MEDIO ORIENTE, questione palestinese. Futuro di Gaza: approcci divergenti al vertice della Lega Araba al Cairo

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pubblicato il 5 marzo 2025 da Pinchas Inbari su “Un Medio Oriente complicato con parole semplici”, https://pinhasinbariblog.net/2025/03/05/arab-league-summit-in-cairo-divergent-approaches-to-gaza-reconstruction/ Il summit della Lega Araba che ha avuto luogo al Cairo è stato incentrato sulla ricostruzione della striscia di Gaza e sul rifiuto dell’iniziativa «migratoria» concepita dal presidente americano Donald Trump quale soluzione ai problemi in quel Territorio. Tuttavia, ciò che ha reso particolarmente degno di nota questo vertice è stato il fatto che per la prima volta gli Stati arabi hanno tentato di formulare una soluzione alla questione palestinese che non si allineasse alle posizioni dell’OLP, cercando di proporre ai palestinesi una soluzione maggiormente preferibile (agli Stati arabi medesimi).

UN «COMITATO DI APPALTATORI»

E qui usiamo il termine «tentativo», poiché mentre la decisione egiziana di ricostruire Gaza costituisce di per sé uno sforzo per aggirare la posizione palestinese, dai Paesi arabi non è tuttavia ancora emersa una posizione consensuale accettabile per tutte le parti. Quindi, la debolezza della dichiarazione finale la si rinviene nel tentativo di eliminare differenze che permangono invece tali. La posizione assunta dall’Egitto consta essenzialmente nella preparazione di un piano per un successivo vertice, da tenersi nel prossimo mese di aprile al Cairo, finalizzato allo sviluppo di un programma di ricostruzione quinquennale che dovrebbe venire finanziato con cinquanta miliardi di dollari. Insomma, qualcosa che assomiglia di più alla pianificazione di un gruppo di appaltatori, piuttosto che la strategia di stati che esprimono le proprie rispettive intenzioni politiche in ordine al futuro della regione mediorientale. Nel frattempo Gaza verrebbe gestita da un comitato tecnocratico palestinese, mentre l’Egitto e la Giordania addestrerebbero le forze di sicurezza palestinesi da inviare poi nella Striscia.

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HAMAS: RADICE DEI DISACCORDI TRA GLI STATI ARABI

In altre parole, il summit (ovvero l’Egitto) non ha affrontato in alcun modo il destino di Hamas e questa è stata la radice dei disaccordi tra gli Stati arabi sia nel corso dei lavori del cairo che durante i suoi preparativi. Disaccordi che permangono tali, cioè irrisolti, il che significa che la ricostruzione di Gaza rimarrà sulla carta e non verrà affatto implementata, dato che risulterà impossibile raccogliere i miliardi di dollari necessari a essa finché i Paesi arabi non avranno composto le loro rispettive differenze riconciliandosi. Ma quali sono questi disaccordi? Innanzitutto il futuro di Hamas: durante la conferenza preparatoria di Riyadh, a suo tempo definita «amichevole» allo scopo di evitare di prendere decisioni, l’Arabia Saudita ha chiarito ai partecipanti che se si aspettavano che aprisse il portafoglio mentre Hamas rimaneva a Gaza avrebbero dovuto cercarsi qualche altro fesso. Dal punto di vista dei sauditi la rimozione di Hamas dalla Striscia è una condizione irrinunciabile posta alla base di qualsiasi partecipazione a processi di ricostruzione del Territorio palestinese.

LA «MUQAWAMA» DI DOHA E DEI SUOI ALLEATI

All’estremo opposto si colloca il Qatar, che sostiene che qualsiasi soluzione futura debba preservare la muqawama (resistenza), in altre parole il governo di Hamas. Questo significa che se i sauditi dovessero tenere il portafoglio chiuso per davvero, Doha si vedrebbe costretta a intervenire e, a quel punto, grazie al vantaggio che ha sugli altri Stati arabi per via del suo rapporto speciale con Israele, avrebbe buone probabilità di vincere il primo premio insieme ad Hamas. Se  la disputa tra Qatar e Arabia Saudita verte su aspetti di importanza fondamentale, quelle con l’Egitto sono invece sfumature di disaccordo, che però risultano indicative delle reali posizioni assunte dal Cairo e da Riyadh riguardo alla questione palestinese. L’Egitto ha chiesto che qualsiasi formula relativa al futuro della striscia di Gaza venisse collegata alla Cisgiordania, mentre la ricostruzione del Territorio palestinese distrutto dalla guerra si configurerebbe soltanto come una parte del coinvolgimento complessivo dell’Autorità Nazionale Palestinese e dei primi passi concreti verso la creazione di un vero Stato palestinese.

IL PIANO DELL’EGITTO: UN MURO CHE TENGA LONTANI I PALESTINESI

In altre parole, lo scopo del Cairo è quello di erigere un muro politico tra sé e la striscia di Gaza, rinforzando il muro fisico che ha già edificato. Dal suo punto di vista, il Territorio palestinese dovrebbe collegarssi a nord con Israele e alla Cisgiordania, ma non a sud con l’Egitto. Ma i sauditi non sono affatto interessati a questo tipo di soluzione, poiché la percepiscono nelle forme di un ostacolo posto al conseguimento di quello che, a loro avviso, dovrebbe invece essere l’obiettivo principale, cioè rimuovere Hamas dalla striscia di Gaza. Il piano egiziano adottato al Cairo potrebbe accontentare Riyadh qualora lo «Stato palestinese» venisse definito come «un’orizzonte», una prospettiva e basta, ma nulla di concreto da implementare nell’immediato. Al riguardo, va infine rilevato come però l’Autorità Nazionale Palestinese, unico organismo deputato a prendere in carico l’amministrazione della striscia di Gaza, non sia stata presa in alcuna considerazione.

PRUDENZA DEL CAIRO ED ESEMPIO LIBANESE

Nella necessità dell’Egitto di evitare il più possibile coinvolgimenti diretti nelle questioni di Gaza risiede la spiegazione del perché il Cairo abbia respinto le iniziative preliminari della Lega Araba riguardo all’invio di contingenti egiziani di forze di mantenimento della pace nella Striscia, similarmente a quanto avvenuto durante le crisi libanesi, quando la Lega Araba autorizzò la Siria a ristabilire l’ordine nel Paese dei cedri dilaniato dalla guerra civile. Visto da questa prospettiva risultano interessanti le dichiarazioni del nuovo presidente libanese Joseph Aoun, che ha affermato che «se gli arabi hanno deciso di autodistruggersi, almeno dovrebbe deciderlo per loro stessi e non per gli altri…». In questo clima sono riecheggiate le posizioni assunte dell’Arabia Saudita nei consessi riservati, con l’esempio libanese che è emblematico per gran parte di quanto concerne la posizione di Riyadh sulla striscia di Gaza, infatti, i sauditi fecero ingresso in Libano forti del loro potere economico e iniziarono la ricostruzione del paese solo dopo che Hezbollah venne allontanato dalla scena.

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LA LEVA FINANZIARIA DI RIYADH

Inizialmente, Riyadh fece mancare il suo sostegno a Beirut poiché Saad Hariri si era rifiutato di confrontarsi con Hezbollah: ritirò i depositi sauditi dalle banche libanesi provocando il crollo economico del Libano. Ora, però i sauditi hanno fatto ritorno nel Paese dei cedri, dato che il presidente Aoun si è detto disposto a fare ciò che Saad Hariri si rifiutò di fare. A questo punto è possibile delineare con nettezza la differenza tra Arabia Saudita ed Egitto: essa risiede nel grado di determinazione nell’azione di rimuozione di Hamas. la prima la chiede apertamente, mentre il Cairo intende manovrare tra essa e l’Autorità Nazionale Palestinese. Dal canto loro, a Doha vorrebbero mantenere Hamas nella Striscia, mentre Mahmoud Abbas (Abu Mazen) vorrebbe assumere il controllo di Gaza come parte della creazione dello Stato palestinese, respingendo quindi la posizione dell’Egitto, secondo la quale l’Autorità Nazionale Palestinese e Hamas dovrebbero concordare un comitato tecnocratico per la gestione del Territorio.

UN APPROCCIO EDUCATIVO: GLI EAU E LA RICOSTRUZIONE DI GAZA

Uno spiraglio di luce in tutto questo tumulto inter-arabo deriva dagli Emirati Arabi Uniti, secondo i quali la ricostruzione sul piano educativo a Gaza non è meno importante di quella fisica. In altre parole, gli emiratini sono pronti a fornire ai palestinesi della Striscia il loro apporto sulla base dell’approccio che vuole l’Islam non jihadista bensì inclusivo, tendendo così una mano all’Ebraismo e al Cristianesimo. E questo conduce alla questione Unrwa, che però verrà approfondita in altra sede, limitandoci oggi a sottolineare che se vorrà mantenere una connessione tra la strisciaa di Gaza e la Cisgiordania, l’Egitto dovrà aderire alle «risoluzioni dell’Onu» e all’Unrwa, come ha fatto  l’Amministrazione Nazionale Palestinese a Ramallah. L’Arabia Saudita non rinviene alcuna importanza nella specifica questione e non sembra che accetterà di partecipare alla ricostruzione di Gaza assieme all’Onu, così come le nazioni Unite non sono coinvolte nella ricostruzione del Libano. Almeno sicuramente non nell’era di Donald Trump.



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