Meloni, la spina leghista e il jolly delle spese Nato. «Costi della difesa inclusi nel computo sul Pil e negli obiettivi dell’Alleanza»

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Almeno su una cosa son tutti d’accordo: la scelta infelice del nome. Rearm, il termine con cui Ursula von der Leyen ha battezzato il Piano di 800 miliardi sulla difesa non scalda i cuori, al contrario rischia di raggelare l’opinione pubblica. Per il resto, la maggioranza continua a marciare su velocità diverse. Con la Lega che più che rallentare inverte letteralmente il senso di marcia, rischiando di innescare un frontale. All’indomani del vertice a tre a Palazzo Chigi – con Giorgia Meloni che rinuncia alla prima del film su Nicola Calipari per avocare a sé il dossier e invitare i suoi due vicepremier all’unità – Matteo Salvini torna a pungere, chiedendo che le risorse non finiscano in armi e munizioni ma vengano investite altrove. «Credo che nessuno si aspettasse 800 miliardi di investimenti militari. Fino all’altro giorno non si poteva investire un euro in più per la sanità e per le pensioni, ora invece si può fare senza indebitarsi?», domanda polemico il leader leghista. E i suoi dubbi non si fermano qui. Se oggi «avessimo un esercito comune, Francia e Germania ci avrebbero già portato in guerra», l’affondo. Touché. Le sue parole sono il preludio di nuove scintille con l’altro vice, Antonio Tajani. Il segretario azzurro non perde l’occasione per replicare a muso duro, promuovendo il piano targato Vdl – al netto del nome, chiaramente – e bacchettando «tifoserie» che »servono a poco». Il responsabile della Farnesina ricorda inoltre che «la linea in politica estera è quella che traccia il presidente del Consiglio con il ministro degli Esteri». Eppure anche il dicastero dell’Economia ha il suo ruolo in partita, e così su Rearm pure Giancarlo Giorgetti finisce per dire la sua. E va giù duro, tanto che in molti, nelle file di Fdi, sospettano che dietro la sua sortita ci sia la manina di Matteo Salvini. Il titolare di via XX Settembre mette in guardia da piani fatti «in fretta e furia senza una logica», per evitare gli «errori clamorosi» dei vaccini anti-Covid». Ma a Palazzo Chigi non c’è spazio per le dietrologie. «Giorgetti fa Giorgetti, vale a dire fa il suo mestiere. Ha un occhio attento ai cordoni della borsa, anzi due…», rassicurano fonti vicine alla premier. Che sembrerebbe condividere, raccontano, le parole del suo ministro dell’Economia, per una spesa attenta, «anche perché – viene spiegato – la contabilità della Difesa è complessa», spalmata per ogni acquisto di peso su più anni e su due dicasteri: non solo quello guidato da Crosetto ma anche sul ministero dello Sviluppo economico. Fatto sta che Rearm, e non solo per il nome, continua a navigare in acque parecchio agitate. Anche se – spiegano fonti di governo – Meloni oggi al vertice informale a Bruxelles sostanzialmente promuoverà il Piano, perché un colpo di reni sulla difesa comune è quel che l’Italia chiede da sempre e che i tempi, a detta della premier, impongono. Senza contare che la flessibilità sui conti per le spese in difesa viene visto come un goal segnato da Roma, che ora trova inaspettatamente sponda a Berlino, con il cancelliere in pectore Friedrich Merz che chiede anzi di andare oltre i margini annunciati da von der Leyen. La presidente del Consiglio esigerà approfondimenti, «di comprendere la strategia a 360°». A cominciare dalle rassicurazioni sulla scelta “volontaria” dei singoli Paesi sull’uso dei fondi di Coesione, tema che le sta particolarmente a cuore. Nessuna obbligatorietà dunque, metterà in chiaro Meloni, come tra l’altro già chiesto e ottenuto dal vicepresidente della Commissione Raffaele Fitto, che ha trattato in questi mesi realizzando che von der Leyen sbianchettasse dalla lettera inviata ai 27 la parolina «obbligo di spesa». La premier chiederà inoltre che le risorse investite rientrino nei target Nato, ovvero in quel 2% del Pil che l’Italia fatica a centrare e che al vertice all’Aia, a giugno, dovrebbe lievitare al 3,6-3,7%. Un traguardo su cui Roma è impegnata ad accelerare: secondo rumors interni al governo, la spesa potrebbe salire al 2% (oggi è all’1,56%, ndr) già a maggio.

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L’UCRAINA

Quanto all’Ucraina, a Bruxelles – dove sarà presente anche il presidente Volodymyr Zelensky – Meloni tornerà a ribadire la necessità di mantenere salda l’alleanza atlantica, perché è illusorio pensare di poter trovare una soluzione sganciandosi dagli Usa. Anche per questo, la premier non avrebbe apprezzato le parole del presidente Macron su soldati europei mandati al fronte dopo la firma della pace. «Una fuga in avanti, l’ennesima, che di certo non aiuta», osservano fonti diplomatiche. La vigilia del summit è stata segnata anche da voci, definite “false” da fonti di governo, sulle foto del presidente ucraino cancellate dai profili social della premier: dopo il primo incontro di maggio 2023, hanno spiegato le stesse fonti, sono state veicolate sui canali ufficiali.

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