tutti divisi sul riarmo europeo

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La premier tra i suoi due vice, Tajani e Salvini – Imagoeconomica

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Non può essere considerata la classica lite da alleati, perché la posta in gioco è molto più alta di un balzo nei sondaggi. Da quando Ursula von der Leyen ha annunciato il piano di riarmo europeo, Matteo Salvini ha iniziato a gridare il suo “no” a reti unificate. Il capo della Lega lo fa nella piena consapevolezza che questa non è la posizione della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, meno ancora del ministro degli Esteri, e collega vicepremier, Antonio Tajani.

La frattura è così grave che nella serata di martedì 4 marzo Meloni ha convocato a Palazzo Chigi entrambi i vicepremier. Il vertice è stato breve e teso. La premier vuole arrivare al Consiglio Ue straordinario del 6 marzo portando la voce di un governo e di una maggioranza coesa almeno sulla necessitĂ  politica di un passo avanti dell’Europa sulla difesa. Ma, allo stato, così non è. E il rischio è che la sua presenza a Bruxelles sia accompagnata dal controcanto dell’alleato leghista che si sovrappone a quello delle opposizioni. Una situazione che non si sta verificando in Germania, dove Cdu e Spd hanno un pre-accordo sulla difesa. E che non si sta verificando nemmeno in Francia, dove sull’Ucraina Marine Le Pen ha troncato in modo netto con il “metodo-Trump”.

Perciò in casa FdI, nelle ultime ore, fioccano richiami all’unitĂ . Per favorire una conciliazione, il partito della premier ha assunto una posizione che si potrebbe definire “sì con riserva”. C’è l’assenso generale allo sforzo economico annunciato dalla Commissione, ma restano delle riserve e delle necessitĂ  di approfondimento sui 150 miliardi che l’Europa vuole destinare a investimenti. Meloni vuole vederci chiaro, non vuole che sia penalizzata l’industria italiana a vantaggio, ad esempio, di quella francese. In realtĂ , c’è anche un altro tema che potenzialmente potrebbe imbarazzare la premier e Fratelli d’Italia: tra le leve che gli Stati nazionali possono attivare, oltre la sospensione del Patto di stabilitĂ , c’è anche il ricorso ai Fondi di Coesione. Von der Leyen li ha citato pubblicamente come strumento potenziale, e dunque si dĂ  per scontato che su questa opzione ci sia il placet del commissario italiano a Bruxelles, Raffaele Fitto, che ha la delega europea alla Coesione ed è uomo vicinissimo alla premier Meloni. E’ probabile che a Bruxelles, tra i primi chiarimenti che fornirĂ  la premier, ci sarĂ  la rassicurazione circa la non volontĂ  dell’Italia di usare questi fondi per finanziare il riarmo. Ma in ogni caso il semplice citare le risorse della Coesione tra i capitoli da “riordinare” per comprare armi aprirĂ  polemiche interne forti.

Insomma, la premier è chiamata a un nuovo gioco di equilibri, anche nella consapevolezza che le spese militari non godono di grande popolaritĂ . Ma al vertice di Palazzo Chigi con i due vicepremier è stata secca. Il senso è: se Salvini continuerĂ  a metterla in difficoltĂ , lei comunque prenderĂ  le decisioni che ritiene essere nell’interesse del Paese, ovvero sostenere il piano europeo al netto di qualche correzione di rotta. A quel punto a essere messo alle strette sarebbe il capo della Lega, la cui linea di politica estera, lo si è compreso da diversi retroscena non smentiti, non convince la “Lega storica” e uno zoccolo duro di amministratori del Carroccio. Altri due attori non secondari del dossier, il ministro della Difesa Guido Crosetto e il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, forniscono altre sfumature del confronto/scontro all’interno del governo. Per Crosetto l’urgenza storica travalica altre considerazioni, e piuttosto va sottolineato che la spesa in sicurezza coincide con una spesa “per la libertĂ ”. Giorgetti, leghista, prova a tenersi alla larga dalla linea di Salvini, ma si veste da tecnico dicendosi interessato a capire che impatto potrĂ  avere sul Pil il piano di riarmo. Si parla di un boom di spese tra 35 e 50 miliardi di euro, solo per l’Italia.

Se il governo piange, il centrosinistra non ride. Elly Schlein, segretaria del Pd, è nelle stesse condizioni di Giorgia Meloni. Ha un partito diviso, in cui appelli per il riarmo e appelli per la pace si contendono la linea da dare ai democratici. La leader dem al momento ha trovato un punto di equilibrio nella critica al piano complessivo di Von der Leyen, ma senza dire “no” alla necessitĂ  politica di rafforzare le difese nel Vecchio Continente. Le viene incontro l’ala piĂą favorevole al piano della Commissione Ue, sottolineando aspetti di merito che vanno rivisti. Schlein ha dunque la prospettiva di tenere incollato il partito. Non ha invece alcuna chance di tenere unito il campo largo. Giuseppe Conte, leader di M5, è giĂ  in trincea contro “l’Ue bellicista”, e ha annunciato una sua manifestazione il 5 aprile che sembra ormai in contrasto con quella europeista del 15 marzo, che invece ha raccolto ampie adesioni tra i dem. La distanza è ancora piĂą profonda tra M5s e i partiti di centro, Azione e Italia Viva. Anche Avs ha un approccio molto critico verso l’approccio bruxellese, ma cerca di non cadere nelle accuse di filo-trumpismo in cui invece stanno incappando i pentastellati.

Un quadro articolato, sfibrato, che alla fine spiega anche perchĂ© non si sia tenuto un momento di confronto parlamentare precedente al Consiglio Ue straordinario del 6 marzo. Ma l’appuntamento con le Aule non potrĂ  essere rinviato in eterno. Il 20-21 marzo ci sarĂ  un altro vertice europeo e prima di quella data Camera e Senato dovranno dare un mandato alla premier. ServirĂ  molta diplomazia sia dentro la maggioranza sia tra la maggioranza e la componente piĂą europeista delle opposizioni.

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