizzazione umanitaria che da oltre 50 anni lavora in 26 Paesi inclusa l’Italia, per portare al centro chi è ai margini, geografici e sociali. Il report fornisce un’analisi approfondita di otto Paesi fortemente colpiti da crisi umanitarie prolungate: Afghanistan, Burkina Faso, Etiopia, Mali, Mozambico, Niger, Palestina e Ucraina.

Nonostante sia dimostrato come le iniziative guidate dalle donne rafforzino il recupero dalle crisi e la stabilità delle comunità, dal rapporto emerge come le donne siano ancora sottorappresentate nella leadership umanitaria. Si registrano anche gravi lacune nel finanziamento alle iniziative dedicate ai diritti delle donne e al contrasto alle disuguaglianze di genere.

«Donne, bambine e bambini affrontano rischi maggiori nelle crisi umanitarie, perché l’interruzione dei servizi essenziali e delle infrastrutture aggrava le disuguaglianze di genere e generazionali già esistenti», è il parere di Stefania Piccinelli, responsabile del dipartimento Programmi internazionali per WeWorld. «Il nostro rapporto non solo mette in luce come i diritti delle donne e delle bambine siano maggiormente a rischio nelle crisi umanitarie, ma propone anche soluzioni a lungo termine per una risposta umanitaria più costruita sulle loro necessità. Per fermare il ciclo di violenza e disuguaglianza, è necessario portare al centro le donne e le ragazze nella risposta alle crisi umanitarie, promuovendo la loro leadership, sviluppando politiche sensibili al genere e alle generazioni, ed eliminando le barriere legali e strutturali che ostacolano i loro diritti e la loro partecipazione».

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Il rapporto mette in luce un quadro allarmante, supportato anche da dati raccolti attraverso il ChildFund Alliance World Index 2024, in precedenza noto come WeWorld Index, e testimonianze dirette dai territori. Per esempio, una bambina nata oggi in Afghanistan dovrà “aspettare” 210 anni affinché i suoi diritti umani siano pienamente attuati. In Burkina Faso, ogni tre giorni e mezzo una ragazza sotto i 19 anni rimane incinta. Nel 2023, dieci bambine e bambini palestinesi su 100 non andavano a scuola. In Mozambico, quasi una donna su cinque ha detto di aver subìto violenza dal proprio partner.

La violenza di genere è una crisi nella crisi: il 70% delle donne nelle zone di crisi ha subito violenza di genere, inclusa violenza domestica, violenza sessuale legata al conflitto e sfruttamento sessuale (Un Women, 2024). Oltre 85 milioni di bambine e bambini nelle aree di emergenza sono esclusi dalla scuola, e le ragazze sono tra le più penalizzate (ECW, 2024). Le discriminazioni intersezionali (ovvero quelle che colpiscono una persona in modo combinato, sulla base di fattori come genere, etnia, religione o disabilità) amplificano le disuguaglianze e rendono le donne ancora più vulnerabili. In particolare, le donne appartenenti a minoranze etniche, rifugiate, con disabilità o sfollate interne si trovano ad affrontare ostacoli e rischi ancora maggiori, subendo discriminazioni multiple che limitano le loro opportunità e diritti.

Nei contesti di crisi, donne e bambine affrontano difficoltà economiche significative, accentuate dal loro alto coinvolgimento in lavori precari, mal retribuiti e informali. L’accesso limitato all’educazione, il crescente carico di responsabilità di cura e l’aumento delle situazioni di vulnerabilità le espongono a forme di sfruttamento come i matrimoni precoci, il lavoro minorile e lo sfruttamento sessuale.

Il rapporto contiene un focus specifico sull’Afghanistan, dove WeWorld ha ripreso il suo intervento nel 2021 – in seguito agli eventi che hanno visto il ritorno dei Talebani al potere – supportando le comunità rurali e in particolare le donne capo-famiglia e i loro figli e figlie, garantendo accesso ai servizi di base. L’Afghanistan sta affrontando una doppia crisi senza precedenti: da un lato una crisi umanitaria che continua ad aggravarsi, dall’altro la continua violazione dei diritti umani, soprattutto di donne e bambine che oggi sono private di libertà fondamentali: non possono andare a scuola, non possono studiare o uscire di casa se non accompagnate.

Le interviste con lo staff femminile di WeWorld che lavora in Siria, Afghanistan, Ucraina, Palestina e Mali hanno messo in evidenza l’urgenza di politiche inclusive di genere sottolineando alcune priorità: è essenziale adottare approcci mirati e innovativi per rispondere ai bisogni specifici di donne e ragazze; la protezione dalla violenza di genere deve essere una priorità, con misure più efficaci per prevenire e contrastare gli abusi, soprattutto nelle situazioni di crisi; garantire l’accesso a cure sanitarie e supporto psicologico è fondamentale, in particolare per donne, bambine e bambini colpiti da conflitti e migrazioni forzate; l’empowerment economico è un elemento chiave per favorire l’indipendenza finanziaria e la resilienza delle donne; è necessario promuovere una maggiore presenza femminile nelle posizioni di leadership all’interno della risposta umanitaria; infine, bisogna sfidare le norme patriarcali e abbattere le barriere culturali che ostacolano la partecipazione delle donne nelle decisioni e limitano il loro accesso ai diritti e alle opportunità.

Il rapporto fornisce, inoltre, raccomandazioni per tre attori principali: donatori, partner umanitari e policy maker. I donatori sono invitati a finanziare programmi attenti al genere, includendo la prevenzione della violenza di genere, la salute riproduttiva e l’empowerment economico delle donne, oltre a sostenere le organizzazioni femminili locali. I partner umanitari, invece, dovrebbero adottare approcci trasformativi rispetto al genere, promuovendo la leadership femminile e il coinvolgimento degli uomini e dei ragazzi nella promozione dell’uguaglianza di genere. Sono anche chiamati a rispondere ai bisogni legati alla salute mentale delle persone e alla prevenzione della violenza di genere. Infine, i policy maker sono chiamati a garantire l’uguaglianza di genere nella finanza pubblica, creare politiche che rispettino il genere, eliminare leggi discriminatorie e promuovere la cooperazione internazionale per sostenere la prevenzione della violenza di genere, la salute e l’emancipazione economica delle donne e delle ragazze.

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