Oltre 600 beni immobili in amministrazione, precisamente 656, 244 beni confiscati destinati, 91 aziende in gestione e 48 confiscate e destinate, 17 soggetti della società civile organizzata che gestiscono beni confiscati. Sono i numeri relativi all’Emilia-Romagna che emergono nel nuovo report di Libera, che ha censito le esperienze di riutilizzo sociale dei beni confiscati in tutta Italia in occasione dell’anniversario della legge numero 109/96 per il riutilizzo pubblico e sociale dei beni confiscati alle mafie.
Nel report Libera racconta, dopo ventinove anni, il Belpaese, dove in silenzio opera una comunità alternativa a quella mafiosa, che lavora e si impegna a realizzare un nuovo modello di sviluppo territoriale. In Emilia-Romagna i 17 soggetti gestori lavorano in 15 comuni e sono associazioni (7), cooperative sociali (2), Ats (3), enti pubblici (4) e un consorzio di cooperative. Nella ricerca Libera ha ricostruito la tipologia di immobili gestiti dai soggetti gestori; in molti casi la singola esperienza di riutilizzo comprende più beni confiscati, anche di tipologia catastale diversa: in Emilia-Romagna ci sono 6 immobili, 4 terreni agricoli, 6 ville/palazzine, 3 locali commerciali/capannoni riutilizzati con progetti nei settori di welfare e politiche sociali (12), promozione culturale (4), agricoltura e ambiente (1).
In provincia di Rimini c’è, a Riccione, un locale commerciale gestito dalla Consulta della solidarietà – Servizi sociali del Comune che ha creato un emporio solidale. “In Emilia-Romagna i soggetti della società civile organizzata che gestiscono beni confiscati sono ancora pochi – affermano i referenti di Libera regionale, Manuel Masini e Sofia Nardacchione -. I casi positivi ci raccontano che il riutilizzo a fini sociali può andare a buon fine, può creare realmente una possibilità di riscatto per beni mafiosi che tornano alla collettività, ma il lavoro da fare, insieme agli enti locali e alla comunità, è ancora tanto in una regione in cui i beni confiscati dal processo Aemilia in poi sono in costante crescita. Non vanno abbandonati ma riutilizzati, per dare un segno importante di ciò che può nascere da luoghi che prima erano criminali e possono diventare simbolo di riscatto, di legalità democratica e giustizia sociale”.
“Sono 1132 le realtà sociali che in tutta Italia, ogni giorno, con coraggio e generosità, trasformano luoghi che erano il simbolo del dominio criminale e mafioso sul territorio in luoghi in grado di raccontare una storia altra, un modello diverso di società, di comunità, di economia e di sviluppo. Un numero così alto, nel 1995, non si poteva immaginare. Dietro questo numero – commenta Tatiana Giannone, responsabile nazionale Beni Confiscati di Libera – ci sono volti e storie di associazioni, di cooperative che hanno trasformato quei luoghi di malaffare in luoghi parlanti, dall’inestimabile valore educativo e pedagogico. Un grande impegno plurale che ha rafforzato il tessuto sociale e che tiene unite le relazioni di una comunità, facendo da modello anche sul piano europeo e internazionale”.
“Negli ultimi anni sono stati fatti tanti passi in avanti nella cornice normativa e in quella amministrativa; l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni confiscati, fulcro del processo di destinazione di un bene, ha assunto un ruolo cruciale di raccordo tra gli enti nazionali e le amministrazioni locali – prosegue Giannone -. Ma la strada è ancora lunga. La nuova modalità di destinazione dei beni confiscati, attraverso la Piattaforma Unica delle Destinazioni, rende l’intera procedura più agevole, ma ci pone davanti a nuove responsabilità: i Comuni prima, e gli Enti del Terzo Settore poi, hanno ora il compito di inserire la gestione di beni confiscati nei loro piani di azione, progettando e chiedendo quanti più spazi possibile. Il riuso sociale è una prassi consolidata, è un’opportunità per i nostri territori e questo nuovo strumento deve poterla rafforzare”.
“Sentiamo forte la necessità di imparare a progettare insieme, pubblico e mondo del sociale, di scambiarci le visioni e di affrontare i desideri dei cittadini come priorità dell’agenda politica; questo era il sogno di Pio La Torre, questo è il sogno che Libera ha trasformato in legge – conclude -. Per tutti questi motivi, per questa strada che insieme abbiamo costruito ora non possiamo tornare indietro: la privatizzazione, sotto ogni forma, dei beni confiscati alle mafie sarebbe un tradimento alla nostra storia e all’impegno di tutto il movimento antimafia”.
“Gli importanti risultati raggiunti in termini di aggressione ai patrimoni delle mafie, della criminalità economica e dei corrotti e le sempre più numerose esperienze positive di riutilizzo sociale, richiamano sempre più l’attenzione sulle criticità ancora da superare e sui nodi legislativi ancora da sciogliere che richiedono uno scatto in più da parte di tutti – spiegano da Libera -. Per queste ragioni, con urgenza chiediamo che si possa garantire trasparenza nell’intera filiera di confisca e riuso dei beni confiscati, non come pratica dei singoli enti pubblici impegnati nel percorso del bene. La partecipazione democratica e la possibilità di incidere sulle politiche pubbliche del territorio è un diritto e un dovere per chi si impegna quotidianamente; poter contare su banche dati che interagiscono tra loro e che condividono i diversi passaggi della vita di un bene confiscati permette a tutt* noi di poter progettare un riuso il più aderente possibile ai bisogni della comunità. La cultura del dato, come cultura di attivazione partecipata, deve essere alla base delle scelte amministrative dei tribunali, di Anbsc, degli enti locali di prossimità”.
“Chiediamo che dal mondo della politica ci sia una chiara presa di posizione – continuano -. I beni confiscati non si possono privatizzare, attraverso l’affitto oneroso o con la vendita. Chi scrive che la confisca ha penalizzato i territori del Sud Italia, sta riscrivendo la storia del nostro Paese, calpestando chi ha dedicato la sua vita a sostenere la confisca dei patrimoni come strumento cardine della lotta alle mafie. Questo non lo possiamo permettere e il nostro impegno sarà quello di tutelare l’impianto normativo nella sua interezza. Le risorse per la valorizzazione dei beni confiscati devono essere messe a sistema, facendo dialogare i fondi pubblici e gli investimenti di enti privati. 30 anni di esperienza, infatti, ci confermano che non si può solo sostenere la ristrutturazione di un immobile, senza pensare a come renderlo un luogo aperto e sostenibile. Chiediamo, quindi, che si possa creare una cabina di regia nazionale, inserita all’interno della strategia nazionale che ci viene richiesta dalla nuova direttiva europea, per sistematizzare le risorse e rendere i diversi fondi complementari tra loro”.
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